Stefano L'Occaso (Palazzo Ducale): “L'autonomia ci ha dato un nuovo modo di vedere le cose”


L’autonomia dei musei? Ha dato un modo nuovo di vedere le cose e vivere il rapporto col pubblico secondo Stefano L’Occaso, direttore del Palazzo Ducale di Mantova. È lui il protagonista della quinta puntata della nostra inchiesta sulla riforma dei musei.

Avevamo lanciato la nostra inchiesta per fare il punto a quasi dieci anni dalla Riforma Franceschini prima che uscisse il bando per il conferimento dell’incarico di direttore dei musei autonomi. Adesso che la selezione pubblica è in corso le nostre interviste ai direttori uscenti assumono quasi il senso di una relazione di fine mandato. È il caso di James Bradburne (Brera), Cecilie Hollbergh (Gallerie dell’Accademia) e Martina Bagnoli (Gallerie Estensi). L’appuntamento con Eike Schmidt e con uno dei musei più appetibili del bando, gli Uffizi, è a fine luglio. Per due degli altri musei oggetto della selezione pubblica (in tutto quattro di prima fascia e sei di seconda) non saremo, invece, in grado di tirare le somme. Dopo l’immediata adesione alla nostra inchiesta, infatti, abbiamo perso le tracce di Sylvain Bellenger, direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte, e di Carmelo Malacrino, a capo del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria. D’altra parte, una sistematizzazione di queste esperienze sarebbe quanto mai utile dato che il ministro Gennaro Sangiuliano è propenso ad aumentare ancora il numero dei musei autonomi: ai 44 attuali sembra che se ne aggiungeranno altri 17, stando alla bozza del Dpcm che andrà a modificare (per l’ennesima volta in pochi anni) l’ordinamento del Ministero della Cultura.Per altri direttori, come per Stefano L’Occaso, c’è ancora tempo per fare bilanci definitivi. Resterà in sella a Palazzo Ducale di Mantova fino a ottobre 2024. Con l’ardente desiderio di rimanerci ancora per il secondo mandato: “spero che si dimentichino di me e mi lascino a Mantova”, ci dice con la sottile ironia che ha accompagnato tutta la conversazione. E candida il museo alla promozione in prima fascia. Valore del monumento e delle sue collezioni, ma anche una brillante direzione, impegnata a completarne “la narrazione” e a “tenerlo stoicamente aperto in tutti i ponti, ogni domenica, ogni festività”, possono, però, non bastare. Come ormai è chiaro ai nostri lettori, in assenza di indicatori certi a livello normativo, primi della classe si può diventare anche solo grazie al “sentire” del Ministro pro tempore. Uno dei parametri da considerare potrebbe essere, per esempio, la capacità gestionale di un direttore che deve fare i conti con il sovraccarico di lavoro e le carenze di organico. “I geometri sono più rari dei panda”, ci dice L’Occaso. Mentre 14 milioni di euro di appalti vengono portati avanti con un solo architetto in part time. In ogni caso, per il direttore è un bene che il costo del personale resti in capo agli uffici centrali del Ministero, anche solo per evitare che col pungolo di dover garantire gli stipendi si finisca per dover battere cassa con eventi poco in sintonia col Codice e la Costituzione. La percentuale che ogni museo deve versare al fondo di riequilibrio tra gli istituti dovrebbe essere più flessibile, rapportata al bilancio di ciascun museo: che senso ha, ci fa capire il direttore, che Palazzo Ducale debba versare il 20% come gli Uffizi? All’esperienza autonomistica dà un voto tra il sette e l’otto: “impossibile pensare di tornare indietro”.

Leggi le altre interviste dell’inchiesta: Cecilie Hollberg (Galleria dell’Accademia, Firenze) – James Bradburne (Pinacoteca di Brera, Milano) – Paolo Giulierini (MANN, Napoli) – Martina Bagnoli (Gallerie Estensi, Modena e Ferrara)Tiziana Maffei (Reggia di Caserta).

Stefano L'Occaso
Stefano L’Occaso

SM. Ci sono due diversi gradi di autonomia: musei di livello dirigenziale generale e non generale. In cosaconsiste la differenza? Cosa comporta il fatto che Palazzo Ducale sia sottoposto ai poteri di indirizzo,coordinamento e controllo della Direzione Musei?

SL. Nulla di particolarmente gravoso; anzi, una possibilità di confronto con la Direzione Generale Musei èsempre ben accetta e può aiutare ad affrontare e risolvere i problemi. Quanto all’aspetto economico, sefino a qualche anno fa le assegnazioni ministeriali erano direttamente collegate alla fascia del Museo, misembra che oggi la distribuzione del contributo da parte della Direzione Generale Musei segua più criteri,tenendo in considerazione l’estensione della struttura, la sua complessità, gli spazi al chiuso e all’aperto,eccetera. Personalmente credo che il Museo di Palazzo Ducale potrebbe essere serenamente di prima fascia: non è inferiore ad alcuni di “serie A” né per importi di bilancio, né per numero di visitatori, figuriamoci poi se prendiamo in considerazione l’estensione o l’importanza storica del monumento e delle sue collezioni.

Il Ministero resta a vario grado coinvolto nell’ambito del procedimento decisionale. Secondo Lei sarebbe opportuno o al contrario deleterio compiere un ulteriore passo, riconoscendo piena autonomia a questi istituti “speciali”? L’autonomia finanziaria comprende, infatti, la gestione delle entrate che affluiscono al suo bilancio, ma non include le spese relative al personale, la cui assegnazione si attesta all’Amministrazione centrale. L’Istituto che dirige sarebbe in grado di coprire anche gli stipendi?

Touché. Dal Ministero ci giungono diversi benefici. Non solo il contributo annuo – che per noi è una percentuale interessante del bilancio, una valida integrazione agli introiti di bigliettazione – ma anche finanziamenti per interventi d’urgenza, per la progettazione di restauri e rifunzionalizzazioni, oppure acquisti di opere d’arte e di immobili; le più importanti acquisizioni degli ultimi due anni, l’arazzo di Giulio Romano e la tela del Grechetto, vengono da lì. Per non parlare del costo del personale. Se le prime voci entrano in bilancio e lo irrobustiscono, l’ultima voce, il personale, nemmeno entra in bilancio, ma una stima a spanne del costo del personale ci fa capire che se gravasse su di noi dovremmo o rinunciare a molte attività, o cercare di incassare con modalità che oggi ci possiamo permettere di tenere oltre l’uscio, o, peggio ancora, risparmiare sul personale.

A proposito di personale, è in sottorganico? Sarebbe preferibile che fosse il direttore a indicare all’Amministrazione centrale le figure professionali secondo le necessità tecnico-operative di cui ha bisogno?

L’Istituto è in forte sottorganico (“come tutti”, sento in coro gli altri direttori). Ma una cosa è il sottorganico rispetto alla carta, ossia rispetto alle piante organiche, altra cosa è quello effettivo. Dire che abbiamo poco meno del 70% del personale di Museo, non rende l’idea: se diciamo che apriamo una struttura di 35.000 mq, con un percorso minimo/medio di oltre quaranta ambienti monumentali, includendo il Museo Archeologico, con magari solo quindici unità ministeriali in servizio, si capisce un po’ meglio. È chiaro che a queste condizioni è difficile garantire un servizio di qualità, ovvero far sì che il personale possa essere impegnato in maniera adeguata. Tra l’altro, il percorso esclude ampie aree chiuse al pubblico, un vero peccato, e la situazione diventerà paradossale nel momento in cui avremo restaurato e restituito alla collettività (ma come?) sale e camere e gallerie e saloni dell’immenso complesso palatino, che amo definire con malcelato orgoglio il “nostro monolocale”. Ma la situazione è ancor peggiore sul fronte del personale tecnico: i geometri interni sono più rari dei panda, da noi l’ultimo è andato in pensione cinque anni fa; portiamo avanti qualcosa come 14 milioni di euro di appalti, ma mentre scrivo mi viene in mente che oggi ho in servizio solo un funzionario architetto, in part time, troppo sommerso da richieste di subappalto, SAL, CEL e monitoraggi, perché possa mettere piede in cantiere; figuriamoci pensare a un allestimento museale. Nonostante il sovraccarico di lavoro e le carenze di organico, se entro 48 ore non rispondi a una qualsiasi richiesta di informazioni da parte dell’utenza sei subito il “solito dipendente pubblico”. All’estero ci mettono anche un mese per rispondere a una mail e chiudono per tre anni un museo per riallestirlo. Noi siamo aperti 320 giorni all’anno, sentendoci quasi in colpa per i cantieri di miglioramento sismico e strutturale che portiamo avanti. Tornando alla domanda che mi pone, in realtà l’Istituto già indica le necessità, ma da lì ad avere immediata soddisfazione ci passano i concorsi pubblici.

In quale misura il Museo partecipa al Fondo di riequilibrio finanziario tra gli istituti e i luoghi della cultura statali?

Con il consueto 20% del “Fondo di sostegno”. Anni fa, quando ero alla direzione del Polo Museale della Lombardia, ma con un assetto diverso dall’attuale, avevo proposto di individuare percentuali diverse, in base alle potenzialità economiche e alle capacità di spesa dei singoli istituti. Se però oggi mi chiedessero il 21%, credo che telefonerei piangendo al prof. Osanna.

Mantova, Palazzo Ducale
Mantova, Palazzo Ducale
Mantova, Palazzo Ducale
Mantova, Palazzo Ducale
Mantova, Palazzo Ducale
Mantova, Palazzo Ducale
Mantova, Palazzo Ducale
Mantova, Palazzo Ducale
Mantova, Palazzo Ducale
Mantova, Palazzo Ducale
Mantova, Palazzo Ducale
Mantova, Palazzo Ducale

Una delle principali novità introdotta per i musei autonomi è la loro governance. L’organizzazione direttore-cda-comitato scientifico funziona a livello gestionale, non in via teorica, ma proprio in pratica? Con quale cadenza convoca il comitato scientifico? In un’intervista l’allora dg Antonio Lampis osservò che i componenti di questi organi spesso invece di “supportare il direttore ne ‘paralizzano’ l’attività per personalismi.” Se condivide questa osservazione, quale potrebbe essere l’alternativa?

Condividere strategie, opinioni e direttive con persone di esperienza, come quelle che fanno parte del consiglio d’amministrazione e del comitato scientifico, non è un problema, ma una fortuna e una sacrosanta necessità, dato che spendiamo soldi pubblici. Semmai, intravedo il rischio opposto: di personalismi nell’evitare il confronto e nel decidere tutto da soli. Nei primi sei mesi dell’anno confesso di aver convocato formalmente il comitato scientifico solo due volte, ma in compenso ho scritto loro almeno una mezza dozzina di volte, per pianificare le “campagne acquisti”, chiedere pareri di congruità, discutere di strategie espositive. Loro condividono pareri e anche responsabilità, mi aiutano a raddrizzare il tiro e mi offrono la loro esperienza per un confronto. Tutto questo gratis. Del resto, non credo che, da un punto di vista formale, il parere negativo di un membro del comitato scientifico possa impedirci di fare qualcosa; così come non seguirei le loro richieste se mi chiedessero di annettere la Cina. Il consiglio d’amministrazione offre inoltre l’opportunità di confrontarsi con altre esperienze e modelli di gestione.

Passiamo all’autonomia scientifica: può parlarci delle attività di ricerca e del vostro piano di valorizzazione? Si connota per un tratto distintivo?

In questi due anni e poco più di mandato, abbiamo optato per due eventi espositivi l’anno; uso la prima persona plurale perché parlo a nome di un gruppo che lavora in maniera meravigliosa. In primavera, una mostra dossier, su un argomento di estensione limitata: un approfondimento scientifico; in autunno una mostra più ampia, come quella su Pisanello dello scorso anno. Ora stiamo progettando le mostre del 2024 e, oltre a questo, un riordino delle collezioni, l’esposizione permanente di materiali sin qui relegati in deposito, un catalogo scientifico della scultura in Palazzo Ducale. Il fil rouge di queste attività è la riflessione intorno al monumento, alla sua storia, ai suoi contenuti; in sostanza, si cerca di completare la “narrazione” del Museo stesso. Ogni mostra è un momento di cura, comprensione e interpretazione del monumento. Ogni mostra vuole essere l’occasione per un riallestimento permanente, per una revisione stabile del percorso espositivo e delle sue collezioni. Sarebbe ideale poter progettare il riallestimento del Museo in un sol colpo, anziché procedere a singhiozzo e, tutto sommato, per riuscirci basterebbe un decreto che aumenti a trenta le ore del giorno.

Avete previsto delle iniziative di fidelizzazione dei cittadini? Se sì, quali? Come si inserisce il Museo nelle dinamiche anche di sviluppo economico, oltre che culturale, della comunità e del territorio di riferimento?

Oltre agli eventi espositivi, abbiamo programmato in primavera ed estate una serie di concerti serali in Museo, preceduti da aperitivi: un modo per far sì che il museo sia sentito come un luogo familiare. I nostri abbonati speciali sono accolti in aree normalmente chiuse e il nostro personale promuove la visita di parti del Palazzo non sempre accessibili. Ruotano gli spazi visitabili, per invitare a tornare anche chi è stato più volte in Palazzo Ducale. Non si finisce mai di scoprirlo e ammirarlo. Quanto allo sviluppo economico, credo che lo sblocco dei cantieri, i 14 milioni di cui sopra e altri ancora, sia un’opportunità che pochi istituti siano in grado di offrire nella provincia di Mantova. Attiriamo ditte e operatori economici. Tenendo stoicamente aperto il museo in tutti i ponti, ogni domenica, ogni festività, sosteniamo o forse guidiamo l’economia turistica, in una nobile ‘competizione’ con le altre realtà urbane, principalmente Palazzo Te. Se la ‘gara’ è a chi fa meglio, spronandoci vicendevolmente, l’offerta culturale cittadina non ha che da guadagnarci.

Capitolo tutela: a chi si intesta? Al Museo o alla Soprintendenza? In Sicilia, dove il modello aziendalistico applicato agli istituti culturali è stato introdotto prima che nello Stato, nel lontano 2000, è previsto che sia il Soprintendente a presiedere il Comitato. La ritiene una “formula” alternativa o pensa che possa alimentare conflitti tra Soprintendente e Direttore?

La soluzione individuata dal Segretariato Generale nel 2018 porta a una “condivisione”, anche con valore prescrittivo, tra Museo e Soprintendenza, ma certo si sente la differenza tra le aree archeologiche, dove anche la tutela è in capo al Museo autonomo. Amo il lavoro di Soprintendenza: dopo aver lavorato alcuni anni come restauratore, dal 2000 al 2015 sono stato funzionario di Soprintendenza, e il confronto può essere, come ogni confronto, occasione per affinare le modalità di tutela, ma la sequenza burocratica vista dalla stazione appaltante – progettazione, parere Soprintendenza, gare, esecuzione lavori – è un calvario. Nel nostro caso specifico, la condivisione di progetti di OS2A è quasi una mera formalità, che potrebbe trovare una soluzione più spedita, un automatismo.

Tema di grande attualità, la gratuità dei musei. Gabriele Finaldi, che l’ha diretta fino allo scorso agosto, ha detto “free admission is in the DNA of the National Gallery” (di Londra). La genetica insegna che il DNA può mutare, Lei crede che si tratti di un modello importabile in Italia, con i dovuti adattamenti? È ipotizzabile rinunciare totalmente alle risorse prodotte dai biglietti di ingresso?

La National Gallery è sicuramente un modello, ma ricordo che, senza allontanarci troppo da Piccadilly Circus, la visita a Buckingham Palace costa 33 sterline. La National Gallery è un grande investimento statale: un modello applicabile forse su uno o su pochi musei italiani di alta rappresentanza nazionale; ma possiamo immaginare che lo Stato tenga dignitosamente aperti le centinaia di siti museali statali, diffusi sul territorio, senza introitare un centesimo e senza spingerli a migliorarsi sotto quella forma di responsabilizzazione che è l’autonomia? Non dimentichiamo che, al di là delle prime domeniche del mese gratuite, che non amo particolarmente, la funzione educativa è garantita dall’ingresso gratuito fino ai 18 anni e da un risibile biglietto ridotto (che si potrebbe anche azzerare) di due euro fino a 25 anni. Nel caso mantovano, si potrebbe ragionare su base stagionale, per agevolare e distribuire i flussi in quei periodi dell’anno, come febbraio, quando il Museo si svuota; o lavorare su giornate e fasce orarie, sempre con la stessa finalità. Io credo che si dovrebbero incentivare i servizi per le scuole, magari anche prevedendo attività didattiche gratuite. Questo argomento ne apre poi altri cento, tra i quali quello della mediazione culturale, che mi piacerebbe affrontare, se avessimo le forze per farlo.

Ci sono momenti di scambio, come tavoli tecnici convocati con una certa regolarità, tra voi direttori autonomi per confrontare le diverse esperienze? Replicare quelle riuscite o risolvere problemi comuni? Oppure è prevalso uno spirito competitivo? Il confronto più immediato (ma anche il più banale) sui numeri dei visitatori non crea un po’ di ansia da prestazione?

Le occasioni di scambio strutturate non sono molte, salvo quelle dovute ad amicizie personali o a quelle nate sotto l’egida della Direzione Generale, che nel suo ruolo di coordinamento ci aiuta a condividere problemi e soluzioni.

In sintesi qual è il suo bilancio dell’esperienza autonomistica? Se dovesse quantificarlo in un voto da 0 a 10?

Tra il sette e l’otto. Agli albori dell’esperienza ero scettico, ora invece mi sembra impossibile pensare di tornare indietro. L’autonomia, anche se parziale, ci ha dato un nuovo modo di vedere le cose e soprattutto un nuovo modo di vivere il rapporto con il pubblico, che oggi è parte viva del museo.

Quando termina il Suo contratto? Quali programmi ha? Parteciperà ai nuovi concorsi?

A ottobre 2024 termina il primo quadriennio, rinnovabile, e spero che si dimentichino di me e mi lascino a Mantova; se volessero sostituirmi, sarei pronto ad arroccarmi nel castello e ad alzare il ponte levatoio. Scherzi a parte, i lavori faticosamente avviati si devono concludere nel 2026 e mi piacerebbe esserci per brindare, dopo tanta fatica. La sicurezza di un impegno a lungo termine agevolerebbe inoltre la programmazione degli eventi, degli allestimenti, delle mostre. Auspico inoltre che i concorsi vengano fatti con ampio anticipo rispetto alla scadenza dei contratti e non dopo la loro decorrenza, per evitare periodi di indecisione, che un Museo di questo tipo e con i lavori in corso non si può permettere. Se non dovessi essere confermato in Palazzo Ducale, sicuramente parteciperei ad altri concorsi per la direzione dei musei. Dal 2015 opero in questo settore specifico e credo di aver imparato qualcosa.


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Silvia Mazza

L'autrice di questo articolo: Silvia Mazza

Storica dell’arte e giornalista, scrive su “Il Giornale dell’Arte”, “Il Giornale dell’Architettura” e “The Art Newspaper”. Le sue inchieste sono state citate dal “Corriere della Sera” e  dal compianto Folco Quilici  nel suo ultimo libro Tutt'attorno la Sicilia: Un'avventura di mare (Utet, Torino 2017). Come opinionista specializzata interviene spesso sulla stampa siciliana (“Gazzetta del Sud”, “Il Giornale di Sicilia”, “La Sicilia”, etc.). Dal 2006 al 2012 è stata corrispondente per il quotidiano “America Oggi” (New Jersey), titolare della rubrica di “Arte e Cultura” del magazine domenicale “Oggi 7”. Con un diploma di Specializzazione in Storia dell’Arte Medievale e Moderna, ha una formazione specifica nel campo della conservazione del patrimonio culturale (Carta del Rischio).





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