“La gestione delle risorse umane è il più grande punto debole della riforma”, per James Bradburne. “Il direttore di un museo autonomo è uno ‘pseudo-datore di lavoro’ che, però, non decide”: ad esserne convinta è Cecilie Hollberg. Con la doppia intervista, rispettivamente, al direttore della Pinacoteca di Brera a Milano e alla direttrice della Galleria dell’Accademia di Firenze prende il via l’inchiesta a puntate che Finestre sull’arte ha deciso di dedicare ai musei autonomi a quasi dieci anni dalla prima Riforma Franceschini. Se sembra che l’unica distinzione apprezzabile tra musei di prima fascia (la Pinacoteca) e seconda (la Galleria) consista nel diverso, significativo, trattamento economico dei rispettivi direttori, entrambi gli intervistati sono d’accordo sulla necessitò di gestire autonomamente anche l’organico, e non solo le risorse finanziarie, come è attualmente. Opinioni divergenti su altri fronti: per Bradburne l’ulteriore riconoscimento a questi musei “speciali” della personalità giuridica sarebbe la chiave della svolta, mentre sarebbe uno svantaggio, invece, per Hollberg; difettosa per il primo la struttura di governance, valida invece per la seconda, che però lancia l’allarme per la mancata rinomina del Collegio dei revisori che rischia di paralizzare il museo. Le preoccupazioni che avevano accompagnato l’avvio della Riforma sul rischio che le attività di valorizzazione potessero prevalere su quelle inerenti la tutela sembrano fugate, almeno per questi primi due casi, dall’attenzione prestata da entrambi i direttori alla seconda. E poi, impegno sul fronte della fidelizzazione della comunità cittadina. Ma se Bradburne spiega a quali condizioni si può parlare di gratuità dei musei, Hollberg è scettica. In chiusura, quest’ultima non se la sente di dare un voto alla sua esperienza autonomistica, mentre il museologo britannico assegna una clamorosa insufficienza.
Ci sono due diversi gradi di autonomia: musei di livello dirigenziale generale e non generale. Cosa comporta il fatto che i primi dipendano “funzionalmente” dalla Direzione generale e i secondi siano sottoposti ai poteri di indirizzo, coordinamento e controllo della Direzione Musei?
James Bradburne. In effetti la Pinacoteca è uno degli undici musei che dipende direttamente dal Segretario Generale del MiC, ed è allo stesso livello della Direzione Generale Musei, il che le conferisce un grado di autonomia maggiore rispetto ad altri musei, come ad esempio quelli di Modena o il Bargello. Ci sono alcune decisioni che devono essere coordinate con la DG Musei, ma in genere si tratta di informazioni e non di approvazioni, quindi nella maggior parte delle questioni operative siamo effettivamente autonomi per quanto riguarda l’utilizzo del nostro budget e la nostra strategia. Purtroppo il 2014 non ha mai garantito l’autonomia nella gestione delle Risorse Umane, che è il più grande punto debole della riforma.
Cecilie Hollberg. La differenza sostanziale consiste nel fatto che i direttori dei primi – che guadagnano il doppio – rispondono direttamente al Ministro, attraverso il Segretario Generale, mentre i secondi, tra i quali rientra la Galleria dell’Accademia di Firenze, al Direttore Generale Musei. Innanzitutto c’è da domandarsi perché ci sono queste distinzioni tra i musei. Non vi è una logica comprensibile che spieghi i criteri per cui sono state fissate queste due fasce. La Galleria dell’Accademia di Firenze per esempio occupa stabilmente la seconda posizione tra i musei più visitati d’Italia e da sempre contiamo il numero di visitatori più alto a metro quadro. Se procede come iniziato, nel 2023 supereremo di molto il numero di visitatori del 2019. La Galleria dell’Accademia oltre a questo occupa una posizione molto esposta. Abbiamo degli introiti invidiatici da molti.
Il Ministero resta a vario grado coinvolto nell’ambito del procedimento decisionale. Secondo Lei sarebbe opportuno o al contrario deleterio compiere un ulteriore passo, riconoscendo personalità giuridica a questi istituti “speciali”?
JB. La chiave per liberare l’enorme potenziale dei grandi musei del Paese è la concessione di una completa autonomia sia economica che di risorse umane, che potrebbe essere ottenuta riconoscendoli come “personalità giuridica”. Il passaggio a fondazione è solo una delle tante possibilità, e certamente l’autonomia potrebbe essere raggiunta in altri modi. L’importante è avere la possibilità di gestire sia le risorse economiche che quelle umane, facendo capo a un Consiglio di amministrazione autonomo e indipendente.
CH. Sinceramente abbiamo già tutti gli svantaggi della personalità giuridica. Il Certificato Prevenzione Incendi (CPI) del mio museo per esempio era scaduto 11 anni prima che io arrivassi, ma la multa l’ho dovuta pagare io personalmente. Parlo per il museo da me diretto: poter gestire il personale in modo autonomo sarebbe essenziale, significherebbe non dover aspettare un concorso centrale. Potrei finalmente acquisire i professionisti indispensabili. Un museo non corrisponde a un ministero e ci sono professionalità specifiche non considerate finora, come un registrar o un curatore di strumenti musicali. Peraltro, la Galleria dell’Accademia sarebbe uno dei pochi, se non l’unico museo forse, in grado di autofinanziarsi per pagare gli stipendi del personale. Naturalmente, non tutti gli istituti autonomi sono in grado di farlo e comprendo che non è facile trovare la soluzione a livello nazionale. Ecco, questa sarebbe una diversificazione su basi oggettive.
Anche l’assegnazione degli organici si attesta all’Amministrazione centrale che provvede (o dovrebbe provvedere) alle figure professionali. Il Museo che dirige è in sotto organico? Sarebbe preferibile che fosse il direttore a indicare il “capitale umano”, con adeguata e specifica formazione, secondo le necessità tecnico-operative di cui ha bisogno? L’autonomia finanziaria arriverebbe a coprire anche gli stipendi?
JB. Vedi sopra. Ogni museo è diverso e ha bisogno di profili professionali diversi. La questione dell’essere “sotto organico” si riferisce solo all’organico attualmente stabilito dal Ministero centrale, che è obsoleto e non adeguato alle reali esigenze delle diverse istituzioni. Una vera autonomia significherebbe che ogni istituzione potrebbe proporre l’organico adatto alle sue caratteristiche locali, alla sua missione e alla sua strategia. Solo così si potrebbe valutare se il museo è sovra o sottorganico.
CH. Mi ricollego a quanto già spiegato. Il direttore di un museo autonomo è un “pseudo-datore di lavoro” che, però, non decide. Per quanto riguarda il personale noi siamo sottorganico dal 2015 fino al 40-50%. Grazie al personale Ales – giovani, bravissimi, costosissimi per noi, poco arriva a loro - riusciamo a gestire il quotidiano. Un aiuto fondamentale per gli eventi ci viene dall’Associazione degli Amici della Galleria dell’Accademia, che paga in conto terzi lo straordinario. Per quanto riguarda le figure professionali, consideri che un funzionario amministrativo e un restauratore ci sono stati assegnati solo a distanza di tre anni dal riconoscimento dell’autonomia. E sempre nel 2018, l’arrivo di un architetto istituzionale ci ha permesso finalmente di avviare fondamentali lavori per la messa in sicurezza e il miglioramento della funzionalità dell’edificio. Con la collega Paola D’Agostino dei Musei del Bargello ci siamo sostenute in tutti questi anni a vicenda dove potevamo.
Come partecipa il Museo al Fondo di riequilibrio finanziario tra gli istituti e i luoghi della cultura statali?
JB. Avendo sempre avuto buone entrate (anche se non robuste come quelle degli Uffizi o del Colosseo) abbiamo sempre contribuito al Fondo di riequilibrio finanziario tra gli istituti e i luoghi della cultura statali.
CH. La Galleria contribuisce regolarmente a versare il 20% degli introiti dalla bigliettazione al Fondo. Della redistribuzione a favore degli istituti economicamente “più deboli” se ne occupa giustamente la Direzione Generale.
Una delle principali novità introdotta per i musei autonomi è la loro governance. L’organizzazione direttore-cda-comitato scientifico, revisori, funziona a livello gestionale, non in via teorica, ma proprio in pratica? Con quale cadenza convoca il comitato scientifico? In un’intervista l’allora direttore generale Antonio Lampis osservò che i componenti di questi organi spesso invece di “supportare il direttore ne ‘paralizzano’ l’attività per personalismi”. Se condivide questa osservazione, quale potrebbe essere l’alternativa?
JB. La struttura proposta dalle riforme è più o meno quella corretta: un Direttore Generale che riferisce a un Consiglio di Amministrazione su tutte le questioni legali, finanziarie e strategiche, con un Comitato Consultivo Scientifico volto a garantire che la strategia del museo sia coerente e di alta qualità. In realtà, l’attuazione è difettosa sotto diversi aspetti: in primo luogo, il DG è anche il presidente del Consiglio di amministrazione, il che significa che la sua capacità di esercitare un ruolo di contenimento è limitata; in secondo luogo, il DG è anche presidente del su proprio Comitato scientifico, mentre dovrebbe servire a guidare il direttore con un ascolto obbligatorio ma non vincolante. Queste due debolezze danno luogo a un Consiglio di fondazione spesso sottoutilizzato (anche se non a Brera, dove i fiduciari svolgono un ruolo positivo e attivo nella governance) e a un Comitato scientifico che spesso opera come singoli, non in armonia per fornire consigli sulle linee generali della strategia museale (il comitato scientifico è convocato generalmente 3 volte all’anno). Questi punti deboli potrebbero essere affrontati separando il ruolo del DG da quello del Consiglio, ma con la conseguenza di rendere il Presidente del Consiglio responsabile del museo, riferendo al Ministro della Cultura. Questo funzionerebbe solo se il consiglio del museo e il suo presidente fossero completamente autonomi e a distanza dall’influenza politica: nazionale, regionale o comunale. Per il momento l’attuale struttura può andare bene.
CH. Per la mia personale esperienza posso dirle che sono fortunata e vado molto d’accordo con il Comitato scientifico, il CdA e i revisori, che convoco regolarmente, come richiesto dalla normativa. La Galleria dell’Accademia è stata interessata da importanti lavori di riallestimento, per cui ho sempre cercato il confronto con gli organi e i suoi componenti anche quelli non riconfermati. Dallo scorso settembre, invece, non è stato nominato il Collegio dei revisori dei conti e questo è un grave problema che potrebbe bloccare presto l’attività del museo. Condividiamo comunque questa situazione di stallo con altri colleghi.
Passiamo all’autonomia scientifica: può parlarci delle attività di ricerca e del vostro piano di valorizzazione? Si connota per un tratto distintivo?
JB. Abbiamo deciso fin dall’inizio di concentrarci sulla conservazione come attività chiave del museo e abbiamo due laboratori di conservazione funzionanti e aperti al pubblico. La nostra ricerca scientifica si concentra sui “dialoghi” che ospitiamo due o tre volte l’anno, che prevedono la presenza di opere invitate per consentire nuove ricerche scientifiche da parte dei nostri studiosi e di quelli invitati, con dipinti affiancati. Ne sono un esempio lo Sposalizio di Perugino e Raffaello (2016); Caravaggio, Finson e la cosiddetta Giuditta di Tolosa (2017); Caravaggio e Rembrandt (2019) e molti altri. Il nostro programma scientifico è un’attività rivolta al pubblico che coinvolge attivamente la comunità.
CH. È stato un periodo complicato, 40-50% sotto organico, a museo aperto ai visitatori, quasi tre anni di grandi cantieri di messa in sicurezza, di riqualificazione e riallestimento, che hanno interessato tutti i 3000 mq della superficie museale, che sono coincisi con la chiusura e tutte le restrizioni imposte dalla pandemia. Grazie ad un lavoro di squadra mastodontico, con l’inaugurazione della Gipsoteca, ultimo tassello di questi lavori e per il cui rinnovamento mi sono avvalsa dei consigli di Carlo Sisi (presidente dell’Accademia di Belle Arti), siamo riusciti a traghettare la Galleria dell’Accademia di Firenze nel ventunesimo secolo, come richiesto dalla riforma. Nuovissime tecnologie sono state applicate per la conservazione e valorizzazione delle opere; in primo luogo il nuovo impianto illuminotecnico che ha garantito da un lato un notevole risparmio energetico ma soprattutto ha permesso di mettere in luce i nostri capolavori. Ne è la dimostrazione il nuovo equilibrio raggiunto dalla distribuzione dei visitatori negli spazi, non più ammassati esclusivamente davanti al David ma attratti dalle altre opere sapientemente illuminate. In questi anni sono state acquisite 15 nuove opere; sono stati scansionati circa 25.000 documenti dell’importante archivio Lorenzo Bartolini; realizzate campagne fotografiche di tutte le opere o digitalizzate in altissima definizione, come il David di Michelangelo nel 2020. Tutto sostenuto con fondi del museo, dalla bigliettazione alle sponsorizzazioni. Un tratto distintivo è che ogni mostra, inaugurata a cadenza annuale e sempre nei periodi di bassa stagione per attirare più turisti, nasce dalle collezioni della Galleria, e sono il risultato di rigorosi studi scientifici. Dalla prima esposizione nel 2016 sul Carlo Portelli a Giovanni dal Ponte o Tessuto e ricchezza a Firenze nel Trecento. Lana, seta e pittura, fino all’ultima, dell’anno scorso (Michelangelo. L’effigie in bronzo di Daniele da Volterra), in cui per la prima volta sono stati raccolti in un’unica sede tutti gli esemplari antichi dei busti in bronzo di Michelangelo, provenienti da vari musei internazionali. Coinvolgendo esperti internazionali siamo riusciti a trovare la risposta dopo quasi 500 anni. Nel 2019, abbiamo dato, anche, una nuova identità visiva della Galleria, a partire dal nuovo logo. Ci siamo impegnati a realizzare pubblicazioni scientifiche e giornate di studi, fare campagne di conservazione su tutte le opere oltre alla manutenzione ordinaria.
Avete previsto delle iniziative di fidelizzazione dei cittadini? Se sì, quali? Come si inserisce il museo nelle dinamiche anche di sviluppo economico, oltre che culturale, della comunità e del territorio di riferimento?
JB. La missione principale del museo è e deve essere il servizio alla comunità: il suo contributo allo sviluppo economico, al turismo, ecc. deve sempre rimanere una conseguenza secondaria del servizio alla comunità. A Brera abbiamo dedicato otto anni a creare iniziative per, con e attraverso la comunità milanese, che sono descritte nel Rapporto annuale che pubblichiamo ogni luglio.
CH. Tengo molto a un costante racconto alla comunità di riferimento per rinsaldare il senso di una appartenenza culturale. Non potrebbe essere diversamente dato che le collezioni della Galleria dell’Accademia di Firenze sono legate al territorio fiorentino. Nel 2017, ho fondato l’Associazione degli Amici della Galleria dell’Accademia di Firenze, con lo scopo di coinvolgere i cittadini, i giovani, e non solo, ma rendendoli protagonisti delle diverse iniziative, come restauri, conferenze, concerti e progetti, tra i quali “Chatta col David”. In un’ottica di rete, ho allacciato una stretta collaborazione con altre Istituzioni sul territorio, come l’Istituto degli Innocenti, l’Accademia di Belle Arti di Firenze, i Musei del Bargello, l’Opera del Duomo, ma anche oltre i confini regionali e nazionali, con la Galleria Nazionale dell’Umbria, il Museo Archeologico di Reggio Calabria, il Museo Gypsotheca Antonio Canova di Possagno, il Teatro della Gioventù di Vienna o l’Orchestra Statale di Braunschweig. In questi anni sono nate collaborazioni importanti con università italiane e straniere, ricordo, per fare qualche esempio, DICEA - Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale, Università di Firenze, Università Bocconi, IULM, IED, SACI, Università Roma Tre.
Capitolo tutela: a chi si intesta? al Museo o alla Soprintendenza? In Sicilia, dove il modello aziendalistico applicato agli istituti culturali è stato introdotto prima che nello Stato, nel lontano 2000, è previsto che sia il Soprintendente a presiedere il Comitato. La ritiene una “formula” alternativa o pensa che possa alimentare conflitti tra Soprintendente e Direttore?
JB. Per me la tutela è il fondamento della missione del museo ed è responsabilità del Direttore. Aggiungere altre figure significa creare confusione e potenziali conflitti.
CH. Abbiamo la responsabilità della tutela sia dell’edificio che delle opere. La ritengo una soluzione valida. Con la Soprintendenza, in ogni caso, abbiamo aperto fin dall’inizio in massima trasparenza un tavolo tecnico di costante confronto. Tutti gli interventi sulle opere d’arte sono stati effettuati da restauratori specializzati, formati all’Opificio delle Pietre Dure, nell’ambito di un piano specifico gestito e coordinato da me e dal funzionario restauratore interno alla Galleria, dopo il suo arrivo. Abbiamo ottenuto l’ordinanza sulla tutela dell’immagine del David dal Tribunale di Firenze. Una vittoria epocale, un apripista per tutti i beni culturali. È diventato oggetto di ricerca alle università europee, un nuovo campo giuridico e un’importante fonte di introiti.
Tema di grande attualità, la gratuità dei musei. Gabriele Finaldi, che l’ha diretta fino allo scorso agosto, ha detto “free admission is in the DNA of the National Gallery” (di Londra). La genetica insegna che il DNA può mutare, Lei crede che si tratti di un modello importabile in Italia, con i dovuti adattamenti? È ipotizzabile rinunciare totalmente alle risorse prodotte dai biglietti di ingresso?
JB. La pratica dell’ingresso gratuito nei musei statali britannici non si basa su un principio astratto, ma sul fatto che, quando fu istituita, il turismo internazionale non era una caratteristica del panorama culturale. L’ingresso gratuito riconosceva che ogni cittadino che aveva pagato le tasse aveva già pagato l’ingresso ai musei statali (una situazione simile al canone della BBC: in Gran Bretagna la BBC non fa pubblicità, ma se si usa il suo sito web dall’estero sì, perché non si paga già il canone). Tuttavia, la sovvenzione statale della National Gallery di Londra è di circa 50.000.000 di euro all’anno, mentre la Pinacoteca ne riceve al massimo un quarto. La domanda è quindi: i cittadini inglesi hanno già pagato il loro ingresso? A mio parere sì, e assumendo questa posizione lo Stato incoraggia anche la fruizione del museo non basata su visite una tantum.
CH. Non credo funzionerebbe in Italia, perché le opere d’arte in Italia sono innumerevoli e si trovano ovunque, di conseguenza anche l’uso e la mentalità che ne deriva sono molto diverse. La Galleria dell’Accademia di Firenze non potrebbe rinunciare ai considerevoli e regolari introiti da bigliettazione con i quali sostiene anche altri musei, vedi sopra. Il modello Finaldi funzionerà in Inghilterra, ma sinceramente non è applicabile all’Italia. Quello che possiamo fare, come Istituto autonomo, è offrire ai nostri visitatori, senza aumentare il costo del biglietto, la possibilità di visitare le esposizioni che organizziamo e che, come detto prima, sono il risultato di studi scientifici. Un impegno considerevole che ci vede apripista anche in questo caso sul modello italiano. La gratuità magari potrebbe incentivare, invece, la visita in un museo piccolo, poco frequentato, dove pesa inoltre il costo di tenere un addetto alla biglietteria.
Ci sono momenti di scambio, come tavoli tecnici convocati con una certa regolarità, tra voi direttori autonomi per confrontare le diverse esperienze? Replicare quelle riuscite o risolvere problemi comuni? Oppure è prevalso uno spirito competitivo? Il confronto più immediato (ma anche il più banale) sui numeri dei visitatori non crea un po’ di ansia da prestazione?
JB. Non credo che ci sia competizione tra i musei e ritengo che il numero dei visitatori sia un mezzo del tutto inappropriato per valutare o confrontare le prestazioni di un museo. La chiave dell’autonomia è riconoscere che ogni museo è profondamente diverso nella sua missione, nella sua strategia e nella natura della comunità che serve. I direttori dei musei statali si incontrano in modo informale, anche se sporadico, ma certamente ci parliamo quando ci sono questioni su cui abbiamo bisogno di condividere la nostra esperienza. Almeno con l’assunzione iniziale di 20 nuovi direttori c’è sempre stato un sano spirito di squadra. Siamo anche in contatto con le nostre reti di direttori fuori dall’Italia, come Gabriele Finaldi, che è un amico di lunga data.
CH. Bisogna dire che dal 2015 ci sono stati tre direttori generali diversi, quindi tre approcci altrettanto diversi. Non ci siamo riuniti regolarmente, siamo ormai 44 musei autonomi ed esiste una differenza tra i primi 20 e gli altri a seguire. Ci sono direttori di museo, come me, che hanno ormai un’esperienza di 7 anni e 6 governi mentre altri hanno iniziato da poco ed è inevitabile che i percorsi siano differenti. Per quanto mi riguarda, non c’è uno spirito competitivo, non è nella mia natura, lo trovo assurdo, ovviamente non posso parlare per i miei colleghi. Penso sia sbagliato basarsi esclusivamente sui numeri: 100 visitatori in più a Taranto o Reggio Calabria (dove i colleghi hanno fatto un lavoro eccezionale), “valgono” molto di più dello stesso numero a Roma o Firenze, città ben connesse e raggiungibili. Come direttore della Galleria dell’Accademia di Firenze mi considero fortunata, ma anche molto esposta, sono a capo di un museo conosciuto a livello internazionale che registra un numero enorme di visitatori, credo, però, che sia fondamentale condividere le esperienze e l’approccio con gli altri direttori, sia statali che non, per promuovere la cultura che dovrebbe essere l’obiettivo fondamentale del nostro incarico. E riallacciandomi alla sua precedente domanda sulle fasce, non se ne comprende il motivo e su quali basi siano state assegnate. Non si capisce, ad esempio, perché la Galleria dell’Accademia di Firenze che è tra i primi due musei in Italia sia di seconda e non di prima. Sarei per togliere questa distinzione e rendere tutti i musei uguali.
In sintesi, qual è il suo bilancio dell’esperienza autonomistica? Se dovesse quantificarlo in un voto da 0 a 10?
JB. Sull’autonomia soltanto, massimo 5 poiché manca la parte di risorse umane.
CH. Non posso dare voti. Il mio primo mandato è stato condizionato da una partenza notevolmente a rilento rispetto all’Istituto in questione, ribadisco che i primi funzionari assegnati alla Galleria sono arrivati dopo circa tre anni dal mio insediamento con tutte le problematiche connesse alle attività di programmazione e pianificazione pluriennale. Durante il mio percorso, nel 2019 con il cambio di governo e di ministro, la Galleria dell’Accademia di Firenze ha perso l’autonomia e sono stata destituita dal mio ruolo, per telefono in pieno agosto entro due settimane senza alcuna spiegazione o motivo. Dopo alcuni mesi, sono stata riassegnata alla direzione del museo, del quale era stata chiuso il sito e bloccata l’identità digitale, e questo ha significato ricominciare praticamente da capo, opere e personale erano state smembrate e portati agli Uffizi, il bilancio di nuovo da dividere da quello loro, insomma una perdita di tempo e risorse non indifferente.
Quando termina il Suo contratto? Quali programmi ha? Parteciperà ai nuovi concorsi?
JB. Il mio contratto scade il 30 settembre 2023 e troverò sicuramente altre opportunità.
CH. Il mio contratto scade a giugno del 2024, più tardi rispetto ai miei colleghi proprio per i motivi che spiegavo.
L'autrice di questo articolo: Silvia Mazza
Storica dell’arte e giornalista, scrive su “Il Giornale dell’Arte”, “Il Giornale dell’Architettura” e “The Art Newspaper”. Le sue inchieste sono state citate dal “Corriere della Sera” e dal compianto Folco Quilici nel suo ultimo libro Tutt'attorno la Sicilia: Un'avventura di mare (Utet, Torino 2017). Come opinionista specializzata interviene spesso sulla stampa siciliana (“Gazzetta del Sud”, “Il Giornale di Sicilia”, “La Sicilia”, etc.). Dal 2006 al 2012 è stata corrispondente per il quotidiano “America Oggi” (New Jersey), titolare della rubrica di “Arte e Cultura” del magazine domenicale “Oggi 7”. Con un diploma di Specializzazione in Storia dell’Arte Medievale e Moderna, ha una formazione specifica nel campo della conservazione del patrimonio culturale (Carta del Rischio).