A breve scadranno i contratti di 14 super direttori di musei e archeologici dotati di autonomia speciale. Tra gli altri, a settembre toccherà a Paolo Giulierini, a capo del MANN, Museo Archeologico Nazionale di Napoli; a ottobre James Bradburne, per la Pinacoteca di Brera; a novembre sarà la volta di Eike Schmidt, per le Gallerie degli Uffizi e di Sylvain Bellenger, per il Museo e Real Bosco di Capodimonte. Gli occhi sembrano tutti puntati sulle nuove selezioni pubbliche (resterà l’apertura internazionale?). Oltre a personalità di elevato profilo (a prescindere dalla nazionalità) l’altra garanzia dovrebbe essere quella di procedimenti di nomina dei direttori, e poi di gestione delle istituzioni culturali, al riparo da attenzioni partitiche e di cordate corporative ed accademiche.
Ma valutare il pilota di Formula1 a prescindere dalla macchina sarebbe miope. A quasi dieci anni dalla sua introduzione è, dunque, forse il momento di fare il punto sulla riforma targata Franceschini, di “valore epocale”, la definì da subito, in quello stesso 2014, ICOM Italia. La riforma (quinta riorganizzazione del Ministero), come noto, ha riconosciuto ad alcuni musei di rilevante interesse nazionale, fino a quel momento uffici delle soprintendenze, privi di un direttore, una forma di autonomia speciale, che li ha dotati di un proprio bilancio, statuto e organizzazione. E di un direttore. Sugli aspetti positivi/negativi o da perfezionare sentiremo direttamente i protagonisti, i direttori, perché se il lavoro è sempre frutto di un gioco di squadra e anche se il modello di gestione avrebbe dovuto attenuarla, nella pratica si è finiti spesso inevitabilmente in una personalizzazione della governance.
Cinque appuntamenti, in cui metteremo a confronto due istituti. Dieci in tutto, dunque, tra i venti che hanno un corso più lungo, istituiti all’avvio della riforma nel 2014: Galleria Borghese a Roma e Galleria degli Uffizi a Firenze; Galleria dell’Accademia a Firenze e Gallerie dell’Accademia a Venezia; Museo e Real bosco di Capodimonte e Pinacoteca di Brera; MANN, Museo archeologico nazionale di Napoli e Parco archeologico di Paestum; e Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria e GNAM, Galleria nazionale d’Arte moderna e contemporanea a Roma.
In particolare, l’unico parco archeologico previsto in origine, quello di Paestum, ci consentirà di verificare come sia stata “aggiustata” in corsa la riforma sul fronte della tutela: all’inizio nettamente separata, restando in capo alla soprintendenza territoriale, è stato poi “risolta” rimettendo in capo al direttore del parco anche la tutela dei beni e del territorio ricadente in quest’ultimo (mentre per i musei resta di pertinenza delle soprintendenze).
Un confronto “sinottico” per capire in che misura l’organizzazione direttore-cda-comitato funzioni a livello gestionale, non in via teorica, ma proprio in pratica, dato che soprattutto i comitati scientifici sembra che troppo spesso non vengano coinvolti nelle decisioni del direttore; per verificare la qualità scientifica dell’offerta culturale e il modo in cui viene assolta, le pratiche di conservazione, fruizione e valorizzazione; le attività di fidelizzazione dei cittadini e di coinvolgimento del territorio (quest’ultimo in particolare per i parchi archeologici); tutte attività che, stando alla mission del museo, come indicata anche dalla nuova definizione ICOM, dovrebbero attestare il suo “successo” più degli scontrini emessi, che sembrano, invece, essere l’unico parametro oggettivo per assegnare medaglie. E, ancora, autonomia, ma fino a che punto? in che misura questi musei riescono a provvedere con i propri mezzi alla valorizzazione e alla conservazione? C’è poi il problema della carenza di personale con adeguata e specifica formazione che non risparmia nemmeno queste “isole felici”, dato che la sua assegnazione resta in capo all’Amministrazione centrale.
Un’inchiesta “a puntate” per un quadro d’insieme, lungi dalla pretesa di offrire dati sistematici. Per questa servirebbe l’autovalutazione, importantissimo strumento di consapevolezza sui propri mezzi e sulle proprie necessità, indispensabile a orientare le azioni future per una continua ottimizzazione. Come già avviene con il questionario nazionale di verifica del possesso degli standard minimi e dei livelli uniformi di qualità, compiuta dalla stessa Direzione Musei e alla base del processo di accreditamento dei musei al Sistema museale nazionale. Oppure (ma l’una non escluderebbe l’altra) la valutazione tramite un organismo terzo, indipendente (Istat, Università, CNR, per esempio).
Dunque, cercheremo di capire se e come vengano valutate sistematicamente la qualità delle strategie operative messe in campo dai singoli istituti.
In questo articolo introduttivo, intanto, inquadriamo il tema, con rimandi al (poco noto) precedente siciliano, dove ai musei è stato riconosciuto lo status di “istituto” fin da una lontana legge del 1980 (l.r. 116/80, art. 6), integrata poi da un’altra norma specifica per i musei (l.r. 17/1991). Un “modello” prossimo, eppure surclassato dal richiamo preferito all’esperienza francese ed inglese, quali esempi di “autonomia limitata”. Dove il limite, dato dal “coinvolgimento dell’autorità nell’ambito del procedimento decisionale, tramite poteri di controllo e vigilanza” (M.C. Pangallozzi, in “Aedon”, 1, 2019), è lo stesso che si registra per i musei nazionali italiani (e per i precedenti siciliani, peraltro non menzionati da Pangallozzi, come da altri). Ma a differenza di musei d’oltralpe come il Louvre o il Musée d’Orsay, per quelli nostrani non si tratta di istituti dotati di personalità giuridica, non sono enti strumentali o ausiliario nei confronti dello Stato (o di una Regione autonoma, come nel caso siciliano, dove solo uno dei 14 parchi archeologici autonomi si qualifica come “ente”), comunque volti a perseguire scopi di natura pubblica e non lucrativi. Anche se non più mere articolazioni delle soprintendenze, si tratta sempre di uffici del Ministero competente: attraverso la Direzione generale Musei, che esercita poteri di direzione, indirizzo, coordinamento e controllo sulla maggior parte, e la Direzione generale da cui dipendono funzionalmente solo alcuni. Evidentemente per mettere al riparo l’autonomia da un’interpretazione in senso personale e autoreferenziale, come poi hanno di fatto confermato le “agitazioni” in seno ai comitati scientifici non convocati o i confronti in sede di Consiglio Superiore dei Beni culturali.
A riavvolgere il nastro con noi e fotografare la situazione attuale è Massimo Osanna, a capo di quella stessa direzione generale Musei creata nel 2014 con il Dpcm che ha introdotto per alcuni istituti il nuovo statuto giuridico che ha segnato una linea di demarcazione netta con un passato contraddistinto dalla “irrilevanza” soggettiva del museo. “Come noto”, spiega, “quel Dpcm 29 agosto 2014, n. 171, oltre a prevedere i Poli museali regionali (attuali Direzioni regionali musei, ndc.) ha conferito autonomia speciale a venti istituti, individuati tra aree archeologiche, musei e complessi monumentali di rilevante interesse nazionale”. La medaglia di “big” fu allora riconosciuta alla Galleria Borghese, Uffizi, Galleria nazionale d’Arte moderna e contemporanea, Gallerie dell’Accademia di Venezia, Museo e Real bosco di Capodimonte, Pinacoteca di Brera, Reggia di Caserta, Galleria dell’Accademia di Firenze, Gallerie Estensi, Gallerie nazionali d’arte antica, Musei del Bargello, Museo archeologico nazionale di Napoli, all’Archeologico nazionale di Reggio Calabria e a quello di Taranto, a Palazzo Ducale di Mantova, Palazzo Reale di Genova, Musei Reali di Torino, Galleria Nazionale delle Marche e alla Galleria Nazionale dell’Umbria. Un solo Parco archeologico, quello di Paestum e Velia.
“Il numero degli istituti autonomi”, prosegue Osanna, “è stato progressivamente ampliato, fino ad arrivare a quaranta nel 2019. A questi, ne sono stati aggiunti quattro nuovi ulteriori nel 2021. Si tratta del Museo nazionale dell’Arte digitale, Parco archeologico di Cerveteri e Tarquinia, Parco archeologico di Sepino e la Pinacoteca di Siena”. Conseguentemente, “tale modifica ha innalzato il numero delle Direzioni regionali musei,la cui funzione di direttore è svolta da quello del museo autonomo sito nella medesima regione: così, dalle quattro del 2020 (Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche e Umbria) si è saliti alle cinque del 2021, con l’aggiunta del Molise”.
Essere autonomi in chiave amministrativa, organizzativa, gestionale, finanziaria e contabile significa, in una parola, organizzare la propria attività in modo autonomo. L’autonomia nell’individuazione della propria mission culturale, e in definitiva anche civica, che ognuno di questi musei “speciali” declina in modo differente, si desume chiaramente da ogni singolo statuto.
C’è, però, big e big: c’è una differenza nella gradualità di questa stessa autonomia, e quindi delle responsabilità dei direttori, che differenzia i musei di livello dirigenziale generale, in tutto undici, tra cui gli Uffizi, Brera, Capodimonte, Colosseo, Pompei e Galleria Borghese, i cui direttori sono scelti direttamente dal ministro, quelli che dicevamo dipendere funzionalmente dalla Direzione generale, da quelli di livello dirigenziale non generale, in tutto trentatré, come il Complesso monumentale della Pilotta, la Galleria dell’Accademia di Firenze, l’Archeologico nazionale di Reggio Calabria e le Gallerie Estensi, con direttori scelti dal Direttore Generale Musei e, diversamente dai primi, sottoposti ai poteri di indirizzo, coordinamento e controllo della stessa Direzione. Per esempio per stabilire l’importo dei biglietti o l’orario di apertura. Gli Uffizi, per intendersi, hanno appena potuto elevare il costo del biglietto da 20 a 25 euro, senza questo passaggio, in piena autonomia. Diverso è anche il trattamento economico riservato ai direttori appartenenti alle due fasce.
Ma in cosa consiste in pratica l’autonomia gestionale e finanziaria? Gli istituti autonomi trattengono gli incassi dall’attività di gestione dei beni conferiti (biglietti di ingresso, canoni derivanti da concessioni di spazi e beni, diritti d’uso, di riproduzione, merchandising, servizi erogati a pagamento, produzioni editoriali ecc.), ricevono una base dal Ministero per il personale e interventi strutturali, e hanno un proprio bilancio (comunque soggetto ad approvazione ministeriale).
I vantaggi li aveva evidenziati (a chi scrive, su “La Sicilia”, 19 marzo 2021) Antonio Lampis, oggi alla guida della Ripartizione cultura italiana della Provincia autonoma di Bolzano, che ha preceduto Osanna alla Direzione Musei in anni di cambiamenti di portata storica sul fronte proprio della nuova governance delle istituzioni culturali. Questo assetto “consente, ci diceva, di velocizzare le procedure relative alla contabilità, alle spese, alle concessioni o anche di entrata di fondi dai privati. Il servizio di tesoreria e di cassa è affidato da ciascun istituto, mediante procedura ad evidenza pubblica, a una banca. Prima ricevevano, con lungaggini, assegnazioni da uffici ministeriali e tutto quanto quello che guadagnavano finiva in un calderone unico”.
I musei autonomi contribuiscono, poi, con il 20% della bigliettazione a un Fondo di riequilibrio finanziario tra gli istituti e i luoghi della cultura statali, una misura di carattere perequativo. “Le risorse finanziarie di riequilibrio tra gli istituti vengono assegnate”, spiegava ancora Lampis, “dalla Direzione generale musei, prevedendo aumenti per documentate gravi necessità di spese obbligatorie e riduzioni per scarsa capacità di spesa, ovvero per enormi entrate derivanti da nuove risorse esterne o da incrementi nella bigliettazione”. Nel 2020, per esempio, ci diceva che si era tenuto conto dei mancati introiti causati dal Covid-19. Se la logica originaria non era solo quella della “redistribuzione”, ma anche degli incentivi in chiave aziendalistica, cercheremo di capire con i direttori come vengono e a chi vengano riservate le “premialità”.
L’organizzazione amministrativa è ciò che fa la differenza rispetto agli istituti a gestione “ordinaria”. Il direttore, organo monocratico, è coadiuvato da tre organi collegiali che configurando un assetto del tutto analogo a quello di un soggetto con personalità giuridica: Comitato scientifico, Consiglio di amministrazione e Collegio dei revisori dei conti. Ad essi spetta il compito di garantire lo svolgimento della missione del museo.
Il Cda è l’organo di vertice, quelle in cui effettivamente vengono assunte la maggior parte delle scelte: detta le linee amministrative e, tra l’altro, approva il bilancio e le attività museo; è presieduto dal direttore, ed è composto da altri quattro membri di chiara fama designati dal Ministro della Cultura, d’intesa con il Ministro dell’Istruzione e quello dell’Economia. Il Comitato scientifico svolge funzione consultiva del direttore nel decidere le linee scientifiche del museo, ma anche di verifica della qualità scientifica dell’offerta culturale e delle pratiche di conservazione, e di approvazione delle politiche di prestito e pianificazione delle mostre. È composto da 4 membri designati dal Ministro, Consiglio Superiore dei Beni Culturali, Regione e Comune, individuati tra professori universitari di ruolo o esperti di comprovata qualificazione scientifica. Il Collegio di revisori dei conti, composto da un funzionario del Ministero delle Finanze e due membri supplenti, iscritti al Registro dei revisori contabili, ha il compito di controllare l’utilizzo dei fondi da parte del museo. Una gestione ispirata al modello aziendale, come spesso osservato, ma anche a quello universitario, se si preferisce. Con lo scopo di superare i lacci burocratici standardizzanti che paralizzano la rapidità delle decisioni in un settore che per sua natura non può essere regolato da meccanismi pensati per l’economia di mercato.
Il disegno organizzativo piramidale del supermuseo è completato alla basa da un’articolazione in aree funzionali: cura e gestione delle collezioni, studio, didattica e ricerca; marketing, fundraising, servizi e rapporti con il pubblico, pubbliche relazioni; amministrazione, finanze e gestione delle risorse umane; di strutture, allestimenti e sicurezza.
In Sicilia, invece, dove questo modello aziendalistico è stato per la prima volta applicato agli istituti culturali (a parte il caso del Riso, Museo d’arte contemporanea a Palermo, con un’autonomia finanziaria rimasta sulla carta dal 2002, si tratta esclusivamente di parchi archeologici), si registra una preoccupante, in primis per i fini della tutela, mescolanza di funzioni amministrative e politiche, con i sindaci nei Comitati tecnico-scientifici.
Un uomo solo al vertice non può fare miracoli. Cambiare o ruotare i direttori dei musei autonomi dovrà sempre i conti col grave problema della carenza degli organici. Sangiuliano, dopo il caso Uffizi, ha detto che è “tema serissimo che affronterò con determinazione”. Sono stati gli stessi direttori a sollevarlo a mezzo stampa già in precedenza, da Eike Schmidt a Carmelo Malacrino per il Museo Nazionale di Reggio Calabria.
Le risorse umane, infatti, non sono ricomprese nell’autonomia organizzativa del museo speciale e restano in capo al Ministero. Il singolo museo non può, infatti, reclutare figure professionali secondo le proprie necessità tecnico-operative, essendo il Ministero a farlo, provvedendo a tutti gli oneri relativi al trattamento economico. Proprio in Sicilia, prima il Governo Crocetta e poi un disegno di legge durante la scorsa legislatura (ce ne siamo occupati su queste colonne), prevedeva che in caso di nomina di un direttore esterno all’amministrazione, il suo trattamento economico sarebbe stato a carico del bilancio del parco. In altre parole, un direttore chiamato a promuovere le “attività culturali” col pungolo della necessità di assicurarsi uno stipendio! Per fortuna, proposte rimaste lettera morta, ma anche il solo averci provato fa capire dove si intendesse andare a parare e, soprattutto, che l’autonomia è giusto che trovi un limite in un settore che va tenuto al riparo dalle logiche di profitto.
L'autrice di questo articolo: Silvia Mazza
Storica dell’arte e giornalista, scrive su “Il Giornale dell’Arte”, “Il Giornale dell’Architettura” e “The Art Newspaper”. Le sue inchieste sono state citate dal “Corriere della Sera” e dal compianto Folco Quilici nel suo ultimo libro Tutt'attorno la Sicilia: Un'avventura di mare (Utet, Torino 2017). Come opinionista specializzata interviene spesso sulla stampa siciliana (“Gazzetta del Sud”, “Il Giornale di Sicilia”, “La Sicilia”, etc.). Dal 2006 al 2012 è stata corrispondente per il quotidiano “America Oggi” (New Jersey), titolare della rubrica di “Arte e Cultura” del magazine domenicale “Oggi 7”. Con un diploma di Specializzazione in Storia dell’Arte Medievale e Moderna, ha una formazione specifica nel campo della conservazione del patrimonio culturale (Carta del Rischio).