Nel XX secolo, in un’assolata provincia italiana, una branca di artisti dava vita ad una delle esperienze artistiche più interessanti della penisola. Nella città di Livorno il Novecento vide un inspiegabile proliferare di personalità artistiche di grande livello, sbalorditivo se si pensa alla dimensione della città e alla sua certo non antica tradizione artistica.
“I livornesi sono individui fuori dal gruppo anche quando costituiscono un gruppo”, afferma Vittorio Sgarbi: “diversi, solitari, irriducibili”, insomma “anarchici”. Tanti i nomi importanti che formano questa compagine, di cui sicuramente il più celebre è Amedeo Modigliani, mentre rimane abbastanza sconosciuto al grande pubblico Mario Puccini (Livorno, 1869 – Firenze, 1920), che invece fu molto apprezzato in vita. Se Livorno fu ingrata con Modigliani, tanto da dare la notizia della sua morte solo attraverso un striminzito trafiletto di giornale in quanto fratello dell’onorevole Giuseppe Emanuele Modigliani, alla morte di Mario Puccini molti artisti e intellettuali si strinsero intorno a questa figura, già guardata in vita con molto rispetto, e vissuto come il vero erede del grande maestro Giovanni Fattori. Puccini era accostato al maestro macchiaiolo non solo perché si era lungo abbeverato alla sua lezione, ma anche per quel suo carattere isolato, schivo, lontano dalle mondanità e dagli intellettualismi, spesso mascherato dietro una maschera di pittore incolto, che entrambi gli artisti coltivavano.
Si è voluto vedere entrambi come fautori di una pittura dove il vero veniva istintivamente mediato attraverso una grande sensibilità artistica, visione piuttosto limitante dell’arte di Puccini. È proprio per onorare le spoglie di Mario Puccini che gli artisti livornesi si costituirono formalmente nel Gruppo Labronico, compagine che ha festeggiato il secolo di attività.
La sezione dei ritratti, la seconda sulla destra Ave Maria di Puccini accostata a Silvestro Lega e Giovanni Fattori |
Mario Puccini e Giovanni Fattori a confronto |
Il confronto fra il maestro Fattori e Puccini sulla figura dei buoi |
Scorci del porto di Livorno tanto amato da Puccini |
Le opere di Alfredo Müller, Plinio Nomellini e Benvenuto Benvenuti |
La sezione “Van Gogh involontario” |
Lo scorso anno si è celebrato a Livorno con una grande mostra il centenario della morte di Amedeo Modigliani, ma a causa della pandemia non si poté tenere la mostra dedicata a Mario Puccini, anche lui morto come Modì nel 1920. Ma oggi fortunatamente non dobbiamo più privarci della splendida esperienza dell’incontro con l’arte di Mario Puccini: la grande monografia aperta a Livorno lo scorso 2 luglio arriva a 6 anni dopo la mostra Mario Puccini: La passione del colore tenutasi a Seravezza nel 2014 e curata dalla stessa curatrice della mostra di Livorno, Nadia Marchioni. E per fortuna non siamo davanti a una di quelle ormai abusatissime mostre riproposte nel tempo identiche, rinnovate solo parzialmente nel titolo. No: la mostra di Livorno, Mario Puccini. Van Gogh involontario, così come dovrebbe fare ogni esposizione non rinuncia ad alimentare nuove ricerche e studi, approfondimenti documentari, precisazioni e ripensamenti storico artistici, e il catalogo ben più ricco del precedente ne è la prova.
Le opere presenti in mostra sono per la maggior parte inedite, e questo è stato possibile anche all’importante collezione di Ugo Rangoni, messa a disposizione dagli eredi. Una collezione mai vista prima in esposizione e le cui opere, circa ottanta, sono state a lungo chiuse in sale private. La mostra di Livorno mira a riaccendere l’interesse verso questa straordinaria figura, e siamo certi che in qualche misura otterrà il successo sperato.
Entrati nella sale del Museo della Città, una prima sezione inquadra gli esordi di Puccini come pittore e in particolare come ritrattista: una produzione che in seguito affronterà di rado. Qui si vede l’alunnato di Puccini presso Fattoria Firenze, e di Silvestro Lega, riferimento per una pittura naturalistica e intimista, palese in opere come Ave Maria. I due grandi artisti sono presenti in mostra e posti sagacemente a confronto, così come alcune opere di Plinio Nomellini, di cui sono evidenti le tangenze con Puccini. I due furono spesso vicini, e Puccini successivamente avrebbe guardato ancora al collega, quasi coetaneo, traendone aggiornamenti per la sua pittura.
Mario Puccini, Il ponte alla sassaia (olio su tavola; collezione Rangoni) |
Mario Puccini, Il lazzaretto (1911; olio su tela; Livorno, collezione privata) |
Mario Puccini, Mercato di montoni a Digne (olio su cartone; collezione Rangoni) |
Mario Puccini, Casa colonica presso Orbetello (olio su tavola; collezione Rangoni) |
Mario Puccini, Guardiana di porci (olio su tavola, collezione Rangoni) |
Mario Puccini, Il fienaiolo (olio su tavola) |
Mario Puccini, Oliveto con contadinella e bufali (olio su tavola; Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea) |
La seconda sezione, di carattere biografico, introduce l’artista presentato attraverso i pochi documenti superstiti e alcuni autoritratti, che raccontano dei problemi di instabilità mentale che almeno dal 1893 colpirono Puccini, tanto da costringerlo a rifugiarsi a lungo in manicomio a Siena, forse anche a seguito di alcuni problemi con il padre e la famiglia, che però a lungo parve sostenerlo. Nodo biografico dell’artista, le vicende intorno alla salute mentale dell’artista hanno dato modo nel corso degli anni di creare gustosi aneddoti, ma privi di alcun fondamento, come il mito del pittore pazzo e primitivo. Per un lungo periodo questi problemi lo allontanarono dall’arte e solo intorno al 1901 Puccini parve riaffacciarsi alla pittura e alla vita artistica livornese. Llewelyn Lloyd, altro importante artista labronico, ci racconta di un Puccini impegnato a sbarcare il lunario attraverso svariati espedienti, come cameriere, realizzatore di disegni per ricami, come venditore ambulante per esempio.
Le opere in esposizione mostrano degli straordinari saggi di pittura di Puccini, ancora nel solco fattoriano per quella traduzione del vero in solide composizioni dove lo studio della luce e il tenace rispetto per il disegno non vengono mai meno. Ma Puccini interpreta la lezione fattoriana con pennellate e cromie più libere ed esasperate: in una squisita saletta gli immortali bovi di Fattori sono posti a confronto con quelli di Puccini, il riferimento è palese, quasi una citazione, ma nell’opera della Galleria Nazionale di Roma Bovi all’Uliveta, i buoi diventano quasi un’astrazione cromatica e la composizione compressa riporta alla mente certi allucinati paesaggi di Chaïm Soutine.
La fama di pittore incolto e disinteressato alle novazioni in pittura è un dogma che viene ampiamente abbattuto dalle opere in mostra e dai saggi in catalogo. Puccini deve in un primo tempo aver guardato con attenzione alcuni colleghi, non tanto per desumere facili soluzioni, ma per liberarsi dal pesante giogo del vero fattoriano. Artisti come Plinio Nomellini, Alfredo Müller, Benvenuto Benvenuti offrivano esempi che spaziavano dall’impressionismo al divisionismo. Ma anche le soluzioni offerte da Oscar Ghiglia, Giovanni Bartolena e Ulvi Liegi dovettero avere un qualche richiamo e suggerire a Puccini di perseguire e affinare una propria poetica, aggiornandosi anche su soluzioni provenienti dalla Francia mediate da questi artisti.
Puccini mette a punto una personale visione: la sua pennellata sfrangiata e sciolta, a differenza di quella impressionistica dei colleghi non deflagra o implode ma, tramite una fittissima e intricata tessitura, serra e incastona in un intarsio cromatico le sue figure. Ed ecco che si esibisce nelle sue più spericolate prospettive e scorci, quando svela in pochi centimetri di tavoletta l’animo più profondo della Livorno portuale. In una visione antieroica e anti-monumentale, priva di qualunque intento narrativo, velieri, vaporetti, navicelli e gozzi diventano un pretesto per arditissime composizioni cromatiche, dove le vele, bitte, cordami e cime sono preziose campiture e tessere di lucidi mosaici: ne è uno splendido esempio Barca con pescatore della collezione Rangoni. Lontano dal clamore di visioni pittoresche, angoli anonimi, come le mura di un antico lazzaretto attirano l’attenzione dell’artista. Nell’alone di pittore incorrotto e naif, l’agiografia di Puccini è stata scritta con piglio autarchico, in particolare da Lloyd che nella biografia rivendica l’estraneità di Puccini da ogni soluzione delle avanguardie, tanto da annoiarsi, davanti alle foto delle opere di Cézanne e Van Gogh.
Mario Puccini, Autoritratto (1914; collezione privata) |
Immagini del quotidiano impresse da Puccini |
Alcuni paesaggi di Puccini |
La sala dedicata al Caffè Bardi |
Umberto Fioravanti, Busto femminile (1909), sullo sfondo Puccini |
La sala della grafica di Puccini |
“Un Van Gogh involontario” venne definito da Emilio Cecchi, ma poi tanto involontario non fu. Grazie alle poche voci fuori dal coro, quale quelle del finissimo collezionista Gustavo Sforni è stato possibile iniziare a ricostruire, nel magistrale saggio di Vincenzo Farinella in catalogo, la figura di un artista aggiornato, lettore della “Voce”, debitore dell’opera d Monticelli, forse conosciuta durante il suo soggiorno a Digne, ospite del fratello. Adolphe Monticelli fu maestro elettivo di Van Gogh, artista che, secondo il catalogo, Puccini ebbe sicuramente la possibilità di ammirare nella Prima mostra italiana dell’impressionismo tenutasi a Firenze nel 1910. Dell’olandese era in mostra Il Giardiniere, opera poi entrata nella collezione Sforni e oggi conservata alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, e Végétation tropicale di Paul Gauguin, oggi conservata a Edimburgo.E in certe pitture, dove Puccini si svincola completamente da qualsiasi volontà di tradurre dal vero, come il secondo pannello del lazzeretto (Eclissi di sole, la fontina del molo vecchio, molo di Livorno, tramonto in mare) le tangenze fra i due si palesano. Il lirismo cromatico si fa più violento, l’impasto materico più denso e le pennellate nervose, il colore puro assume una valenza costruttiva. In mostra si scopre l’universo amato da Puccini, un mondo che parla del quotidiano, di figure umili e piegate dalla fatica.
Abbacinati dai colori del labronico, gli occhi trovano riposano in due ottime sezioni, quella dedicata al Caffè Bardi, ritrovo di artisti e intellettuali aperto a Livorno dal 1908 al 1921, dove Puccini dipinse un pannello, esposto in mostra insieme alle opere di altri celebri artisti, catalizzati da un interesse per le sirene simboliste provenienti dal Nord Europa; e nell’appendice dedicata alla grafica di Puccini. I carboncini rivelano come Puccini non abdicò mai al disegno, ancora una reminiscenza della lezione di Fattori.
Oltre 150 opere, tutte di grande livello, un attento studio che ci fa plaudere al gran lavoro dei curatori, e gli spazi eleganti e raffinati dell’allestimento fanno di questa mostra probabilmente una delle più interessanti dell’estate toscana e italiana. Unica nota stonata: dispiace di non vedere in mostra il grande capolavoro di Puccini, La metallurgica. Ma nel complesso è un’occasione unica per riscoprire questo mostro sacro del XX secolo, e ci fa augurare che questa revisione dell’opera di Puccini permetta in futuro di poterlo nuovamente ammirare, magari in una grande mostra che stavolta lo metta in confronto anche con i suoi grandi riferimenti in Europa come Monticelli, Gauguin e Van Gogh.
L'autore di questo articolo: Jacopo Suggi
Nato a Livorno nel 1989, dopo gli studi in storia dell'arte prima a Pisa e poi a Bologna ho avuto svariate esperienze in musei e mostre, dall'arte contemporanea, alle grandi tele di Fattori, passando per le stampe giapponesi e toccando fossili e minerali, cercando sempre la maniera migliore di comunicare il nostro straordinario patrimonio.