di
Jacopo Suggi
, scritto il 20/08/2020
Categorie: Opere e artisti / Argomenti: Novecento - Toscana - Livorno
Il 1920 è l'anno che vede la nascita del Gruppo Labronico, sodalizio artistico che nasceva a Livorno, città che, dalla metà dell'Ottocento in poi, ha avuto importanti vicende artistiche.
Parlando della storia dell’arte italiana ed europea appare scontato evidenziare il contributo che hanno dato gli antichi comuni toscani come Firenze, Siena, Pisa, Pistoia e Arezzo, scrivendo alcuni capitoli fondamentali in quasi tutti i secoli. Meno scontato è invece il ruolo che si è ritagliata l’arte di quel comune, anch’esso toscano, ma molto meno antico che è Livorno, nelle vicende artistiche della seconda metà del XIX secolo fino alla metà del secolo successivo. Nell’Ottocento il contributo della città della costa consiste perlopiù nel dare i natali a tanti importanti artisti, primo fra tutti Giovanni Fattori, nella cui compagine macchiaiola si affiancano anche gli altri livornesi Serafino De Tivoli e Giovanni Costa. Livorno diventa anche rifugio e soggetto di molti artisti che nella città labronica trovano una campagna incorrotta e una macchia mediterranea che incontra la linea del mare: i continui rientri di Giovanni Fattori, la scuola di Castiglioncello, Silvestro Lega residente nel piccolo paese Gabbro a pochi chilometri dalla città, ne sono un esempio. Ma è nel secolo successivo che a Livorno si concretizza una delle esperienze artistiche più prolifiche e interessanti del XX secolo in Italia.
“Livorno senza i suoi pittori, grandi piccoli o piccolissimi, non sarebbe la Livorno che tutti abbiamo amato. E poi in quegli anni dal venti al trenta qual’altra città della provincia italiana poteva vantare d’aver dato i natali e di veder lavorare insieme pittori come Ghiglia, Lloyd, Puccini, Bartolena, De Witt, Benvenuti, l’esule Modigliani, Lodovico Tommasi, tanto per ricordarne i maggiori?”. Scriveva così Raffaele Monti, rimpiantissimo storico dell’arte a cui si devono tanti fondamentali studi che hanno finalmente dato risalto all’avventura artistica toscana della prima metà del XX secolo. Ai nomi sopra citati se ne potrebbero aggiungere diversi altri, ma basterà su tutti nominare Vittorio Corcos e Plinio Nomellini.
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Giovanni Fattori, Tramonto sul mare (1894-1900 circa; olio su tavola, 19,1x32,2 cm; Firenze, Palazzo Pitti, Galleria d’Arte Moderna)
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Adolfo Tommasi, Maternità (1895; olio su tela, 170x113 cm; Livorno, Collezione Angiolini – Bottega d’Arte)
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Vittorio Corcos, Stella e Pietro (1889; olio su tela, 112x86,5 cm; Firenze, Palazzo Pitti, Galleria d’Arte Moderna)
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Llewelyn Lloyd, Paesaggio presso Antignano (1907; olio su tavola, 15x22,5 cm; Tortona, Fondazione Cassa di Risparmi)
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Plinio Nomellini, A Capri (1922; olio su tela, 65,7x81,2 cm; Novara, Galleria d’Arte Moderna Paolo e Adele Giannoni)
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Oscar Ghiglia, La camicia bianca o Donna che si pettina (1909; olio su tela, 61x58 cm; Viareggio, Istituto Matteucci)
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Gino Romiti, Andando in fabbrica (1901; olio su tavola, 16,5x29,5 cm; Tortona, Fondazione Cassa di Risparmi)
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In controtendenza con quanto accadeva in Europa, la vicenda livornese non si inserì nel solco delle avanguardie né in quello delle accademie, ma diventa caso autonomo difficilmente conciliabile con la concezione evoluzionistica con cui ancora oggi approcciamo la storia dell’arte. Non solo, a inizio secolo le scuole locali entrarono in crisi, messe da parte dagli artisti che si riconoscevano negli stili e nei movimenti, sorvolando quindi limiti territoriali per dar vita a esperienze transnazionali legate dalla stessa ricerca artistica; ma a Livorno accadde l’esatto opposto. Ed è anzi all’interno di questa scuola che si formò un sodalizio capace di assorbire o far gravitare intorno a sé tutte le principali istanze della città, chiamato dal 1920 Gruppo Labronico; e proprio quest’anno festeggia i suoi 100 anni di attività: un lungo lasso di tempo in cui ha continuato ad operare con forme ed esiti diversi. Sia detto con gran sincerità che la secolare storia del Gruppo non vanta lo stesso interesse creativo lungo tutti gli anni, e forse è agli albori che è stata profusa la migliore e più genuina carica creativa. Esso andò a riunire artisti che in maniera totalmente autonoma cercavano una propria cifra stilistica ed espressiva e apparendo fra di loro esteticamente molto diversi ed alcuni di essi avevano talvolta già all’attivo carriere ben avviate come era nel caso di Plinio Nomellini o Leonetto Cappiello, consacratosi vero maestro della grafica pubblicitaria a Parigi. Ed è questa forse una delle maggiori specificità del Gruppo Labronico, così come in modi per alcuni versi del tutto analoghi e per altri completamente diversi, stava accadendo nella coeva scuola di Parigi, capace di accogliere personalità diverse che dettero vita ad esiti pittorici molto distanti gli uni con gli altri.
A Livorno però non fu come in Francia, dove fu l’incontro della cultura locale con quelle dei partecipanti (Chagall, Modigliani, Kisling, Soutine) a dar vita a nuovi e originalissimi percorsi artistici; ma furono bensì gli insegnamenti del grande nume tutelare che era stato e continuava ad essere Giovanni Fattori, a indicare nuove vie. La sua lezione non venne meramente declinata come un dogma e replicata stancamente nei suoi esiti stilistici e compositivi, come avrebbero fatto per tutta la carriera artisti come Guglielmo Micheli, i fratelli Gioli o Ruggero Panerai. Ciò che Fattori aveva fornito a questo manipolo di nuovi artisti era più la vocazione per la pittura e l’interpretazione del ruolo di pittore, lontano dalle luci della ribalta mediatica e rinchiuso nel proprio frugale esilio creativo, alla ricerca di personali strade sempre nuove, ma lontano dalle suadenti sirene delle volubili mode internazionali. In particolare, l’ultimo decennio di attività del buon maestro (ancora oggi poco compreso dalla critica) aveva segnato un punto di svolta: Fattori con la sua ricerca spinta avanti fino all’ultimo giorno di vita in un esercizio continuo, rileggeva in maniera più intima e disincantata, senza clamori e retoriche, le esperienze del verismo dell‘Ottocento. Il suo esempio di incorrotta moralità si legava idealmente ad una eletta tradizione toscana, che affondava le sue radici nell’arte degli Etruschi, passando da Giotto a Masaccio. Questo era il lascito più importante dell’amato Babbo, un affetto che per altro anch’egli ricambiava dal suo affollato studio in via della Sapienza a Firenze concessogli dall’Accademia di Belle Arti, per la quale insegnava.
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Mario Puccini, La metallurgica (1913; olio su tela, 78,5 x 130 cm; Livorno, Collezione Privata)
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Benvenuto Benvenuti, Marina con velieri o Mattino sul mare (1910-1912; olio su tela, 45,5x72,9 cm; Tortona, Fondazione Cassa di Risparmi)
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Leonetto Cappiello, Manifesto Bitter Campari (1921; litografia su carta, 199,5x141 cm; Sesto San Giovanni, Galleria Campari)
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Carlo Domenici, Casa al sole (1920 circa; olio su tavola, 50x36 cm; Fondazione Livorno)
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Gastone Razzaguta, Il libeccio (1914; olio su cartone cm 59x76; Courtesy Galleria Athena)
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Alberto Zampieri, Veduta di Suese (1922; olio su cartone, 20x28 cm; Fondazione Livorno)
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Giovanni Bartolena, Piazza Cavour a Livorno (1918-20 circa; olio su tavola, 39,4 x 49,7 cm; Livorno, Collezione privata)
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Ulvi Liegi, Il Mercato centrale (1924; olio su cartone, 35x49,5 cm; Livorno, Museo Civico Giovanni Fattori)
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Giovanni Lomi, Gregge sul Romito (olio su faesite, 50x70 cm; Milano, Collezione privata)
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“Tenni molti scolari femmine e maschi, senza che uno fosse da me tassato. Come livornese ebbi una certa predilezione per questi giovani che venivano a Firenze a studiare l’arte ed essendo figli di poveri popolani operari, io li accoglievo con tutto l’affetto patrio, e per dire il vero si sono mostrati sempre riconoscenti e rispettosi al suo vecchio maestro – ed altri ne accolsi di altri paesi- oggi sono artisti, e direi di valore. Premesso, non è stato solo il mio insegnamento ma il loro naturale talento che li ha fatti buoni artisti- perché sono convinto che il maestro può aiutare con consigli, può tracciare la via da percorrere, ma quando non c’è il sentimento dell’arte, non vale nessun maestro, né nessun indirizzo”.
È sulla scia di questa trasmissione di valori che gli artisti livornesi vollero riunirsi in sodalizio. Questa compagine artistica aveva già iniziato a muovere i primi passi intorno al 1908, anno della morte di Giovanni Fattori e di apertura dello storico Caffè Bardi, che fu luogo di ritrovo di artisti e intellettuali fino alla chiusura nel 1921, e all’interno delle cui sale si sviluppò il progetto del Gruppo Labronico. Già nel 1912 gli artisti del Gruppo Labronico diedero vita ad un’esposizione ai Bagni Pancaldi di Livorno, poi bissata nei due anni successivi, richiamando l’attenzione che avrebbe fatto si che nel 1914 sarebbe stata destinata loro una “sala livornese” nella 83^ Esposizione degli Amatori e Cultori di Roma. La Grande Guerra interruppe il cammino di questa brigata, che pagò anche un contributo di sangue con le perdite al fronte del poeta Giosuè Borsi, lo scultore Umberto Fioravanti e dell’architetto Mario Pieri-Nerli, solo per citarne alcuni. Dalle origini del sodalizio e per molti anni, ogni tentativo di organizzarsi si rivelò vano, ma il 1920 fu l’anno cruciale a Livorno, infatti morì un grande artista, allievo di Fattori, la cui eredità morale si aggiunse alla lezione del gran maestro.
L’esigenza di tutelarne la memoria e le spoglie diventò lo scopo precipuo per ufficializzare il Gruppo. Per chi non conoscesse le vicende artistiche di Livorno, potrebbe immaginare che l’artista la cui morte ebbe tal portata, sia stato Amedeo Modigliani, l’artista labronico più conosciuto al mondo, ma in tal caso si sbaglierebbe. La morte di Modigliani, avvenuta nel gennaio di quello stesso anno, passò quasi inosservata fra gli amici artisti che negli ultimi due decenni lo avevano visto sporadicamente, e che mai lo capirono veramente a causa dei loro modi di vivere e concepire l’arte troppo distanti da quel maudit. No, Il 18 giugno 1920 muore invece Mario Puccini. Egli fu “pittore tormentato, disturbato e curioso, sofisticato, estremo interprete di Fattori” come scriverà Sgarbi. Fu infatti con gli insegnamenti diretti di Giovanni Fattori che si formò per intraprendere poi una personalissima revisione del suo lavoro in una chiave espressionistica e colorista, poi significativamente spinta oltre, senza “tradimenti” come invece interpretò Fattori la svolta di Nomellini e Mueller verso le lezioni francesi.
“Puccini sta a Fattori, come Van Gogh sta a Cézanne; ed entrambi i due coloristi, Puccini e Van Gogh, tramutano in masse fluide e vibratili i serrati e compatti blocchi dei due costruttori”, così ne scrisse acutamente il critico Mario Tinti; ma Puccini del maestro seguiva anche l’attitudine a condurre una vita mascherato da artista spontaneo ed incolto agli antipodi da qualsiasi intellettualismo. Attorno alla sua morte e alla polemica innescata attorno alle mancate onoranze della salma, che era stata inumata in un cimitero cittadino e non nel Famedio di Montenero, pantheon labronico dove riposano fra gli altri Francesco Domenico Guerrazzi e Giovanni Fattori, si costituisce il Gruppo, che da quel momento si prende carico di onorarne la memoria, oltre ad ergersi custode d’una tradizione artistica locale. Da quel momento inizia l’attività del gruppo fatta di numerose mostre sul territorio nazionale, e lo stretto rapporto con lo storico gallerista Lino Pesaro della Galleria Il Milione di Milano, che più volte ospiterà i labronici con serate inaugurali a base di cacciucco.
Al gruppo dei fondatori Gino Romiti, Adriano Baracchini-Caputi, Tito Cavagnaro, Gino Cipriani, Goffredo Cognetti, Beppe Guzzi, Giovanni March, Corrado Michelozzi, Renato Natali, Gastone Razzaguta, Renuccio Renucci, Carlo Romanelli, Ferruccio Rontini, Cesare Tarrini, Alberto Zampieri e Giovanni Zannacchini, andarono poi affiliandosi fra i più importanti anche Plinio Nomellini, che ne fu presidente e attivissimo promotore, Leonetto Cappiello, Vittorio Corcos, Giovanni Bartolena, Ulvi Liegi, Llewelyn Lloyd, Adolfo Tommasi, ma anche letterati e altri intellettuali quali Giovanni Marradi, Ugo Ojetti e Sabatino Lopez.
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Il Caffè Bardi
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Giovanni March, Nudo disteso (1922; olio su tela cm 70,5x124; collezione privata)
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Renato Natali, Rissa Micheli (1930 circa; olio su tela, 120x180 cm; Collezione privata, Eredi Ugo Ughi)
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Valmore Gemignani, Monumento a Giovanni Fattori (1925; Livorno)
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Osvaldo Peruzzi, Ideale cosmico (1937; olio su cartone, 65x50 cm; Fondazione Livorno)
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Antony De Witt, Giorno d´inverno a Mercatale (1942; olio su tela, 43,40 x 56,80 cm; Firenze, Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze)
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Voltolino Fontani, Traslazione di Cristo (1973; olio su tela, 240x380cm; Livorno, Chiesa San Giovanni Gualberto, Valle Benedetta)
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La partecipazione alle mostre dei livornesi fu spesso affiancata a quella dei loro eletti antenati: Giovanni Fattori, Mario Puccini, ma anche Eugenio Cecconi e gli altri grandi artisti livornesi che vanno via via mancando, dimostrandosi consapevoli della necessità di legittimare la propria tradizione pittorica. E sempre per questo motivo si fanno promotori di altre iniziative come l’erezione del monumento bronzeo a Giovanni Fattori eseguito nel 1925, seguito inspiegabilmente molto più tardi dal trasferimento della salma di Puccini nel Famedio di Montenero, ottenuta solo nel 1988. A queste operazioni di costruzione identitaria, si aggiunge anche il riesame critico dell’arte di Modigliani negli anni subito successivi alla sua morte (complice anche l’immediato successo di mercato) riannoverandolo, seppur con alcune riserve, nel solco fattoriano come affermò Nomellini: “Nemmeno il Modigliani, con lo spasimante pensiero volto a visioni in cui la follia, il vizio, il dolore, trasfigurano l’anima, è tocco dell’insana brama di non apparire se stesso, quando in specie, in momenti di pacatezza, concepisce immagini di purità”.
La storia del Gruppo Labronico non si disperse neanche con le bombe della Seconda guerra mondiale, infatti al termine del conflitto, l’attività del cenacolo fu vivacissima, con l’organizzazione di numerose mostre personali e collettive, molto visitate dai livornesi, che vedevano in esse un rifugio e un ritorno alla normalità, in una città quasi completamente rasa al suolo. Ma negli anni successivi, il Gruppo fu coinvolto continuamente in una diatriba tra tradizione e modernità. Quest’ultima sembrò a lungo inconciliabile con la lezione fattoriana, e per tanto l’allontanamento dalla pittura figurativa fu osteggiato, e solo con clamoroso ritardo vennero accolte nel gruppo le nuove istanze artistiche. Alcuni importanti autori che portano un qualche rinnovamento all’interno del sodalizio sono fra gli altri Voltolino Fontani e Osvaldo Peruzzi. L’esperienza del gruppo non si esaurì neanche nel passaggio al nuovo millennio e continua tuttora la sua attività promuovendo i contemporanei e la memoria del sodalizio storico.
Continua così la storia centenaria di un gruppo, che ha avuto i meriti di assorbire le migliori energie di un’esperienza artistica locale ma con importanti esiti nazionali e internazionali, che costituisce un caso di assoluto interesse, ponendosi fuori dal tempo e dal succedersi delle mode. Gli artisti del gruppo dimostrarono una ferma consapevolezza di appartenere ad un’illustre tradizione artistica di cui divennero promotori, ma soprattutto seppero attualizzare la ricerca di Giovanni Fattori, mostrando con la loro rilettura che essa è scevra di qualsiasi provincialismo ottocentesco e che anzi con il suo fecondo repertorio di invenzioni e sperimentazioni ha saputo offrire molteplici spunti aprendo strade maestre agli artisti che si affacciavano all’alba del Novecento. Diveniva così possibile riunire sotto un’unica bandiera artisti tanto diversi: Puccini dalla raggiante intonazione coloristica espressa in pennellate libere e sciolte che si scontrano con le strutture spaziali e compositive desunte dal maestro, il lirismo panico di Plinio Nomellini, passando poi alla calibrata e meditata pittura di Ghiglia costruita su una precisa costruzione e modulata con tenui cromie, all’appassionata forza espressiva di Giovanni Bartolena e alle tante altre sperimentazioni che gli artisti livornesi seppero attuare.
E certo non dispiacerebbe poter vedere una grande rassegna che riassuma questo percorso.
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L'autore di questo articolo: Jacopo Suggi
Nato a Livorno nel 1989, dopo gli studi in storia dell'arte prima a Pisa e poi a Bologna ho avuto svariate esperienze in musei e mostre, dall'arte contemporanea, alle grandi tele di Fattori, passando per le stampe giapponesi e toccando fossili e minerali, cercando sempre la maniera migliore di comunicare il nostro straordinario patrimonio.