L'anno di Masolino all'alba del Rinascimento. Com'è la mostra di Empoli


Recensione della mostra “Empoli 1424. Masolino e gli albori del Rinascimento”, a cura di Andrea De Marchi, Silvia De Luca e Francesco Suppa (Empoli, Museo della Collegiata e chiesa di Santo Stefano, dal 6 aprile al 7 luglio 2024).

Carlo Bertelli era convinto che la voce di Masolino da Panicale avesse cominciato ad assumere un timbro “già del tutto personale” nelle opere di Empoli. Lo studioso aveva in mente soprattutto il Cristo in pietà, il monumentale affresco che un allora già quarantenne Tommaso di Cristoforo Fini dipingeva, non si sa bene quando, per il Battistero di San Giovanni Battista. E però, a ben vedere, in quel giro d’anni e in terra toscana non è forse esistito artista che abbia modulato il proprio tono di voce in maniera altrettanto sofisticata, sperimentale, guardinga, composta, sospesa, curiosa, procedendo per tentativi, avvicinamenti, allontanamenti, ripensamenti, con finezza, misura, equilibrio, apertura, prudenza. In breve, forse non c’è mai stato un momento in cui Masolino non sia stato un artista marcato da un’attitudine tutta sua. Almeno per quel che sappiamo di lui, dacché sui primi quarant’anni di carriera tocca veleggiare in mezzo al vuoto documentario: Masolino è artista che risulta agli atti quando è ormai pittore fatto e quando la sua fama ha già valicato i confini della sua terra natale, il Valdarno della Panicale vicina a Castel San Giovanni (dove peraltro, qualche anno più tardi, sarebbe nato Masaccio), e non l’Umbria della Panicale che guarda il Trasimeno. Masolino è artista che emerge dalle nebbie della storia nell’anno 1423, epoca a cui risale il primo documento che lo riguarda, e che lo attesta, in data 18 gennaio, immatricolato all’Arte dei Medici e degli Speziali, ovvero la corporazione che riuniva non solo i medici ma anche gli artisti, ed epoca a cui risale la sua prima opera datata, la Madonna della Kunsthalle di Brema. L’anno dopo, Masolino si trovava a Empoli, per dipingere nella chiesa di Santo Stefano.

Proprio il 1424 è per Empoli una sorta di annus mirabilis, anno in cui si sommano alcune felici convergenze: Bicci di Lorenzo viene ingaggiato per dipingere un trittico nella pieve di Sant’Andrea, mentre Masolino viene convocato nella chiesa di Santo Stefano per dipingere dapprima la decorazione della porta della sagrestia e poi la cappella della Compagnia della Croce. La vicenda di Masolino ruota attorno a quel che accadde a Empoli quell’anno, e la ricostruzione critica del suo profilo di lì doveva partire. Naturale che dunque fosse Empoli, e nel seicentesimo anniversario esatto dalle imprese di Santo Stefano, ad accogliere la mostra sin qui in grado di radunare il maggior numero d’opere del valdarnese. Empoli 1424. Masolino e gli albori del Rinascimento, curata da Andrea De Marchi, Silvia De Luca e Francesco Suppa, e divisa tra le due sedi più “masoliniane” della città, ovvero il Museo della Collegiata di Sant’Andrea e la stessa chiesa di Santo Stefano trasformata per l’occasione, mira anzitutto a indagare l’apporto di Empoli nell’elaborazione di quella “terza via al Rinascimento”, come la chiama De Marchi, che Masolino di fatto aveva aperto e sulla quale aveva instradato la propria produzione, specialmente dopo l’incontro con Masaccio, argomento ineludibile per qualunque ricognizione sull’artista. In parallelo, è occasione per fare il punto sugli sviluppi dell’arte dello stesso Masolino e per formulare nuove ipotesi sulle strade percorse dagli artisti attivi in città in quel denso frangente. Strade che, peraltro, intersecano anche quelle del Rinascimento: Masolino ottenne l’incarico alla Cappella Brancacci perché, come nel 2007 ha ipotizzato Carl Strehlke, venne caldeggiato a Felice Brancacci da Carlo Federighi, committente della sagrestia di Santo Stefano e amico di Brancacci, col quale era partito anche in missione diplomatica nel 1422, dunque poco prima che il fiorentino commissionasse a Masolino e Masaccio la celeberrima decorazione. E poi, nella cappella di Santo Stefano, anch’essa di committenza Federighi, doveva trovarsi, secondo un’ipotesi di Silvia De Luca formulata proprio in occasione della mostra, un significativo trittico di Lorenzo Monaco, peraltro esposto in mostra, risalente a una decina d’anni prima. E proprio da Lorenzo Monaco si può dire che parta il percorso di Masolino.

Va premesso che organizzare una mostra su Masolino non è affar semplice: sono poche le sue opere note, sparpagliate in giro per il mondo, e dunque non è facile vedere una mostra che riesca a radunare tutto il radunabile. Nella mostra di Empoli manca qualche pezzo che pure sarebbe stato più che pertinente: eppure sorprende osservare, su di una stessa parete, opere che, con mirabile sintesi, offrono una panoramica piuttosto completa sull’evoluzione d’un artista complesso come Masolino da Panicale. Ma ci s’arriva per gradi, perché la mostra comincia col contesto, partendo dal Museo della Collegiata, dove sono allestite le prime due sezioni (chi vorrà invece partire dalla chiesa di Santo Stefano farà conto d’immergersi in una specie di flashback cinematografico).

Allestimenti della mostra Empoli 1424. Masolino e gli albori del Rinascimento
Allestimenti della mostra Empoli 1424. Masolino e gli albori del Rinascimento
Allestimenti della mostra Empoli 1424. Masolino e gli albori del Rinascimento
Allestimenti della mostra Empoli 1424. Masolino e gli albori del Rinascimento
Allestimenti della mostra Empoli 1424. Masolino e gli albori del Rinascimento
Allestimenti della mostra Empoli 1424. Masolino e gli albori del Rinascimento

Le prime opere, i frammenti d’un polittico di Niccolò di Pietro Gerini che inquadrano un crocifisso ligneo del primo Trecento d’un seguace di Giovanni Pisano, e una Madonna della cintola di Lorenzo di Bicci, scomparto centrale d’un polittico che si trovava nella cappella dell’Assunta in Santo Stefano, hanno soprattutto la funzione d’introdurre il pubblico al vivace contesto empolese del primo Quattrocento, a una città cresciuta grazie al commercio e alla buona gestione d’una ricca borghesia che seppe amministrarla con intelligenza: normale che, a un certo punto, divenisse polo d’attrazione per gli artisti, specialmente per artisti ch’erano legati a Firenze. Certo, si parla d’un centro della provincia, dove lavoravano tipicamente artisti che “non trovavano più spazio sul mercato fiorentino, ben più aggiornato e competitivo”, come fa notare Silvia De Luca: eppure, malgrado ciò, “non mancarono eventi di notevole portata per il calibro degli artisti coinvolti e per l’entità dei luoghi investiti da tali operazioni”. Quello dei varî Niccolò di Pietro Gerini e Lorenzo di Bicci (ai quali si potrebbero aggiungere altri artisti, come Mariotto di Nardo per esempio, presenti nella collezione permanente del Museo della Collegiata: la mostra è stata infatti allestita nel mezzo delle sale, con le opere incluse nel percorso riconoscibili perché marcate da didascalie da una grafica diversa, anche se non così immediata) è uno scenario sostanzialmente trecentesco, legato ai modi giotteschi dell’Orcagna e degli artisti che a lui guardavano, e che verrà in certo modo svecchiato nel 1404 con l’arrivo a Empoli di Lorenzo Monaco che introduce in città una “ventata”, come la chiamano i curatori della mostra, di gotico internazionale: questa refolo giunge col trittico che il frate pittore dipinge per la chiesa di San Donnino, che oggi è conservato presso il Museo della Collegiata di Sant’Andrea, e che fa di Empoli un centro anche decisamente aggiornato, dacché il lavoro di Lorenzo Monaco per San Donnino è tra le prime attestazioni del tardogotico in Toscana.

La seconda sezione della mostra dimostra, dunque, come l’area dell’Empolese dovette reagire all’arrivo di Lorenzo Monaco, lungo un arco di tempo invero piuttosto lungo, dal momento che si passa dagli scomparti di polittico di Scolaio di Giovanni, resti d’un trittico smembrato eseguito negli anni Venti anch’esso per la Collegiata, fino alle tavole d’un Rossello di Jacopo Franchi che poco prima della metà del secolo è ancora un artista estremamente fedele a se stesso, e ben quarant’anni dopo il trittico di Lorenzo Monaco è ancora preso da calligrafici svolazzi, effusioni affusolate, sospiri nostalgici esalati mentre l’autore pensava evidentemente a un qualche modello duccesco col quale doveva forse avvertire una certa affinità (si guardi alla Madonna col Bambino prestata dal Museo di Santa Verdiana di Castelfiorentino per trovare agevole riscontro). Il trittico di Lorenzo Monaco, a sua volta, era una risposta alle finezze che Gherardo Starnina aveva riportato dalla Spagna (verso le quali il summenzionato Scolaio di Giovanni dimostra un duraturo interesse: è tra gli artisti più recettivi alle suggestioni starniniane nel territorio dell’Empolese) e alle novità che Lorenzo Ghiberti andava elaborando a partire dal 1401 nella porta nord del Battistero di Firenze: è questo anche il contesto sul quale germoglia l’arte di Masolino.

Niccolò di Pietro Gerini, Vergine dolente, san Lorenzo e san Zanobi (1399-1401; tempera e oro su tavola, 186,5 × 71,9 cm; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. 8)
Niccolò di Pietro Gerini, Vergine dolente, san Lorenzo e san Zanobi (1399-1401; tempera e oro su tavola, 186,5 × 71,9 cm; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. 8)
Niccolò di Pietro Gerini, Santi Ludovico di Tolosa e Orsola (1399-1401; tempera e oro su tavola, 184,5 × 72 cm; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. 8)
Niccolò di Pietro Gerini, Santi Ludovico di Tolosa e Orsola (1399-1401; tempera e oro su tavola, 184,5 × 72 cm; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. 8)
Niccolò di Pietro Gerini, Cattura di Cristo (1399-1401; tempera e oro su tavola, 29,2 × 56,1 cm; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. 8)
Niccolò di Pietro Gerini, Cattura di Cristo (1399-1401; tempera e oro su tavola, 29,2 × 56,1 cm; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. 8)
Niccolò di Pietro Gerini, Ultima cena (1399-1401; tempera e oro su tavola, 29× 56,5 cm; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. 8)
Niccolò di Pietro Gerini, Ultima cena (1399-1401; tempera e oro su tavola, 29× 56,5 cm; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. 8)
Niccolò di Pietro Gerini, Compianto sul Cristo morto (1399-1401; tempera e oro su tavola, 28,5 × 77 cm; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. 8)
Niccolò di Pietro Gerini, Compianto sul Cristo morto (1399-1401; tempera e oro su tavola, 28,5 × 77 cm; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. 8)
Lorenzo di Bicci, Assunzione della Vergine (1395-1400 circa; tempera e oro su tavola, 124 × 71 cm; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. 8)
Lorenzo di Bicci, Assunzione della Vergine (1395-1400 circa; tempera e oro su tavola, 124 × 71 cm; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. 8)
Piero di Giovanni detto Lorenzo Monaco, Madonna dell’Umiltà tra i santi Donnino, Giovanni Battista, Pietro e Antonio Abate; Angelo annunciante e Vergine annunciata (1404; tempera e oro su tavola, 127 × 78 cm lo scomparto centrale, 157 × 62,8 cm gli scomparti laterali; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. 2)
Piero di Giovanni detto Lorenzo Monaco, Madonna dell’Umiltà tra i santi Donnino, Giovanni Battista, Pietro e Antonio Abate; Angelo annunciante e Vergine annunciata (1404; tempera e oro su tavola, 127 × 78 cm lo scomparto centrale, 157 × 62,8 cm gli scomparti laterali; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. 2)
Scolaio di Giovanni, San Giovanni Battista e sant’Antonio Abate (1424 circa; tempera e oro su tavola, 140 × 55 cm; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. 16)
Scolaio di Giovanni, San Giovanni Battista e sant’Antonio Abate (1424 circa; tempera e oro su tavola, 140 × 55 cm; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. 16)
Scolaio di Giovanni, Sant’Ivo Hélory di Bretagna e san Lazzaro (1424 circa; tempera e oro su tavola, 140 × 55 cm; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. 16)
Scolaio di Giovanni, Sant’Ivo Hélory di Bretagna e san Lazzaro (1424 circa; tempera e oro su tavola, 140 × 55 cm; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. 16)
Rossello di Jacopo Franchi, Madonna col Bambino in trono, san Sebastiano, san Giovanni Battista, san Giovanni Evangelista e santa Domitilla; Angelo annunciante e Vergine annunciata; Redentore benedicente (1440-1445 circa; tempera, oro e vetro molato su tavola, 181 × 184 cm; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. 26)
Rossello di Jacopo Franchi, Madonna col Bambino in trono, san Sebastiano, san Giovanni Battista, san Giovanni Evangelista e santa Domitilla; Angelo annunciante e Vergine annunciata; Redentore benedicente (1440-1445 circa; tempera, oro e vetro molato su tavola, 181 × 184 cm; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. 26)
Rossello di Jacopo Franchi, Madonna col Bambino (1420-1430 circa; tempera e argento su tavola, 76,5 × 47,2 cm; Castelfiorentino, Museo di Santa Verdiana)
Rossello di Jacopo Franchi, Madonna col Bambino (1420-1430 circa; tempera e argento su tavola, 76,5 × 47,2 cm; Castelfiorentino, Museo di Santa Verdiana)

Il protagonista della mostra entra in scena nella chiesa di Santo Stefano, rivoluzionata per l’occasione con un allestimento temporaneo non proprio esaltante (segue l’andamento della navata, chiudendo dunque la visuale sulle cappelle laterali) e anche un poco tortuoso, perché le varie sezioni della mostra s’intrecciano costringendo spesso a ritorni sui proprî passi (l’elemento positivo, se così vogliamo vederla, è che il percorso così costruito induce il pubblico a operare continui confronti e a interrogarsi con certa insistenza su quello che sta guardando). Comunque, Masolino arriva quasi subito: viene dapprima opportunamente introdotto dal Maestro della Madonna Strauss e dal Maestro del 1419, inseriti in avvio di percorsi in qualità di primi colleghi coi quali Masolino condivide la volontà, consapevole o meno, di riformare la pittura tardogotica cercando una resa più naturale e più sostanziosa delle figure, senza però abbandonare lo schema tracciato in primo luogo da Gherardo Starnina. Lo si vede bene soprattutto nella Madonna col Bambino del Maestro della Madonna Strauss, prestata dal Museo del Bargello, tavola in cui la ricercatezza d’un disegno sostanzialmente tardogotico cede a una massiccia dose di robustezza giottesca: rimarrà il dubbio sul grado di contezza dell’operazione condotta dal maestro, se cioè si tratta dell’effettivo e cercato desiderio d’impostare un linguaggio nuovo e alternativo, oppure se il maestro in questione era mosso soprattutto dall’intento di mediare, volgendo lo sguardo di lato verso Starnina e all’indietro verso i neogiotteschi per proiettare la sua pittura verso un’elegante solidità. È un ragionamento che però non sembra toccare granché il primo Masolino, quello della sofisticatissima Madonna dell’Umiltà giunta in prestito dagli Uffizi, opera che, per via del suo marcato accento tardogotico, può esser considerata un dipinto giovanile, eseguita da un Masolino probabilmente trentenne, o comunque diverso tempo prima delle opere di Empoli che segnano già un sostanzioso cambiamento. L’opera, data da Alfred Scharf a Masolino già nel 1932, nasce evidentemente come preziosa tavola per la devozione privata, ed è forse la prova più evidente dell’alunnato di Masolino presso la bottega di Lorenzo Ghiberti, circostanza di cui parlava già anche Vasari nelle Vite: per lo storiografo aretino, anzi, Masolino si sarebbe formato come scultore (era, secondo Vasari, “il miglior rinettatore che Lorenzo avesse”, “ne’ panni delle figure era molto destro e valente, e nel rinettare aveva molto buona maniera et intelligenza; per il che nel cesellare faceva con più destrezza alcune ammaccature morbidamente, così nelle membra umane come ne’ panni”). Pose e panneggi parlano la stessa lingua del Ghiberti della Porta Nord: il ginocchio della Madonna che sporge tra i cangiantismi della veste colpita dalla luce e l’andamento del panneggio che cade sul pavimento dando vita a quel sinuoso strascichio ravvivato dai bagliori della fonte luminosa sono da andare a ritrovare, quasi puntuali, nel sant’Ambrogio dell’impresa ghibertiana. Masolino non è però un mero rimestatore delle soluzioni del maestro: quella grazia delicata e diafana che si sostanzia negli incarnati tenerissimi, negli allungamenti oltre misura, in certi elementi un poco leziosi, come il capo lievemente inclinato, e che fa sembrare questa Madonna un elegantissimo fantasma, è prerogativa tutta sua, in grado d’identificarlo già a queste altezze come un artista originale, già in grado di scostarsi tanto dal maestro quanto dai vicini Lorenzo Monaco e Gherardo Starnina, il primo più improntato a una sorta d’astrattismo che sarebbe rimasto alieno a Masolino, e il secondo invece attirato da fioriture e preziosismi che pure lasceranno indifferente il giovane valdarnese.

La Madonna dell’Umiltà s’affianca a una delle principali novità della mostra, un inedito San Francesco di collezione privata, tavola che in antico faceva parte d’un polittico, e che è stilisticamente da collocare in una data prossima a quella della tavola degli Uffizi, benché il germe d’un più spiccato naturalismo, che qui si risolve (come per tanti all’epoca) nei termini di una riflessione sul neogiottismo di fine Trecento (“evidente anche nella presa della mano sinistra sul libro, un plasticismo che paradossalmente convive con levità di sfumature e fragilità di gesti in tutto masoliniane”, osserva De Marchi), lasci intravedere pulsioni nuove che sfoceranno poi nel Masolino più solido degli affreschi empolesi e soprattutto nel Masolino che pensa a lungo al suo incontro con Masaccio. Che cosa doveva pensare Masolino alla vigilia di quell’incontro tanto significativo? La risposta dovrebbe arrivare dal San Giuliano della Diocesi di Firenze, esposto assieme a quello che dovrebbe essere il suo scomparto di predella, la violenta scena con San Giuliano che uccide i genitori dal Musée Ingres Bourdelle di Montauban: probabilmente Masolino pensava che fosse giunta l’ora di staccarsi dai ritmi di Lorenzo Ghiberti, senz’abbandonare però le finezze apprese nell’attivissima bottega dello scultore, dirigendo le sue ricerche verso il mondo cortese di Gentile da Fabriano ma anche guardando, seppure in maniera superficiale come osserva Silvia De Luca, e forse anche un poco distratta e sicuramente inconsapevole, a Donatello, dacché la posa del San Giuliano parrebbe ricordare quella del San Giorgio. Guarda a Gentile anche la Crocifissione della Pinacoteca Vaticana, e per dimostrare come questo suo interesse per l’arte del marchigiano non fosse né casuale né condiviso da altri grandi, i curatori hanno sistemato nella stessa sezione (anche se in realtà, nell’itinerario di visita, la s’incontra una “sala” più avanti) la Madonna di Cedri del Beato Angelico, in arrivo dal Museo Nazionale di San Matteo di Pisa, per mostrare come, negli stessi anni, e cioè agl’inizî del terzo decennio del Quattrocento, Masolino e Beato Angelico fossero partecipi delle stesse preoccupazioni. La sinopia con la scena del Pasce oves meas introduce al tema dell’incontro con Masaccio: è un peccato non poter vedere in mostra la Sant’Anna Metterza degli Uffizi, che sarebbe stata perfetta nel percorso di Empoli, anche se è tra le più celebri immagini della storia dell’arte, singolare tavola in cui i due artisti si vedono assieme, col giovane Masaccio già proiettato verso una nuova epoca, e il più anziano pittore che rimane sorpreso e affascinato dalle novità imposte dal collega, e tenta una reazione che, in mostra, vediamo nel capolavoro forse più noto, il Cristo in pietà cui s’è fatto cenno in apertura, e che occupa una parete a sé. È l’opera più masaccesca di Masolino, spartiacque nella sua carriera, opera in cui, scrive Silvia De Luca, “l’indole tardogotica del pittore è relegata nella conduzione tutta decorativa della cimasa e nella restituzione attenta dei dettagli, come le venature della croce o le tracce di sangue in corrispondenza dei chiodi”. Masolino, qui, guarda avanti: il sepolcro è scorciato in prospettiva, il corpo di Cristo è impostato su volumi che cercano d’avvicinarsi a quelli di Masaccio, la composizione stessa cerca d’essere credibile, naturale, cerca d’attirare l’attenzione del riguardante sul dolore della Vergine e della Maddalena. Poco a che vedere con la vicina lunetta dove l’artista, pur serbando la sua innata eleganza, “sembra addirittura investito da un colpo di coda del neogiottismo di inizio secolo”, come scrive De Luca.

Masolino, ad ogni modo, è artista di riferimento per comprendere quel che accadeva a Empoli all’inizio del nuovo secolo e sull’onda della presenza sua in città, evento che risuona nelle opere di alcuni artisti attivi in città negli stessi anni in cui è presente anche Masolino, oppure immediatamente dopo. Questo è il tema della quarta sezione della mostra (che in realtà comincia sulla parete opposta a quella su cui sono state sistemate le opere di Masolino), aperta dall’altro trittico di Lorenzo Monaco del Museo della Collegiata, con cronologia di poco più avanzata rispetto a quello per San Donnino, e ipotesi su provenienza dalla stessa chiesa di Santo Stefano, come s’è accennato più sopra. Il primo artista che s’incontra è Francesco d’Antonio di Bartolomeo, collaboratore in qualche occasione di Masolino, e autore d’alcune opere in cui il linguaggio del suo collega viene interpretato in chiave più rubiconda e scanzonata, come si vede nella Madonna della cintola di Loppiano, opera in grado di scavalcare senza troppi assilli la lezione di Lorenzo Monaco nella quale Francesco d’Antonio s’era formato. Più composto e misurato è invece uno dei protagonisti del tempo, Bicci di Lorenzo, che peraltro lavorò anche come frescante nella chiesa di Santo Stefano: la Madonna col Bambino in trono e Simone Guiducci da Spicchio, accompagnata da uno scomparto che faceva parte dello stesso polittico dipinto per la collegiata di Empoli, è uno dei suoi lavori migliori (anzi, per larga parte della critica assistiamo qui al vertice della sua intera carriera), e pur indugiando su vezzi tardogotici dimostra di saper già guardare alla spazialità masaccesca del Trittico di San Giovenale, capolavoro nei riguardi del quale non dovette rimanere insensibile. E se un pittore come Giovanni Toscani rimane orgogliosamente tardogotico, altri, come Paolo di Stefano Badaloni, detto Paolo Schiavo, e Borghese di Pietro, al contrario cercano di spingersi in avanti, pur entro i limiti del loro lessico tutto vernacolare. Paolo Schiavo, col suo Crocifisso, si dimostra però artista capace di qualche eleganza memore della lezione di Masolino, mentre più ardito e grossolano è l’eloquio di Borghese di Pietro, comunque rimasto affascinato da Masolino e soprattutto dal Masaccio del polittico del Carmine a Pisa.

Maestro della Madonna Straus, Madonna dell’Umiltà (1395-1400 circa; tempera e oro su tavola, 71 × 39,5 × 3 cm; Firenze, Museo Nazionale del Bargello, collezione Carrand, inv. 2016)
Maestro della Madonna Straus, Madonna dell’Umiltà (1395-1400 circa; tempera e oro su tavola, 71 × 39,5 × 3 cm; Firenze, Museo Nazionale del Bargello, collezione Carrand, inv. 2016)
Tommaso di Cristofano di Fino detto Masolino, Madonna dell’Umiltà allattante (1415 circa; tempera e oro su tavola, 113 × 63 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, inv. 1890, n. 9922)
Tommaso di Cristofano di Fino detto Masolino, Madonna dell’Umiltà allattante (1415 circa; tempera e oro su tavola, 113 × 63 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, inv. 1890, n. 9922)
Tommaso di Cristofano di Fino detto Masolino, San Francesco (1415 circa; tempera e oro su tavola, 88,3 × 28,3 cm; Collezione privata)
Tommaso di Cristofano di Fino detto Masolino, San Francesco (1415 circa; tempera e oro su tavola, 88,3 × 28,3 cm; Collezione privata)
Tommaso di Cristofano di Fino detto Masolino, San Giuliano (1423 circa; tempera, oro e argento su tavola, 115 × 54 cm; Firenze, Deposito Diocesano di Santo Stefano al Ponte)
Tommaso di Cristofano di Fino detto Masolino, San Giuliano (1423 circa; tempera, oro e argento su tavola, 115 × 54 cm; Firenze, Deposito Diocesano di Santo Stefano al Ponte)figure> Tommaso di Cristofano di Fino detto Masolino, Crocifissione (1423 circa; tempera e oro su tavola, 53,1 × 31,6 cm; Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana, inv. MV.40260.0.0)
Tommaso di Cristofano di Fino detto Masolino, Crocifissione (1423 circa; tempera e oro su tavola, 53,1 × 31,6 cm; Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana, inv. MV.40260.0.0)
Tommaso di Cristofano di Fino detto Masolino, Pietà (1425 o 1427-1428 circa?; affresco staccato, 280 × 118 cm; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. 95)
Tommaso di Cristofano di Fino detto Masolino, Pietà (1425 o 1427-1428 circa?; affresco staccato, 280 × 118 cm; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. 95)
Masolino, Pietà, dettaglio
Masolino, Pietà, dettaglio
Masolino, Pietà, dettaglio
Masolino, Pietà, dettaglio
Guido di Pietro, detto Beato Angelico, Madonna col Bambino (1422 circa; tempera e oro su tavol, 175 × 72 cm; Pisa, Museo Nazionale di San Matteo)
Guido di Pietro detto Beato Angelico, Madonna col Bambino (1422 circa; tempera e oro su tavol, 175 × 72 cm; Pisa, Museo Nazionale di San Matteo)
Piero di Giovanni detto Lorenzo Monaco e Francesco d’Antonio di Bartolomeo, Madonna col Bambino in trono tra i santi Matteo, Caterina d’Alessandria, Giovanni Battista e Agostino; Mosè e Profeta (1415 circa; tempera e oro su tavola, 101 × 58,5 cm la tavola centrale, 132 × 54 cm ciascun laterale; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. 72)
Piero di Giovanni detto Lorenzo Monaco e Francesco d’Antonio di Bartolomeo, Madonna col Bambino in trono tra i santi Matteo, Caterina d’Alessandria, Giovanni Battista e Agostino; Mosè e Profeta (1415 circa; tempera e oro su tavola, 101 × 58,5 cm la tavola centrale, 132 × 54 cm ciascun laterale; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. 72)
Francesco d’Antonio di Bartolomeo, L’Assunta con san Tommaso e angeli (Madonna della cintola) (1427 o 1429?; tempera, oro e argento su tavola, 158 × 116 cm; Loppiano di Incisa Valdarno, Santi Vito e Modesto)
Francesco d’Antonio di Bartolomeo, L’Assunta con san Tommaso e angeli (Madonna della cintola) (1427 o 1429?; tempera, oro e argento su tavola, 158 × 116 cm; Loppiano di Incisa Valdarno, Santi Vito e Modesto)
Bicci di Lorenzo, Madonna col Bambino in trono e Simone Guiducci da Spicchio (1423-1426; tempera e oro su tavola, 124 × 72 cm; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. Carocci 18)
Bicci di Lorenzo, Madonna col Bambino in trono e Simone Guiducci da Spicchio (1423-1426; tempera e oro su tavola, 124 × 72 cm; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. Carocci 18)
Paolo di Stefano Badaloni, detto Paolo Schiavo, Crocifisso e devoto carmelitano (1425 circa; affresco strappato, 287 × 272 cm; Firenze, convento di Santa Maria del Carmine, sala della colonna)
Paolo di Stefano Badaloni, detto Paolo Schiavo, Crocifisso e devoto carmelitano (1425 circa; affresco strappato, 287 × 272 cm; Firenze, convento di Santa Maria del Carmine, sala della colonna)
Borghese di Pietro, Madonna col Bambino (1430 circa; tempera e oro su tavola, 93 × 54 cm; Terricciola, San Donato)
Borghese di Pietro, Madonna col Bambino (1430 circa; tempera e oro su tavola, 93 × 54 cm; Terricciola, San Donato)

Tornando all’opera attorno a cui ruota buona parte della mostra, e cioè il Cristo in pietà di Masolino, in occasione della rassegna s’è pensato d’avanzarne un poco la cronologia rispetto al tradizionale 1424: non di tanto, giusto qualche mese, abbastanza per spostarne l’esecuzione agli ultimi mesi di quell’anno, oppure al 1425, quando cioè Masolino e Masaccio avevano già cominciato a organizzare il lavoro alla Cappella Brancacci. Questo spostamento, che potrebbe far supporre che Masolino tornò a Empoli a Cappella Brancacci avviata, è motivato dalla sostanziale novità del Cristo in pietà (certo, poca cosa in confronto a quello che Masaccio dipingeva e aveva dipinto, ma va tutto parametrato a quel che Masolino aveva prodotto sino ad allora), specialmente se si considera l’affresco del Battistero con la Madonna che Masolino dipingeva nella sagrestia della chiesa di Santo Stefano: il raffronto nella stessa sede consente dunque d’apprezzare lo slancio in avanti della Pietà, giustificabile forse con un’esecuzione più attardata. Le ultime due sezioni della mostra sono dedicate proprio a due imprese ad affresco: quella, precedente, di Gherardo Starnina nella cappella dell’Annunziata, di cui rimangono alcuni lacerti (alcuni santi del sottarco d’accesso: peraltro è proprio grazie a questi frammenti che s’è potuto dare un nome a Gherardo Starnina, altrimenti noto in precedenza come il “Maestro del Bambino Vispo”, per via della sua iniziale attitudine un poco esuberante, poi stemperata dopo il ritorno dal viaggio in Spagna), arricchiti con alcuni lavori che risalgono allo stesso torno d’anni, e quella di Masolino nella cappella della Croce (dove, per l’occasione, dal Museo della Collegiata è stata fatta tornare la Crocifissione di Lorenzo di Bicci, la pala che qui si trovava in antico).

Anche degli affreschi di Masolino, tuttavia, rimane molto poco: si tratta per lo più di sinopie e di qualche frammento, che se non possono darci un’idea di come doveva essere l’opera compiuta riescono tuttavia a suggerire l’originalità di alcune soluzioni, come l’espediente, in una delle scene del ciclo d’affreschi, del finto loggiato sotto cui l’artista aveva disposto le figure, la cui presenza è oggi intuibile giusto da alcuni rimasugli dell’architettura. Altri dettagli, tuttavia, rivelano come Masolino avesse immaginato un complesso improntato a un certo grado d’illusionismo, del tutto inusuale per la Toscana del tempo, così come inusuale da queste parti era l’idea d’impostare le scene in modo continuo. Suppa ritiene che, per tutti questi motivi, Masolino dovette guardare a esempî del nord Italia, specie padovani (da Altichiero a Giusto de’ Menabuoi passando per Guariento): il ciclo empolese è fatto di pitture eseguite, scrive Suppa, “in un momento di piena libertà inventiva e di rimeditazione su opere viste tanto in Toscana quanto fuori regione; quella libertà che tornerà felicemente nelle campagne decorative di Castiglione Olona e che a Empoli è tanto appassionata da convincere Bicci di Lorenzo [negli affreschi del transetto destro di Santo Stefano, nda] a ignorare per una volta la coerenza fra spazio finto e spazio reale e inventarsi delle crustae marmoree che continuano come una carta da parati da una parete all’altra”.

Masolino da Panicale, Madonna col Bambino (1424; affresco; Empoli, Santo Stefano)
Masolino da Panicale, Madonna col Bambino (1424; affresco; Empoli, Santo Stefano)
Masolino da Panicale, Leggenda della Candelora? (1424; affresco; Empoli, Santo Stefano)
Masolino da Panicale, Leggenda della Candelora? (1424; affresco; Empoli, Santo Stefano)
Masolino da Panicale, volta della Cappella della Croce (Empoli, Santo Stefano)
Masolino da Panicale, volta della Cappella della Croce (Empoli, Santo Stefano)

Va infine segnalata un’ultima novità che riguarda il lacerto d’affresco del transetto destro, anch’esso opera di Masolino, situato non lontano dalla lunetta che decora l’accesso alla sagrestia. Il frammento è sempre stato identificato con un Sant’Ivo, ma in occasione della mostra Suppa propone una diversa ipotesi: sant’Ivo di Bretagna, giurista, viene solitamente raffigurato assiso, con in mano un rotolo, simbolo delle cause sostenute in difesa dei deboli, e con al suo fianco destro una piccola adunanza di vedove e poveri, i suoi assistiti. Il santo raffigurato da Masolino tiene in mano quello che secondo Suppa sembra essere un cero più che un rotolo, mentre alla sua destra compare un gruppo di ragazze giovani, sorridenti e ben abbigliate, con le mani incrociate sul petto. Più calzante potrebbe essere, secondo lo studioso, l’identificazione con la scena del miracolo della candelora narrato da Jacopo da Varazze: le fanciulle sarebbero quindi le offerenti che avrebbero assistito all’apparizione di Cristo nel giorno della festa, e qui raffigurate in attesa di ricevere il cero dal personaggio al centro, nei momenti che precedono l’epifania divina. Suppa non spiega perché la chiesa avrebbe dovuto accogliere una raffigurazione della candelora, festa tuttavia piuttosto sentita nella Toscana del tempo, ma l’ipotesi è sicuramente interessante e s’aggiunge alle tante identificazioni, più o meno appropriate, che son state fornite per questa scena: s’è parlato di san Giuliano, s’è avanzato il nome di san Sigismondo, e dati gli elementi forse si potrebbe anche pensare a una sant’Orsola. La martire indossa tipicamente un mantello foderato di vaio, è accompagnata da uno stuolo di ragazze, ovvero le compagne martirizzate assieme a lei, e se s’ipotizza che quel lembo bianco che sovrasta l’arcone sopra alle giovani sia quel che rimane d’un vessillo, allora si potrebbe pensare che quello che tiene in mano sia il suo tipico stendardo.

In uscita dalla chiesa di Santo Stefano, da vedere anche la tavola con San Nicola da Tolentino che protegge Empoli dalla peste, opera in situ di Bicci di Lorenzo del 1445, quindi lontana dal periodo su cui si concentra la mostra, e però esemplificativa d’una fase di ripiegamento su modi tradizionali ch’è tra le tendenze che si verificano dopo l’arrivo di Masolino a Empoli, e che pertanto forse meritava magari non l’inclusione nell’itinerario di visita, ma magari una piccola indicazione.

Come anticipato, pur in mancanza di qualche pezzo (alcuni su cui si poteva fare poco, come la Madonna di Brema e la Sant’Anna Metterza data la scarsa propensione al prestito da parte dei loro musei, mentre per un’opera fondamentale, ovvero la Fondazione di Santa Maria Maggiore e l’Assunzione sua compagna del Museo di Capodimonte, che pure avrebbero ben figurato nel percorso, la colpa è da dare alle discutibili politiche della passata direzione del museo napoletano che ha preferito spedirle in giro per mostre inutili), e pur con un itinerario di visita messo a prova da un allestimento rivedibile, il pubblico si troverà a visitare un’ottima rassegna. Empoli 1424. Masolino e gli albori del Rinascimento è una mostra di qualità che restituisce Masolino al suo contesto e, si può dire, lo slega dall’ingombrante nome di Masaccio. Una mostra che trae una straordinaria forza dal fatto d’esser stata organizzata a Empoli, centro di non secondaria importanza nella geografia dell’arte del primo Quattrocento, e che si pone come un solido progetto d’approfondimento su di un artista, Masolino da Panicale, largamente ignorato dal “mondo delle mostre”, se così lo vogliamo chiamare. Un artista che nell’anniversario tondo dell’anno più importante della sua carriera meritava un denso approfondimento che ne ricostruisse in maniera compiuta la prima parte della carriera (va specificato che è sul Masolino di Empoli che la rassegna si concentra: tutto quello che accade dopo la Cappella Brancacci non è stato fatto oggetto della mostra). Artista irregolare, enigmatico, in continuo cambiamento, sempre in viaggio: Empoli è però forse la città che più di qualunque altra si presta a un’indagine verticale su questo significativo protagonista del primo Quattrocento, degli anni fondamentali in cui si compie il graduale passaggio dalla pittura tardogotica a quella rinascimentale. Perché, tolta Firenze, forse nessun’altra città, almeno allo stato attuale delle nostre conoscenze, serba tante tracce delle riflessioni che Masolino doveva aver fatto in quei mesi cruciali. E sicuramente nessun’altra ha una chiesa dov’è possibile vedere, a pochi passi di distanza, il prima e il dopo, una Madonna dalle dolcezze tardogotiche e un ciclo d’affreschi, seppur ridotto a un’ombra, ravvivato da nuovissimi impulsi.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.




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