I media hanno un (grosso) problema con le attribuzioni nell'arte


Accade sempre più spesso che i media generalisti riprendano in modo acritico notizie di attribuzioni implausibili: opere molto modeste assegnate a grandi maestri come Michelangelo, Leonardo, Raffaello. Perché succede?

Il 14 maggio, presso la sala della Stampa Estera a Palazzo Grazioli a Roma, una studiosa di arte rinascimentale, Amel Olivares, ha comunicato ai giornalisti presenti di aver individuato, dopo una ricerca durata otto anni, una presunta nuova opera di Michelangelo, conservata in un caveau a Ginevra: una riproduzione in olio su tela del Giudizio Universale della Cappella Sistina, che sarebbe anche l’unica opera in olio su tela di Michelangelo. L’opera somiglia molto a un’altra riproduzione del Giudizio Universale, quella di Alessandro Allori: per questo, secondo la studiosa, Michelangelo, dopo averla realizzata, l’avrebbe donata ad Allori perché ne facesse una riproduzione. Per motivi iconografici, stilistici, storici e anche logici (in assenza di documentazione che dica il contrario, è molto più plausibile che l’olio su tela sia una copia del Giudizio di Allori, e non viceversa) la ricostruzione proposta dalla studiosa è del tutto implausibile. Eppure, prima che alcuni storici dell’arte, e questo giornale tra gli altri, spiegassero in poche parole l’assurdità dell’attribuzione, la notizia di un “nuovo Michelangelo ritrovato” era stata ripresa da RaiNews, Ansa, Adnkronos e buona parte delle testate nazionali: tutte riportano soltanto la versione di chi ha proposto l’attribuzione.

Non è la prima volta che succede, tutt’altro. Poco più di due mesi fa, diversi giornali italiani e internazionali hanno riportato una notizia lanciata per prima dall’Ansa di Trieste: gli eredi italiani dell’assassino del re d’Inghilterra Guglielmo II vogliono donare a un importante museo britannico il trittico che rappresenta il momento dell’assassinio. E lo vogliono fare nonostante abbiano ricevuto importanti offerte dall’Arabia Saudita e dagli Stati Uniti. La notizia rimbalza di giornale in giornale sottotraccia fino a quando non arriva sul Guardian, che conta milioni di lettori: alcuni dei quali fanno notare che il trittico stilisticamente non può essere dell’XI secolo, che molte delle figure appaiono chiaramente rielaborate dall’arazzo Bayeux (XI secolo, ma divenuto celebre dal XIX secolo in poi), e che alcune delle frasi in latino contengono grossolani errori grammaticali. L’articolo viene modificato, ma ormai la notizia del presunto trittico medievale era ovunque.

Poco più di un anno fa aveva fatto ugualmente rumore il ritrovamento di un nuovo Raffaello: il “tondo de Brecy” non veniva descritta come un’epoca di età vittoriana, come tutti pensavano, ma proprio come un’opera di Raffaello, originale. Il risultato era stato fornito da un’intelligenza artificiale, che aveva riconosciuto come quasi identiche il tondo e la Madonna Sistina conservata a Dresda, di cui il tondo di Brecy è (o si pensava essere) una copia. La vicenda dell’Ia che permette di riconoscere dipinti originali era considerata evidentemente così entusiasmante che La Stampa finì per dedicarci un titolo, scrivendo in apertura del pezzo: “ora anche nell’arte l’Intelligenza artificiale sta facendo passi da gigante si aggiudica un match contro l’homo sapiens super esperto di storia dell’arte”. Ma al di là dei toni più o meno entusiastici, l’attribuzione venne presa per buona un po’ da tutti, nonostante quello che si aveva era solo un software che riconosceva come quasi identici un originale e una copia fedele.

Questo schema si sta ripetendo costantemente. Solo per citare alcuni casi recenti, i giornali hanno ripreso la notizia di un nuovo Raffaello ritrovato (era con ogni probabilità una copia da Perugino) nel settembre 2023, poi un altro a dicembre 2023; una Leda e il Cigno è stata attribuita a Leonardo da Vinci nel marzo 2023; poi tanti altri casi minori, con un dibattito sulla seconda Monna Lisa che continua con proposte più o meno azzardate con costanza. Non è una novità che si propongano attribuzioni azzardate, è sempre accaduto. Ma sembra invece stia aumentando la frequenza con cui queste “sparate” vengono prese per buone e rilanciate da siti di informazione con una forte credibilità, come le agenzie di stampa o quotidiani di livello nazionale.

Il Giudizio Universale, copia della pala di Alessandro Allori, attribuito a Michelangelo
Il Giudizio Universale, copia della pala di Alessandro Allori, attribuito a Michelangelo
Il presunto trittico dell'XI secolo
Il presunto trittico dell’XI secolo
Il tondo De Brecy
Il tondo De Brecy
La replica della Maddalena del Perugino presentata come opera di Raffaello
La replica della Maddalena del Perugino presentata come opera di Raffaello
La Leda di un pittore leonardesco, attribuita a Leonardo da Vinci
La Leda di un pittore leonardesco, attribuita a Leonardo da Vinci

Lo schema di questi lanci e rilanci è sempre simile: un’agenzia di stampa o un quotidiano riprende la notizia, senza verificarla (cioè senza contattare uno o più storici dell’arte che non abbiano interessi privati sull’opera), in questo modo la legittima, e altre testate allo stesso modo la rilanciano, sempre riportando un’unica versione, fino a quando - accade di rado - qualcuno con forte legittimità accademica e mediatica non afferma che l’attribuzione sia quantomeno improbabile. A volte a raccontare la nuova sorprendente attribuzione a è uno studioso del settore, che per i motivi più vari trasforma una sua ipotesi in una certezza, il più delle volte si tratta di docenti universitari (che da questo aspetto traggono autorità) di formazione diversa, spesso facendo un utilizzo strumentale di tecniche scientifiche che non possono essere usate per datare o attribuire: cosa che però il pubblico medio, anche giornalistico, non sa.

Sia chiaro, non tutte le ipotesi di nuove attribuzioni, anche straordinarie e sorprendenti, sono di questo genere. Ci sono casi, anche recenti, in cui l’ipotesi è fondata e discutibile: ad esempio nel caso del Salvator Mundi attribuito a Leonardo, opera di livello del XVI secolo che potrebbe effettivamente essere di Leonardo, oppure di un seguace, o il pannello di Cimabue riconosciuto nel 2019 in una cucina in Francia. Ci sono varie sfumature nel dibattito storico-artistico. In tutti i casi che abbiamo citato sopra, però, si tratta invece di ipotesi molto più improbabili, a volte surreali, a volte tecnicamente impossibili.

Quella che le porta a finire su testate importanti e riconosciute è una dinamica, pericolosa, che fonda le sue radici soprattutto sulla crisi del giornalismo: in particolare sul fatto che, da una parte, molti giornalisti (la maggior parte, anche nelle agenzie stampa) siano pagati a pezzo, o a lancio, quindi poco invogliati a verificare - una verifica può far saltare il lancio, e quindi il compenso - e dall’altra che le redazioni siano sempre più piccole, con sempre meno redattori ordinari. Meno conoscenze, meno contatti da chiamare nel caso di dubbi, più lavoro. E inoltre, per una strana prassi non solo italiana, chi racconta in modo parziale o volutamente fuorviante cose non adeguatamente verificate o fondate, in nessun modo rischia sanzioni o querele, se riguardano le scienze, esatte e non, a differenza di quel che accade in quasi tutti gli altri ambiti giornalistici.

Questa debolezza del sistema mediatico è spesso utilizzata, più o meno legittimamente, da persone con interessi privati (i proprietari dell’opera, i galleristi, i collaboratori della proprietà). Ma è utilizzata purtroppo anche dalle istituzioni pubbliche, che “lanciano” notizie parzialmente false o fuorvianti contando sul fatto che per le redazioni sarà difficile, o poco utile, verificarle. In una dinamica che rende sempre più difficile per i lettori non esperti in materia comprendere se la notizia sia verificata o se sia solo raccontata, creando confusione e contribuendo a inquinare il dibattito.

Un errore di molti addetti ai lavori è pensare che certe notizie “non accademiche” possano essere ignorate. Victor Veronesi, storico dell’arte milanese impegnato in un lavoro di verifica e debunking di notizie stampa sistemico, con divulgazione sui social e informazioni ai giornalisti, su questo non ha dubbi: “Non possiamo lasciare che queste posizioni, piuttosto difficili da dimostrare in assenza di elementi, circolino, intasino i media. Rendono più difficile la vita ai giornalisti, che magari non riescono a comprendere quando si tratta di una vera scoperta, quando si tratta di una ricerca conclusa con validità scientifica e quando di un’ipotesi: così si danneggia anche la ricerca scientifica e critica”. Se per raccontare la storia dell’arte e aumentare il valore di un’opera sul mercato basta un buon ufficio stampa e una discreta dose di retorica ed immaginazione, è un danno anzitutto per chi si occupa seriamente della materia. In secondo luogo, per chi vuole conoscerla e comprenderla.


Se ti è piaciuto questo articolo abbonati a Finestre sull'Arte.
al prezzo di 12,00 euro all'anno avrai accesso illimitato agli articoli pubblicati sul sito di Finestre sull'Arte e ci aiuterai a crescere e a mantenere la nostra informazione libera e indipendente.
ABBONATI A
FINESTRE SULL'ARTE

Leonardo Bison

L'autore di questo articolo: Leonardo Bison

Dottore di ricerca in archeologia all'Università di Bristol (Regno Unito), collabora con Il Fatto Quotidiano ed è attivista dell'associazione Mi Riconosci.



Commenta l'articolo che hai appena letto



Commenta come:      
Spunta questa casella se vuoi essere avvisato via mail di nuovi commenti





Torna indietro



MAGAZINE
primo numero
NUMERO 1

SFOGLIA ONLINE

MAR-APR-MAG 2019
secondo numero
NUMERO 2

SFOGLIA ONLINE

GIU-LUG-AGO 2019
terzo numero
NUMERO 3

SFOGLIA ONLINE

SET-OTT-NOV 2019
quarto numero
NUMERO 4

SFOGLIA ONLINE

DIC-GEN-FEB 2019/2020
Finestre sull'Arte