Il ritrovamento negli scavi di Pompei, in località Civita Giuliana, dei corpi di due antichi pompeiani travolti dalla furia dell’eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo, è stata definita, al solito, come una “scoperta straordinaria”: questa l’esatta espressione adoperata dal ministro dei beni culturali, Dario Franceschini, per presentare il rinvenimento. Ma non solo: su diverse testate (giornali, emittenti televisive nazionali), oltre che sul web, la notizia è stata presentata con titoli in cui si diceva che a Pompei sono stati ritrovati “i corpi intatti” dei due fuggiaschi. Ovviamente non si tratta di corpi intatti: chi ha presentato il ritrovamento in questo modo probabilmente ha osservato la fotografia dei calchi delle vittime, immaginando che fossero davvero i corpi dei due sfortunati pompeiani. E l’equivoco ha continuato a circolare a lungo. E ancora: il fatto che una delle due vittime avesse degli schiacciamenti vertebrali probabilmente dovuti a lavori pesanti (forse era uno schiavo) ha portato a una particolare ricostruzione, lanciata dal comunicato del MiBACT (ma non da quello del Parco), secondo la quale le due vittime sarebbero state lo schiavo e il suo padrone.
Gli archeologi del Parco Archeologico di Pompei tuttavia non hanno fatto altro che eseguire i calchi dei resti dei due uomini rinvenuti sotto uno strato di cenere indurita in un vano del criptoportico della villa. Si tratta di una tecnica, messa a punto nella seconda metà dell’Ottocento dall’archeologo Giuseppe Fiorelli (Napoli, 1823 - 1896), con la quale si riempivano i vuoti lasciati dalla decomposizione della materia organica dei corpi sotto la cinerite, ovvero la cenere solidificata (l’abbiamo spiegata in breve anche su queste pagine). Insomma, possiamo chiarire bene cosa è stato ritrovato a Pompei e perché non ha alcun senso parlare di “corpi intatti”? E soprattutto: possiamo davvero parlare di una scoperta sensazionale? Per ottenere risposta a queste domande, abbiamo raggiunto la professoressa Luciana Jacobelli, archeologa, docente di Metodologia della ricerca archeologica presso l’Università del Molise, e tra i maggiori esperti di archeologia pompeiana.
“Il vero problema”, afferma Jacobelli, “è aver considerato la notizia come uno scoop quando in realtà è una falsa notizia, una notizia ridicola, perché chiunque abbia lavorato a Pompei ha trovato o ha fatto dei calchi o ha trovato dei resti umani o animali. Io personalmente ho fatto a Pompei quattro calchi, ma non mi sono mai sognata di avvertire la stampa. I calchi si fanno dal 1863 e a Pompei ne esistono più di mille: non vedo dunque dove stia la particolarità. Oltretutto, dalle immagini che ho visto, una parte di questi calchi è sicuramente falsa, perché era già stata aperta parte della cenere che copre il calco. Per averlo realmente integro non si può togliere la cenere che ricopre il calco, perché quando si versa il gesso si va a riempire il vuoto lasciato dal corpo decomposto, però se si apre già un pezzo di questo corpo poi con il calco lo si rifà finto, poiché non c’è più quello che lo copriva. Quindi in realtà già questi calchi sono strani. Non vedo l’eccezionalità del ritrovamento: qualcuno lo dovrebbe spiegare... il calco si fa sempre nello stesso modo, ovvero con il gesso secondo la tecnica compiuta nell’Ottocento dall’archeologo Giuseppe Fiorelli”.
“Altra cosa che mi sbalordisce”, prosegue l’archeologa, “è l’aver creato attorno a questo ritrovamento l’aneddoto del padrone e dello schiavo: aneddoti che risalgono all’Ottocento, quando erano i custodi che facevano da guida a raccontarli per accattivare l’attenzione del turista. Come la matrona che sarebbe stata ritrovata nella caserma dei gladiatori: una storia inventata per raccontare che le donne amavano i gladiatori e questa matrona sarebbe corsa durante l’eruzione per incontrarsi con il gladiatore. Sono cose ridicole, non c’è scientificità in questa storia del padrone e dello schiavo, sono cose inventate solo per fare della sensazionalità sull’archeologia. I social sono pieni di queste storielle che ridicolizzano la materia. Per dire che un corpo apparteneva a un adulto e l’altro a un giovane si devono prima studiare le ossa, ma se prima sono state studiate le ossa il calco non può venire. Il calco si fa senza vedere lo scheletro, poiché quest’ultimo viene inglobato nel gesso”.
Il rischio del troppo sensazionalismo su Pompei, ritiene Jacobelli, è quello di mettere in ombra gli altri siti archeologici, che pure avrebbero bisogno di maggiori cure. “Il problema”, conclude Jacobelli, “è che queste notizie sembrano frutto di speculazione, sono fuorvianti, e questo non fa bene né all’archeologia né alla divulgazione seria. È solo un modo per attrarre l’attenzione sempre e solo su Pompei. Che poi ci siano innumerevoli siti archeologici meravigliosi ma che cadono letteralmente a pezzi (ultimamente ho visto Cerveteri in condizioni disastrose) non interessa a nessuno. Ormai esiste solo Pompei. Anche la stampa dovrebbe porsi delle domande e invece dà le notizie e basta, e questo è grave”.
Nell’immagine: i calchi degli ultimi ritrovamenti della scorsa settimana.
Scoperte straordinarie o scoperte ridicole? Quello che nessuno vi dice su Pompei |