Tesori di ceramica. La straordinaria diffusione delle robbiane in Valtiberina


La tecnica della ceramica invetriata promossa dalla bottega rinascimentale dei Della Robbia ha avuto una capillare fortuna in Valtiberina, dove ancora oggi è possibile ammirarle su tutto il territorio. Un percorso alla scoperta delle robbiane della Valtiberina.

Lungo le sponde dell’alto Tevere si dischiude la Valtiberina, una terra nota per i suoi splendidi paesaggi ma anche per il contributo che ha dato all’arte. Qui sono infatti nati Michelangelo e Piero della Francesca, il quale vi ha lasciato anche alcune tra le sue opere più significative. Nella valle si è inoltre combattuta la celebre battaglia di Anghiari, resa eterna dallo scomparso capolavoro di Leonardo da Vinci. Questo territorio è dotato di un ricco patrimonio artistico, di cui un notevole motivo di interesse è rivestito dalle splendenti robbiane disseminate tra chiese e antichi palazzi; si tratta delle celebri sculture a ceramica invetriata che furono diffuse dalla famiglia fiorentina dei Della Robbia e da alcuni stretti seguaci tra il XV e XVI secolo.

“Luca dunque, passando da un lavoro ad un altro, e dal marmo al bronzo e dal bronzo alla terra, ciò fece non per infingardaggine, né per essere, come molti sono, fantastico, instabile e non contento dell’arte sua, ma perchè si sentiva dalla natura tirato a cose nuove, e dal bisogno a un esercizio secondo il gusto suo e di manco fatica e più guadagno. Onde ne venne arricchito il mondo e l’arti del disegno d’un’arte nuova, utile e bellissima, et egli di gloria e lode immortale e perpetua”: così concludeva Giorgio Vasari la vita di Luca Della Robbia (Firenze, 1400 circa – 1482), capostipite e inventore di una tecnica che ancora a distanza di un secolo dalla sua introduzione, godeva di grande considerazione e successo. Lo scultore fiorentino nacque intorno al 1400, e si distinse nei primi decenni della sua attività con lavori di oreficeria e con la scultura in marmo, tra cui la Cantoria per il Duomo di Firenze eseguita tra il 1431 e il 1438, e le cinque formelle dedicate alle Arti Liberali per il Campanile di Giotto; iniziò a sperimentare intorno agli anni Quaranta questa nuova applicazione per la scultura. Per quanto la portata delle robbiane sia stata rivoluzionaria nell’arte italiana, bisogna comunque ridimensionare l’agiografia che ne tesse Vasari: infatti, Luca non aveva di per sé inventato la tecnica, ma aveva adottato delle antiche conoscenze provenienti dal mondo arabo, che prevedevano l’uso di un rivestimento di smalto stannifero sulla terracotta che rendeva i manufatti splendenti e molto resistenti.

I Della Robbia ebbero il merito però di diffonderne l’utilizzo nella scultura monumentale, sperimentandone le possibilità e perfezionando la tecnica fino ad altissimi livelli, tramandando il segreto di questa lavorazione solo in famiglia. Fu così che le ceramiche invetriate policrome dei Della Robbia, ancora oggi note come robbiane, in breve non solo conquistarono Firenze, ma si diffusero da li a tutta la Toscana, e poi ai confini nazionali e ben oltre questi.Non fece eccezione la Valtiberina, dove anzi, le robbiane ebbero uno smisurato successo, tanto che praticamente in ogni comune di questa splendida valle se ne trovano significative testimonianze. La ragione della fortuna e la capillare diffusione in questa area della tecnica va rintracciata probabilmente in molteplici motivazioni, che si intrecciano con la storia di Andrea Della Robbia (Firenze, 1435 – 1525), nipote di Luca, suo discepolo ed erede delle conoscenze della famiglia.

Andrea della Robbia, Natività con l’annuncio ai pastori (1480 circa; terracotta invetriata, 344 x 237 cm; Sansepolcro, Museo Civico)
Andrea della Robbia, Natività con l’annuncio ai pastori (1480 circa; terracotta invetriata, 344 x 237 cm; Sansepolcro, Museo Civico)
Andrea Della Robbia, Tabernacolo (1495 circa; terracotta invetriata; Sansepolcro, Duomo)
Andrea Della Robbia, Tabernacolo (1495 circa; terracotta invetriata; Sansepolcro, Duomo)
Il San Benedetto attribuito talvolta ad Andrea oppure a Luca della Robbia il giovane
Il san Benedetto attribuito talvolta ad Andrea oppure a Luca della Robbia il giovane
Il san Romualdo attribuito talvolta ad Andrea oppure a Luca della Robbia il giovane
Il san Romualdo attribuito talvolta ad Andrea oppure a Luca della Robbia il giovane

A lui si deve una svolta iconografica nella produzione di terrecotte invetriate in una direzione più devota e trascendente, e meno austera di quanto fosse propria della produzione di Luca. Le sue opere si ammantano di un linguaggio casto e umile, più emotivo e sentimentale, certo più incline alla sensibilità popolare e alla spiritualità francescana e in più generale a quella degli ordini mendicanti. E del resto le inclinazioni religiose di Andrea sono testimoniate dal Vasari: “Lasciò due figliuoli frati in San Marco stati vestiti dal reverendo fra’ Girolamo Savonarola, del quale furono sempre que’ della Robbia molto divoti”.

La nuova estetica promossa dalle sue ceramiche pertanto incontrava gli orientamenti francescani, che alle sue commissioni ricorsero di frequente. Ed è proprio il ruolo che ricopre nel cantiere del Santuario della Verna in Casentino, a pochi chilometri dalla Valtiberina, uno dei luoghi più rilevanti del francescanesimo, deve aver avuto un’importanza nodale per la diffusione in questa area. Qui lasciò una ricca serie di opere, formata da monumentali tavole invetriate. Ai motivi estetici e anche simbolici (le robbiane, essendo manufatti in terra, sono certo più consoni rispetto ad altri pregiati materiali a una dottrina che esalta la povertà) si aggiunsero ovviamente anche motivi prettamente pratici. Infatti, secondo Vasari, esposta a rigidissime condizioni climatiche “niuna pittura, né anche pochissimi anni si sarebbe conservata”, mentre “questa bella invenzione tanto vaga e tanto utile e massimamente per i luoghi dove sono acque e dove per l’umido o altre cagioni non hanno luogo le pitture”. Inoltre, le robbiane avevano l’ulteriore vantaggio di essere facilmente trasportabili, grazie a un peso certamente contenuto e il fatto che venivano movimentate in pezzi e poi assemblate in loco, permettendo lunghi viaggi, anche nei luoghi più periferici. Il loro essere state impiegate con successo in un luogo riverito e sacro come la Verna e i loro pregi di economicità, trasportabilità e durabilità, ma anche di luminosità, decretarono la fortuna delle robbiane in questa area.

Si può rintracciare un cospicuo numero di opere che la critica ha ascritto direttamente alla mano di Andrea o della sua bottega, talune di queste furono impiegate per finalità devozionali e liturgiche, altre furono invece frutto di commissioni e finalità laiche: com’è il caso, per esempio, della numerosa produzione degli stemmi nobiliari, che dagli anni Settanta del XV secolo escono con sempre più continuità dalla bottega di Andrea e dei suoi eredi, per incrostare le facciate dei palazzi pretori toscani, mettendo quindi a massimo profitto quella peculiarità di resistere agli agenti atmosferici, e perciò sondando un’opportunità che non era stata presa in considerazione quando la bottega era condotta da Luca. Così, sia sul Palazzo Pretorio di Anghiari che quello di Sansepolcro e di Pieve Santo Stefano, tra i numerosi stemmi in pietra serena, se ne scorgono anche in terracotta invetriata.

Andrea della Robbia, Madonna della Misericordia (1495 circa; terracotta invetriata; Anghiari, Santa Maria delle Grazie)
Andrea della Robbia, Madonna della Misericordia (1495 circa; terracotta invetriata; Anghiari, Santa Maria delle Grazie)
Andrea della Robbia, Natività tra i Santi Giovanni Evangelista e Francesco (1490-1500 circa; terracotta invetriata; Anghiari, Museo di Palazzo Taglieschi)
Andrea della Robbia, Natività tra i santi Giovanni Evangelista e Francesco (1490-1500 circa; terracotta invetriata; Anghiari, Museo di Palazzo Taglieschi)
Benedetto Buglioni, Gesù e la Samaritana al Pozzo (1510-1520 circa; terracotta invetriata; Anghiari, Museo di Palazzo Taglieschi)
Benedetto Buglioni, Gesù e la Samaritana al Pozzo (1510-1520 circa; terracotta invetriata; Anghiari, Museo di Palazzo Taglieschi)
Santi Buglioni, Adorazione dei Pastori (1550-1570 circa; terracotta invetriata; Anghiari; Sant'Agostino)
Santi Buglioni, Adorazione dei Pastori (1550-1570 circa; terracotta invetriata; Anghiari; Sant’Agostino)
Benedetto Buglioni, Madonna col Bambino e San Giovannino (1510-1515 circa; terracotta invetriata; Anghiari, Museo di Palazzo Taglieschi)
Benedetto Buglioni, Madonna col Bambino e san Giovannino (1510-1515 circa; terracotta invetriata; Anghiari, Museo di Palazzo Taglieschi)

Ad Andrea viene attribuita inoltre la grande pala in terracotta rappresentante la Natività e Adorazione dei Pastori, datata 1485 oggi custodita nel Museo Civico di Sansepolcro, ma realizzata per il monastero di Santa Chiara, e poi spostata in una cappella dell’annessa chiesa, dove fu vista da Marcel Reymond, che ne scrisse nella sua pubblicazione Les Della Robbia del 1897, uno dei primi testi dedicati alla famiglia di ceramisti fiorentini. Per il francese l’opera apparteneva a una tarda maniera di Andrea, quando, con l’avanzare dell’età, lo scultore iniziò a complicare le sue composizioni, con ritmo più agitato e animando l’opera con un maggior numero di personaggi, in una resa stilistica più pittorica. La natività che occupa lo scomparto centrale inquadrata da una sobria cornice architettonica a pilastri di gusto classico rappresenta canonicamente la scena, mentre con vivace piglio naturalistico è resa l’ambientazione vegetale. Completano l’opera in alto una lunetta con l’Annunciazione e un predella in basso con quattro angeli e alle estremità San Francesco e Santa Chiara genuflessi.

Sempre nel Museo Civico si trova anche un’altra opera di Andrea, uno dei suoi diffusissimi tondi di soggetto mariano, probabilmente eseguito per Bernardo di Filippo Manetti che nel 1502 era Podestà a Sansepolcro, come alluderebbe lo stemma della famiglia retto dall’angelo in alto. Anche nel Duomo cittadino, si conserva un tabernacolo di squisite fattezze di Andrea Della Robbia, e due sculture a rilievo il San Benedetto e San Romualdo (per altri da riconoscersi invece come San Biagio). Le due robbiane dei fondatori rispettivamente dell’Ordine benedettino e camaldolese sono poste in controfacciata, e secondo alcuni studiosi sono da indirizzarsi non ad Andrea, ma bensì al suo sesto figlio, Luca della Robbia il giovane (Firenze, 1475 – Parigi, 1548).

Un’altra significativa opera di Andrea si trova invece ad Anghiari: si tratta della Madonna della Misericordia, realizzata per un monumentale tabernacolo del centro cittadino, nell’attuale via Garibaldi, dove oggi è stata sostituita da una copia. L’originale commissionata dalla Confraternita di Santa Maria della Misericordia del Borghetto si trova invece dal 1938 sull’altare maggiore della chiesa di Santa Maria delle Grazie. La Vergine mentre viene incoronata dagli angeli, accoglie sotto il suo ampio mantello un nugolo di fedeli in preghiera in cerca di protezione, tra cui si distinguono astanti ecclesiastici e laici, tra i quali un soldato in armatura da riconoscersi forse in Iacopo Giusti o di Gregorio d’Agnoluccio del Piccino, detto l’Anghiarese, due uomini d’arme al soldo della Repubblica fiorentina caduti in battaglia, i quali lasciarono i loro beni alla confraternita.

Girolamo della Robbia, Cristo e la Samaritana al Pozzo (1511 circa; terracotta invetriata; Pieve Santo Stefano, Palazzo Comunale)
Girolamo della Robbia, Cristo e la Samaritana al Pozzo (1511 circa; terracotta invetriata; Pieve Santo Stefano, Palazzo Comunale)
Giovanni della Robbia, San Sebastiano alla colonna (1510-1520 circa; terracotta invetriata, altezza 160 cm circa; Pieve Santo Stefano, Collegiata di Santo Stefano)
Giovanni della Robbia, San Sebastiano alla colonna (1510-1520 circa; terracotta invetriata, altezza 160 cm circa; Pieve Santo Stefano, Collegiata di Santo Stefano)
Bottega di Andrea della Robbia, Assunzione di Maria tra San Francesco, Sant’Antonio da Padova, San Girolamo e Sant’Antonio Abate (1514; terracotta invetriata, 254 x 444 cm; Pieve Santo Stefano, Collegiata di Santo Stefano)
Bottega di Andrea della Robbia, Assunzione di Maria tra san Francesco, sant’Antonio da Padova, san Girolamo e sant’Antonio Abate (1514; terracotta invetriata, 254 x 444 cm; Pieve Santo Stefano, Collegiata di Santo Stefano)
La chiesa di San Michele Arcangelo a Badia Tedalda con le splendenti cromie delle ceramiche dei Buglioni
La chiesa di San Michele Arcangelo a Badia Tedalda con le splendenti cromie delle ceramiche dei Buglioni
Benedetto Buglioni, Madonna con Bambino in trono tra san Leonardo, san Michele Arcangelo, san Girolamo e san Benedetto, nella predella San Francesco d'Assisi riceve le stimmate, Cristo in pietà, San Girolamo penitente nel deserto (1521; terracotta invetriata; Badia Tedalda, San Michele Arcangelo)
Benedetto Buglioni, Madonna con Bambino in trono tra san Leonardo, san Michele Arcangelo, san Girolamo e san Benedetto, nella predella San Francesco d’Assisi riceve le stimmate, Cristo in pietà, San Girolamo penitente nel deserto (1521; terracotta invetriata; Badia Tedalda, San Michele Arcangelo)

Anche nel Museo di Palazzo Taglieschi si conservano delle robbiane: una Natività attribuita ad Andrea, meno sofisticata di quella di Sansepolcro, ma con una policromia più complessa. Seguono poi altre ceramiche, di cui vale la pena menzionare la lunetta con Gesù e la Samaritana al pozzo, proveniente dal Bargello e attribuita alla bottega del Buglioni.

La famiglia dei Buglioni a partire dall’ottavo decennio del XV secolo rappresenta l’alternativa alla bottega di Via Guelfa. Il capostipite fu Benedetto Buglioni (Firenze, 1461 – 1521), probabile allievo del Verrocchio: secondo il Vasari si impadronì dei segreti dei Della Robbia attraverso uno spionaggio compiuto da una donna nella casa dei celebri ceramisti. A dispetto dell’insinuazione è probabile che Benedetto venisse a conoscenza della tecnica collaborando inizialmente con Andrea. La produzione del Buglioni però si caratterizzò per un’accentuata policromia in direzione naturalistica e una semplificazione dei modelli robbiani, caratteristica che comportava una velocizzazione dei processi e prezzi più contenuti, che certo contribuirono alla fortuna di questa bottega. A questi si affiancò Santi Buglioni (Firenze, 1494 – 1576), nipote di Benedetto, ricordato dal Vasari come colui “che solo sa oggi lavorare questa sorte di sculture”. Di Santi si conserva una bella pala d’altare in terracotta nella chiesa di Sant’Agostino ad Anghiari, raffigurante un’Adorazione, dove la tradizionale cromia delle robbiane è sostituita da un’accesa policromia e la soluzione compositiva si inscrive in uno stile smaccatamente manierista.

Il tema di Gesù e la Samaritana al pozzo ricorre anche in una splendida pala, conservata nel Palazzo Pretorio di Pieve di Santo Stefano. Attribuita a Girolamo della Robbia, era originariamente esposta all’esterno, commissionata dal vicario fiorentino Giuliano di Guidetto Guidetti per ornare una fonte pubblica. Sullo sfondo della scena sacra si trova un fresco resoconto del paesaggio del tempo in direzione della Verna. Anche nella Collegiata di Santo Stefano si conservano altre meravigliose robbiane, tra cui una pala con Assunzione di Maria tra i Santi della bottega di Andrea della Robbia e una delicata ceramica a tuttotondo di un efebico San Sebastiano, ascritta a Giovanni della Robbia.

A Badia Tedalda si trova la chiesa di San Michele Arcangelo, dove addirittura l’intero ciclo decorativo è affidato alle robbiane, che furono commissionate dal potente vescovo Leonardo Bonafede alla bottega di Benedetto e Santi Buglioni. La pala dell’altare maggiore con la Madonna col Bambino fra i santi Leonardo, Michele, Arcangelo e Benedetto, di raffinato gusto neo-quattrocentesco è l’ultima opera documentata su cui lavorò Benedetto. Alla sua morte, la bottega fu portata avanti, come già detto da Santi, che oltre alle altre opere della Chiesa, realizzò anche L’incredulità di San Tommaso, per la chiesetta di Montebotolino.

Da Pocaia, frazione di Monterchi dove si trova la chiesa nota come della Madonna Bella, perché costruita nel XVI secolo per custodire l’immagine della Vergine di Santi Buglioni, molto venerata dalla comunità locale, fino alla Pieve dei Santi Ippolito e Cassiano a Caprese Michelangelo, la lista di questi meravigliosi tesori intarsiati presenti sul territorio è ancora lunga e non potrà certo esaurirsi nel limiti propri di un articolo, ad evidenza di uno straordinario patrimonio di opere traslucide, che merita di essere conosciuto.


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Jacopo Suggi

L'autore di questo articolo: Jacopo Suggi

Nato a Livorno nel 1989, dopo gli studi in storia dell'arte prima a Pisa e poi a Bologna ho avuto svariate esperienze in musei e mostre, dall'arte contemporanea, alle grandi tele di Fattori, passando per le stampe giapponesi e toccando fossili e minerali, cercando sempre la maniera migliore di comunicare il nostro straordinario patrimonio.



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