Sono stati pubblicati a novembre i dati statistici completi sugli istituti museali statali nell’anno 2023. Al di là dei comunicati generici diffusi già mesi fa (crescono, di poco, i visitatori, crescono di tanto gli incassi, anche grazie all’aumento del costo dei biglietti), poco è stato analizzato riguardo i numeri dei singoli istituti. In particolare quelli che non stanno funzionando come dovrebbero.
In quest’analisi, che non potrà essere esaustiva, ma tenterà di essere più ampia possibile, si sono analizzati i dati degli istituti dotati di autonomia speciale nel 2023. Cioè dei musei che, in base alla riforma Franceschini del 2016, hanno autonomia amministrativa e un direttore pagato per svolgere solo quel ruolo, confrontandoli con il precedente anno record per i musei italiani, il 2019.
Premessa: i numeri dei musei italiani da tempo sono legati agli andamenti del turismo internazionale, per cui non è una sorpresa trovare, anno per anno, tra i musei più visitati d’Italia, in buona parte gli stessi istituti. Molti sono musei autonomi, ma anche questa non è una sorpresa essendo stati scelti (almeno in origine) anche per il volume di visitatori, in modo che potessero avere una parziale autonomia finanziaria. Meno scontato è notare che alcuni musei autonomi hanno visto crescite molto significative, altri cali anche netti di incassi e visitatori. Non sono coinvolti in questa analisi, naturalmente, i 16 istituti che sono diventati autonomi nel 2024 con l’ultima riforma ministeriale (il numero totale è passato da 46 a 60).
Premettendo quindi che nella classifica dei musei più visitati, tra 2023 e 2019, molti nomi e molti numeri si somigliano (Pompei, Uffizi, Galleria Borghese, Castel Sant’Angelo ecc.), soffermiamoci sulle novità, o gli aspetti meno scontati. Senza che questi vogliano essere un giudizio di merito: chi scrive non pensa che il numero di visitatori possa, in sé, essere un indicatore del funzionamento o meno di un museo. Ma è un numero da analizzare caso per caso.
Tra i musei autonomi, c’è chi sta crescendo, a livello di numeri, più rapidamente di altri. In proporzione ai numeri di partenza: Pompei ha raggiunto i 4 milioni di visitatori annui da tempo, il Colosseo 7,5 milioni, per cui crescere, per giganti di questo genere, non solo non è facile, ma forse non è neppure utile alla qualità della visita. Qualche esempio. Palazzo Venezia a Roma, con l’autonomia, ha cambiato livello: conta 391 mila visitatori paganti nel 2023, erano 53 mila nel 2019. Però non è possibile sapere quanti siano i visitatori non paganti: il numero fornito, enorme (quasi 4 milioni) non viene considerato attendibile dagli stessi uffici del Ministero.
La Galleria dell’Accademia di Firenze ormai ha raggiunto stabilmente i 2 milioni di visitatori annui e, unendosi con il Bargello, si prepara a diventare un maxi istituto da quasi 3 milioni di biglietti annui. Continua a crescere la Reggia di Caserta, arrivata a 931 mila visitatori: erano 734 mila nel 2019, 683 mila nel 2016.
Crescono tanti altri istituti autonomi più “piccoli” e meno noti, quali i Musei Reali di Torino, arrivati a 626 mila visitatori (erano meno di 500 mila nel 2019), il Palazzo Reale di Napoli, da 272 mila a 434 mila, o la Galleria Nazionale dell’Umbria che è passata da 94 a 164 mila visitatori, solo per citare alcuni casi di incrementi significativi rispetto al pre-pandemia.
Ci sono poi istituti che da anni sono fermi su numeri simili, se non uguali, a quelli che avevano prima di diventare autonomi. Il Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria viaggia tra i 210 mila e i 240 mila visitatori l’anno. Il Museo archeologico nazionale di Taranto si ferma intorno ai 75 mila (erano 82 mila nel 2016). Musei dalle collezioni incredibili, e i più importanti delle rispettive regioni che, a distanza di anni, ci si chiede se possano funzionare in autonomia dal tessuto museale regionale.
Il Museo nazionale etrusco di Villa Giulia è fermo a 80 mila visitatori, erano 83 mila nel 2019 (ma 70 mila nel 2016), segno che qualcosa si è inceppato per un museo che si trova a Roma, e che conta nelle collezioni anche pezzi iconici. Discorso a parte andrebbe fatto per il Museo Nazionale Romano, che contra 4 sedi di cui due letteralmente davanti alla stazione Termini, magnifiche, tanto che ci sono sponsor come Bulgari o Sky pronte per affittarle per eventi privati, ma non riesce a crescere: nel 2023 si è fermato a 318 mila visitatori totali, contro i 339 mila del 2016 e i 331 mila del 2019. Il ministro Alessandro Giuli in questo caso non ha rinnovato l’incarico al direttore Stéphane Verger. Il museo conta su 75 milioni di euro di fondi Pnrr, e sta rinnovando la sede della Crypta Balbi.
Ci sono poi alcuni casi in cui si sono segnate decrescite significative, più o meno sorprendenti. Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dopo anni di crescita in popolarità e biglietti staccati (erano 452 mila nel 2016) ha visto un netto stop: l’anno scorso i visitatori sono stati 553 mila, contro i 670 mila del 2019. Probabilmente anche per questo il costo del biglietto, che aveva raggiunto il prezzo record di 22 euro, è sceso a 20. Comunque un prezzo quasi doppio rispetto a pochi anni fa, e più alto di quello di altri musei nazionali.
Sempre a Napoli, è sceso a 174 mila visitatori il Museo di Capodimonte, contro i 252 mila del 2019. In questo caso, il fatto che molte delle opere fondamentali della collezione fossero in prestito al Louvre per una mostra discutibile può facilmente aver portato tanti a lasciar perdere la visita.
Calano anche la Galleria Nazionale delle Marche, da 265 mila visitatori nel 2019 ai 182 mila nel 2023 (meno del 2016), e le Gallerie dell’Accademia di Venezia, da 305 mila nel 2019 a 265 mila nel 2023. In questo secondo caso, però, va sottolineato che nel 2022 i visitatori erano stati molti di più, 365 mila. La Galleria veneziana sta vedendo dei flussi dipendenti da mostre d’arte contemporanea organizzate in occasione della Biennale d’Arte, con un numero di visitatori da tempo sottodimensionato rispetto ad altri grandi musei cittadini (Palazzo Ducale conta 2 milioni di visitatori l’anno), di cui evidentemente subisce la concorrenza.
Un caso molto particolare è poi quello del Museo delle Civiltà di Roma (Eur), nato nel 2016 riunendo Museo dell’Alto Medioevo, Museo d’arte orientale, Museo Pigorini (preistoria e paleolitico) e Museo delle arti e tradizioni popolari, quattro collezioni ricchissime e diverse tra loro. Il nuovo istituto, colpito anche dal decesso improvviso del direttore Filippo Maria Gambari nel novembre 2020, non ha ancora trovato una via per farsi conoscere: i visitatori nel 2023 sono stati 39 mila, pochi in assoluto e in particolare per Roma. Erano 52 mila nel 2019, 78 mila nel 2017. La Fp Cgil di Roma e del Lazio è talmente allarmata dal calo costante da aver mandato una nota in cui giudica “deludente” l’operato del direttore Andrea Viliani considerato “l’ingente flusso di investimenti diretti al museo, che ammontano tra gli 8 e i 10 milioni di euro in scarsi tre anni”, fondi usati però per l’acquisto di opere d’arte contemporanea (Viliani è un contemporaneista) che secondo il sindacato “hanno trasformato il Museo delle Civiltà in un museo d’arte contemporanea, nonostante la sua vocazione originaria di museo archeologico, scientifico ed etnografico”. Giuli in ogni caso ha rinnovato l’incarico a Viliani, giudicandolo quindi un direttore capace.
I musei autonomi, quindi, stanno funzionando? Per rispondere a questa domanda, bisognerebbe sapere a cosa servono. Se servono ad attrarre più visitatori e avere un’autonomia finanziaria, solo alcuni ci stanno riuscendo. Ma è ormai difficile credere che sia così: ci sono musei autonomi che nel 2023 hanno visto introiti di biglietteria pari a 120 mila, 80 mila, anche 55 mila euro l’anno. Non per incapacità di chi li dirige, ma perché hanno storicamente avuto pochi visitatori, o per situazioni di collocazione territoriale (si pensi a L’Aquila, Sibari, Matera) indipendenti dal Ministero della Cultura. Se questi istituti riescono a malapena a coprire lo stipendio del solo direttore con gli introiti esterni, come potranno darsi una progettazione autonoma da fondi e voleri ministeriali? Il rischio, come accaduto con l’ultima riforma Sangiuliano, è che ad alcuni musei autonomi ne vengano accorpati gradualmente altri in modo da dar loro una minima sostenibilità, situazione che tuttavia porterà al graduale superamento dell’autonomia pensata nel 2016 da Dario Franceschini.
Ci sono infine alcuni numeri che... non ci sono. Nel totale di 57 milioni di visitatori del 2023, in crescita rispetto al 2019 (erano 54 milioni), ci sono gli oltre 3,4 milioni entrati gratuitamente a Palazzo Venezia, l’oltre 1 milione di ingressi gratis al parco del Castello di Miramare di Trieste. Numeri considerati non credibili dal Ministero, che non li conteggia né nella “classifica” dei musei più visitati a fine anno, né in quelli delle singole domeniche gratuite. Ci sono i 5 milioni di visitatori del Foro romano e Palatino (che nel 2019 non c’erano, non esistendo un modo per conteggiarli), che però nella quasi totalità entrano con il biglietto cumulativo dell’Anfiteatro Flavio: per questo i visitatori del “Parco Archeologico del Colosseo” sono passati da 7,6 a 12,3 milioni di colpo, seppur gli ingressi all’Anfiteatro che gli dà il nome siano stabili. Insomma, non c’è alcuna certezza che i visitatori reali (non quelli conteggiati dai sistemi informatici) siano stati davvero più del 2019. E questo è un problema per chi deve raccontare i dati, e per chi deve analizzarli. Dovrebbe esserlo anche per la comunicazione ministeriale, che invece ormai da tempo parla troppo facilmente di “record” continui.
L'autore di questo articolo: Leonardo Bison
Dottore di ricerca in archeologia all'Università di Bristol (Regno Unito), collabora con Il Fatto Quotidiano ed è attivista dell'associazione Mi Riconosci.