È probabilmente la città capoluogo meno considerata della Toscana, perché molti ritengono, a torto, che Livorno abbia una storia più recente rispetto ad altre località più note e, secondo la percezione comune, più gradevoli (non solo Firenze, Siena e la vicina e rivale Pisa, ma anche Lucca, Pistoia, Prato), e di conseguenza sia una città che non abbia molto da offrire agli appassionati d’arte o a chi voglia concedersi un fine settimana culturale. Livorno, in realtà, ha una storia millenaria: la città si sviluppò soprattutto nel Medioevo, a seguito dell’interramento del porto di Pisa, e divenne ben presto, tra Quattro e Cinquecento, la principale città marittima della Toscana, fino a diventare nel XVI secolo il grande porto del granducato mediceo.
Luogo di commerci prima e grande città industriale poi, ma anche centro che conobbe, specialmente tra il XVI e il XVIII secolo, le politiche culturali dei Medici prima e dei Lorena poi, che hanno marcato l’impronta e l’aspetto di una città che si presenta al visitatore mai uguale a se stessa, ma con panorami estremamente vari e interessanti: dall’elegante lungomare dell’Ardenza fino alla splendida Terrazza Mascagni, luogo d’elezione per le passeggiate sul mare, dai bastioni dell’antica Fortezza fino ai vicoli del quartiere della Venezia con i suoi canali, dall’ordinato centro che si sviluppa attorno a via Grande fino al frenetico viavai della zona del Porto mediceo, Livorno è una città che ha moltissimo da dare a chi la visita. Abbiamo dunque selezionato in questo articolo dieci luoghi da visitare (anche se in realtà sarebbero molti di più!) se si è a Livorno.
Dedicato a San Francesco, fu progettato da Bernardo Buontalenti alla fine del Cinquecento e consacrato nel 1606, ma il suo aspetto è stato più volte ritoccato nei secoli, prima con gli ampliamenti settecenteschi, e poi soprattutto a seguito della seconda guerra mondiale, quando i bombardamenti del 1943 e del 1944 distrussero quasi del tutto la cattedrale labronica. I lavori di ricostruzione terminarono nel 1953, e dunque l’aspetto del Duomo è moderno. Tuttavia, visitare il Duomo significa farsi un’idea dell’arte con cui i Medici vollero arricchire la città nel Seicento: i dipinti di Jacopo Ligozzi, del Passignano e di Jacopo Chimenti che in origine decoravano il soffitto ligneo sopravvissero ai bombardamenti e furono di nuovo collocati al loro posto, sebbene in una struttura che solo in parte ricorda la ben più sontuosa copertura originale, e tra gli altari compaiono altre opere importanti come il grande monumento funebre di Marco Alessandro del Borro, magnifica opera marmorea di Giovanni Battista Foggini, e poi dipinti di Francesco Curradi, Pietro Sorri, e altri notevoli artisti del Seicento. Tra le pale ne figura anche una (un miracolo di san Francesco) di Giuseppe Bezzuoli, uno dei principali artisti italiani del primo Ottocento. Inoltre, il Duomo di Livorno conserva anche il Cristo coronato di spine, importante opera del Beato Angelico.
Ha sede nell’ottocentesca Villa Mimbelli (l’edificio da solo varrebbe la visita) ed è una tappa fondamentale per conoscere la variegata e rigogliosissima storia artistica della Livorno del XIX e del XX secolo. Basterebbero solo due nomi su tutti, quelli di Giovanni Fattori (che era nativo di Livorno e fu sempre molto legato ai panorami della sua terra natia, pur avendo lavorato per gran parte della vita a Firenze: tornava però spesso sulla costa) e di Amedeo Modigliani, anch’egli nato e formatosi in città. Il Museo Civico, intitolato proprio a Giovanni Fattori, conserva importanti opere di entrambi gli artisti (tra cui un giovanile paesaggio toscano di Modigliani, e l’ultima opera nota di Fattori), ma non solo: c’è davvero il meglio della pittura macchiaiola (con opere di Telemaco Signorini, Silvestro Lega, Serafino de Tivoli), si possono conoscere le opere del maestro di Modigliani, ovvero Guglielmo Micheli, e importanti lavori del Gruppo Labronico, sodalizio artistico nato nel 1920. E poi tanti grandi nomi dell’arte italiana a cavallo tra Ottocento e Novecento: Gaetano Previati, Plinio Nomellini, Llewellyn Lloyd, Adolfo Wildt (del quale il museo ha di recente acquisito la Santa Lucia), Giovanni Boldini, Vincenzo Cabianca, Cristiano Banti, Vittore Grubicy, Oscar Ghiglia, Ulvi Liegi, Mario Puccini e molti altri.
I Bottini dell’Olio si trovano all’inizio del quartiere della Venezia e poco lontano dal Porto mediceo, e sono un magazzino settecentesco, utilizzato, come suggerisce ovviamente il nome, come deposito delle derrate di olio. Nel secolo successivo i bottini diventarono magazzino per diversi tipi di alimenti, per poi essere trasformati, dopo la seconda guerra mondiale, in un ricovero per bisognosi. Recuperato negli anni Ottanta, l’edificio è diventato sede della Biblioteca Labronica e poi, dopo ulteriori lavori di restauro partiti nel 2013, i Bottini dell’Olio sono diventati sede del Museo della Città, aperto il 30 aprile del 2018, in un percorso che coinvolge anche l’antica chiesa sconsacrata dell’Assunzione e di San Giuseppe, parte integrante del Museo. L’istituto ospita la sezione contemporanea delle raccolte d’arte cittadine, con opere di artisti come Emilio Vedova, Piero Manzoni, Enrico Castellani, Pino Pascali, Gianfranco Baruchello, Giuseppe Uncini, Tancredi Parmiggiani e molti altri, ed è inoltre sede di importanti mostre (per esempio si è tenuta qui la rassegna del centenario della scomparsa di Modigliani nel 2020).
Livorno è ricca di importanti edifici di culto, colmi di opere d’arte e costruiti soprattutto tra Cinque e Settecento, ovvero nell’epoca di massimo sviluppo ed espansione urbanistica della città. Ne segnaliamo almeno tre: la settecentesca chiesa di San Ferdinando nel quartiere della Venezia, progettata da Giovanni Battista Foggini nel 1707 e conclusa nel 1716 da Giovanni del Fantasia, ospita all’interno uno dei capolavori del tardo barocco toscano, ovvero la Visione di san Giovanni di Matha di Giovanni Baratta; la chiesa di Santa Caterina, altra struttura ideata da Giovanni del Fantasia, e che si nota anche da lontano per la sua cupola ottagonale, dà spazio all’interno anche a una pala di Giorgio Vasari raffigurante l’Incoronazione della Vergine (non era destinata alla chiesa: si trovava a Roma e fu acquistata nel 1818 da un cittadino, Antonio Filicchi, che la donò poi alla chiesa); l’antica e scenografica chiesa di San Jacopo in Acquaviva, che domina una terrazza posta sul lungomare.
Merita comunque un capitolo a sé la chiesa dei Greci Uniti, in parte per la sua storia e in parte per il suo aspetto. È nota con questo nome perché in origine era il luogo di culto della comunità degli ortodossi di rito bizantino: fu ceduta ai cattolici solo nel dopoguerra, quando cambiò la dedicazione diventando la chiesa della Purificazione (oggi invece è dedicata alla Santissima Annunziata). Fu edificata tra il 1601 e il 1606, su progetto di Alessandro Pieroni, per dare un luogo di culto alla numerosa comunità greca in città (molti greci infatti prestavano servizio sulle navi dell’Ordine di Santo Stefano, che all’epoca costituiva di fatto la marina granducale). La spettacolare facciata è arricchita di rilievi marmorei, progettati da Giovanni Baratta o Giovanni Battista Foggini: è sopravvissuta ai bombardamenti della guerra (che comunque l’hanno in parte deturpata), i quali hanno però obliterato gran parte dell’aspetto dell’edificio, a partire dal ricco soffitto a cassettoni che ospitava al centro una Annunciazione di Giovanni Domenico Ferretti. Il soffitto è stato poi ricostruito nel dopoguerra. La chiesa è stata poi interessata da ulteriori lavori che si sono conclusi nel 2012.
È probabilmente il più noto dei cimiteri monumentali della città, fu fondato tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento (la data esatta non è nota), quando Livorno divenne anche un’importante base della marina inglese e di conseguenza assistette alla nascita di una folta comunità di abitanti originari delle isole britanniche. Venne devastato durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale, ma conserva ancora molti dei suoi sepolcri, che accolgono le spoglie di illustri personalità provenienti dalla Gran Bretagna: il più famoso è sicuramente Tobias Smollett, il grande romanziere scozzese che scomparve a Livorno nel 1771. Nei pressi del cimitero sorge la chiesa anglicana di San Giorgio, uno degli edifici neoclassici più interessanti della Toscana, costruito tra il 1839 e il 1844, e attualmente luogo di culto della comunità ortodossa rumena della città.
È una delle architetture neoclassiche più imponenti e al contempo più curiose e visionarie d’Italia. Si tratta di una grande cisterna d’acqua, in parte ancora in uso, progettata nel 1828 dall’architetto Pasquale Poccianti, e inaugurata nel 1842 dal granduca Leopoldo II. La cisterna ha una capienza di 11mila metri cubi e serviva come deposito per le acque delle sorgenti situate in località Colognole, sui colli che circondano la città. La vera particolarità della struttura è la sua facciata, caratterizzata da una particolare semicupola a cassettoni (chiaramente ispirata a quella del Pantheon di Roma), innalzata sopra un portico retto da otto colonne. Si tratta di un esempio unico di un edificio che è stato in grado di dare forma concreta alle visioni degli architetti francesi Étienne-Louis Boullée e Claude-Nicolas Ledoux, che avevano immaginato strutture simili ma non erano mai riusciti a realizzarle.
Meta di frequenti pellegrinaggi, il Santuario della Madonna delle Grazie, meglio noto come “santuario di Montenero” dal nome della collina su cui sorge, è un imponente complesso edificato nel Settecento sul luogo in cui la tradizione colloca un’apparizione della Madonna a un pastore, avvenuta nel 1345. L’edificio attuale fu progettato negli anni Venti del Settecento da Giovanni del Fantasia, per poi essere rimaneggiato tra Ottocento e Novecento. La chiesa settecentesca del santuario si distingue per l’altare che rappresenta un altro capolavoro del tardo barocco toscano, opera di Giovanni Baratta e del suo allievo e nipote Giovanni Antonio Cybei, all’interno della quale è collocata l’immagine trecentesca della Madonna di Montenero. Tra i luoghi più visitati del santuario si trova il Famedio di Montenero, dove si trovano le tombe monumentali dei livornesi illustri: tra questi, gli artisti Giovanni Fattori, Paolo Emilio Demi ed Enrico Pollastrini, mentre una lapide ricorda Amedeo Modigliani, sepolto a Parigi.
Il celebre gruppo bronzeo ideato ed eseguito dal carrarese Pietro Tacca è uno dei principali capolavori italiani del periodo che precede l’esplosione del barocco. Le quattro statue rappresentano quattro corsari barbareschi catturati dall’Ordine dei cavalieri di Santo Stefano durante i frequenti scontri nelle acque del Mediterraneo, che spesso portavano all’esito contrario (ovvero i mori catturavano cristiani che diventavano poi schiavi nelle città ottomane), e legati in catene ai piedi dell’effigie marmorea di Ferdinando I, opera di Giovanni Bandini. L’opera si trova in piazza Micheli, di fronte al Porto mediceo, e durante la sua storia ha superato sia l’incursione dei soldati napoleonici nel 1799, che non riuscirono a distruggerla nonostante la volontà di farlo, sia l’ipotesi di spostamento avanzata nell’Ottocento. Il monumento doveva in origine rappresentare l’autorità della Toscana granducale a chiunque arrivasse in città via mare. Dal punto di vista artistico, si distinguono per le pose complicate e per il fortissimo realismo delle espressioni, che dimostrano il genio del loro autore Pietro Tacca.
Lo stabilimento delle Acque della Salute, le “Terme Corallo”, venne inaugurato nel 1904 e fu uno dei complessi termali più importanti della Toscana d’inizio Novecento, una sorta di Montecatini Terme al mare. Costruito su progetto dell’ingegnere Angelo Badaloni in stile Déco, il complesso di compone di tre edifici caratterizzati da saloni con eleganti decorazioni in stile liberty, arricchite con le maioliche di Ernesto Bellandi. Lo stabilimento proseguì le sue attività fino al secondo conflitto mondiale, dopodiché fu però completamente abbandonato e conobbe decenni di degrado. Solo di recente il Comune di Livorno, dopo aver acquisito la struttura nel 2009, ha avviato lavori di messa in sicurezza e riqualificazione: al momento lo stabilimento è sporadicamente aperto per visite private e spettacoli, ma manca ancora un progetto che dia una destinazione al complesso.