Ecco come si sta pensando di rimodulare la tassa di soggiorno


Quest’estate l’argomento che tiene banco in tema turismo è la tassa di soggiorno: il governo la vuole rimodulare. Si parla di costi che aumenteranno fino a 25 euro a persona.

Città d’arte: overtourism e nuova tassa di soggiorno. Sono questi i temi che tengono banco tra gli addetti ai lavori in questo agosto di super lavoro per il turismo. Si parla in particolare di una bozza di rimodulazione della tassa di soggiorno fino a 25 euro, slegata dalla classificazione delle stelle, e dall’altra una serie di rilevazioni sulle città dove la pressione dei turisti sugli abitanti è altissima: un dato su tutti, a Venezia è come se ci fossero ogni giorno 271 turisti ogni abitante della laguna (considerando solo i residenti nella parte insulare del Comune, escludendo quelli della terra ferma).

Numeri importanti per capire i flussi sono anche quelli del gettito fiscale per i comuni derivante dalla tassa di soggiorno: il solo comune di Roma ha incassato oltre 165 milioni di euro dalla tassa di soggiorno nel 2023, anno in cui il gettito complessivo è stato di ben 792 milioni di euro. La tassa, ricordiamo, non si applica solo agli alberghi, ma anche alle altre forme di ospitalità come gli agriturismi, i bed&breakfast le abitazioni affittate tramite piattaforme informatiche.

Partiamo dalla boutade di inizio agosto sulla tassa di soggiorno. Il 5 agosto trapela la bozza allo studio del Governo di una rimodulazione degli importi imponibili per la tassa di soggiorno e per l’estensione di tale tassa a tutti i comuni che desiderino introdurla. Adesso infatti la legge (del 2011, che reintroduceva la tassa dopo essere stata eliminata nel 1989), prevede che solo i comuni capoluogo, le unioni di comuni e i comuni definiti turistici dalla relativa classificazione Istat/Regioni, possano avere la facoltà di introdurla con la libertà di scegliere l’importo (per la maggior parte il massimo è 5 euro a notte a persona). Le differenze di importo seguono la tipologia della struttura o il numero delle stelle attribuite all’albergo, alcuni comuni applicano una quota fissa per tipo di struttura. Nell’ultima manovra di bilancio, il Governo ha previsto per i Comuni con presenze turistiche venti volte superiore a quello dei residenti di innalzare l’imposta sino a un massimo 10 euro a persona a notte (massimo 10 notti all’anno) e inoltre viene data la facoltà di aumentare fino ad ulteriori 2 euro la tassa di soggiorno per l’anno del Giubileo della Chiesa Cattolica nel 2025. A Roma quindi nell’anno del Giubileo per un notte in albergo 5 stelle una persona potrà anche pagherà 12 euro a notte di contributo di soggiorno.

Il cambiamento di criterio sul quale si sta orientando il Governo lascerebbe da parte la relazione alle categorie con le stelle e diventerebbe proporzionale al costo della stanza. Le stanze ormai da anni seguono le fluttuazioni tipiche di un mercato di borsa, con gli aumenti e i cali del costo in base alla richiesta e al giorno della settimana. Le ‘stelle’ corrispondono, lo ricordiamo, a degli standard minimi offerti (parcheggio, ascensore, piscina, arredo, frequenza cambio biancheria, vettovaglie, servizio h24 ecc.) e il turista può comparare i prezzi in base agli stessi requisiti minimi garantiti. Altra novità importante per i Comuni sarebbe la destinazione di tali risorse: gli incassi infatti sarebbero destinati non solo ad interventi nel settore del turismo (la finalità di questa tassa di scopo) ma anche a raccolta e smaltimento dei rifiuti. Nello specifico la revisione ipotizzata in queste settimane prevede un aumento dell’importo massimo fino a 25 euro al giorno a persona con una rimodulazione degli importi in base al costo del pernottamento: fino a 5 euro per pernottamenti inferiori a 100 euro a notte, fino a 10 euro per stanze tra 100 e 400 euro a notte, fino a 15 euro per alloggi tra 400 e 750 euro a notte, fino a 25 euro per pernottamenti a più di 750 euro a notte (sì... ci sono anche questi in alberghi).

Non appena è diventata pubblica tale bozza si è subito espressa contrariamente la principale associazione di albergatori: per Federalberghi l’aumento è così significativo che “equivarrebbe a un raddoppio dell’IVA, che attualmente è pari al 10%”. Prosegue col chiedere al governo “di imporre una corretta disciplina di bilancio agli enti locali, anziché fornire strumenti per peggiorare la situazione", rilanciando la proposta di superare la tassa di soggiorno applicata alle strutture ricettive e passare a una city tax: “Federalberghi ribadisce altresì la proposta di finanziare le funzioni svolte dagli enti locali in campo turistico con modalità diverse dall’imposta di soggiorno. Ad esempio, in luogo di una tassa pagata solo dagli ospiti delle strutture ricettive, si dovrebbe istituire una city tax o attivare una compartecipazione degli enti locali al gettito IVA di tutte le attività produttive che traggono beneficio dall’economia turistica”.

Un hotel a Venezia. Foto: Alessandro Ranica
Un hotel a Venezia. Foto: Alessandro Ranica

Il presidente di Federalberghi Bernabò Bocca (che è anche presidente di Fondazione Cr Firenze) aveva lanciato questa proposta nel corso della 74esima Assemblea nazionale di Federalberghi che si è svolta a Viareggio a maggio scorso: così avviene “a New York”, ha nuovamente spiegato dalle pagine de Il Messaggero.

Anche Confindustria Alberghi protesta sottolineando che le strutture ricettive non debbano essere considerate “un mero bancomat per i Comuni”. La presidente Maria Carmela Colaiacovo si è detta sorpresa dalla possibilità di approvare un testo che “sembra far saltare alcuni dei capisaldi della riforma in discussione”. Il riferimento è alla destinazione del gettito vincolato al sostegno delle attività turistiche. Il presidente di Fiavet, l’Associazione di categoria delle Agenzie di Viaggio di Confcommercio, Giuseppe Ciminnisi, ha scritto al ministro del Turismo, Daniela Santanché, esprimendo preoccupazione: “In un mercato turistico così competitivo come quello con cui si confronta la destinazione Italia la percezione dei costi influenza drasticamente le scelte dei viaggiatori”. L’aumento della tassa di soggiorno, per il turismo organizzato, complica la programmazione della vendita dei pacchetti, vista l’incertezza sui costi effettivi che ricadranno sui posti letto.

Il Ministero del Turismo è dovuto quindi correre ai ripari con una nota in cui specificava che “non si sono ancora concluse le interlocuzioni con le associazioni di categoria e gli altri attori istituzionali” e che “il dialogo proseguirà a settembre”. La ministra del Turismo Daniela Santanchè, tornata sulla questione, afferma al Corriere che “non tutte le tasse sono una tassa. Quella di soggiorno, meglio sarebbe dire di scopo, non lo è. In tempi di sovra-turismo ci stiamo confrontando perché sia un reale aiuto a migliorare i servizi e a rendere più responsabili i turisti che la pagano”. E in una intervista al Tirreno del 15 agosto: “La tassa di soggiorno deve essere investita in servizi per il turismo, in promozione, deve supportare politiche di gestione del turismo, di accessibilità, di destagionalizzazione e delocalizzazione. Non deve servire per appianare i debiti dei comuni”. Si è espressa quindi per una visione differente della bozza governativa, un testo quindi che pare non condividere con altri colleghi di Governo.

Intervengono anche i Comuni tramite l’ANCI, la loro associazione: “Non siamo contrari a una riforma dell’imposta di soggiorno ma questa bozza di riforma crea molte preoccupazioni e lascia aperte troppe incognite: di gettito, sui controlli, sugli affitti brevi”, ha sottolineato Mattia Palazzi, vicepresidente ANCI e sindaco di Mantova. “Si immagina”, ha proseguito”, un nuovo schema tariffario (dalla persona al prezzo della camera) senza alcun confronto sulle variazioni di gettito che ne possono derivare. Il rafforzamento dei controlli non viene considerato, mentre il nuovo schema rende inservibili i dati sui pernottamenti fin qui utilizzati. Il rischio di perdite di gettito è quindi molto serio e non può essere trascurato”. Dopo il vice presidente Palazzi, del Pd, è intervenuto il giorno seguente il presidente dell’ANCI Roberto Pella, sindaco di Biella, di Forza Italia: “L’interlocuzione di Anci con il ministero del Turismo è costante, anche in queste ore sono stato rassicurato dal ministro Daniela Santanchè sulla volontà di convocare un tavolo a settembre con i Comuni, per lavorare insieme ad una proposta di revisione della disciplina della tassa di soggiorno”.

La proposta di superamento dell’attuale architettura della tassa cui sottoporre i turisti è comunque un tema che da travalica colori politici o schieramenti. Tra gli operatori del settore il presidente di AssoHotel - Confesercenti Francesco Gatti si espresse con favore all’indomani dell’approvazione della risoluzione in Commissione Finanze del Senato che chiedeva la revisione del calcolo della Tassa di soggiorno in modo proporzionale alla spesa per la stanza. A RomaToday disse a febbraio 2024 che quello sarebbe stato “Un modo per renderci veramente competitivi con altre città europee”.

Il mese precedente l’assessore al turismo di Roma Capitale Alessandro Onorato nel corso di una tavola rotonda all’Albergatore Day organizzato da Federalberghi Roma, guidata da Giuseppe Roscioli, a gennaio 2024, ha fatto presente come l’amministrazione capitolina avrebbe “voluto cambiare il contributo di soggiorno introducendo il 5% a ogni transazione effettuata dal sistema ricettivo romano come avviene a Berlino”, in riferimento quindi al costo della camera slegandolo alle stelle come nella bozza del governo - e rimodularlo in modo da abbassarlo in modo graduale “dal centro verso le periferie”. Il contributo di soggiorno “dovrebbe avere una gradualità, non è giusto che l’importo degli alberghi di Ostia o al confine con Fiumicino sia lo stesso di chi sta a piazza Venezia o in via Veneto”, spiegando però che su quest’ultima ipotesi “un parere del Ministro Economia e Finanze non ci permette d’introdurre questa gradualità. Ci tengono le mani legate”

Per capire l’impatto che ha questa imposta vediamo i dati forniti dalla Fondazione Ifel-Anci al Sole 24 Ore: nel 2023 (anno super per il turismo italiano con oltre 134 milioni di arrivi e 451 milioni di presenze) erano 1.259 su 7904 i comuni dove vigeva l’imposta di soggiorno (erano 1.146 l’anno precedente), con un incasso complessivo di 792 milioni di euro: + 26% rispetto al 2022. Le prime dieci città si sono assicurate un incasso oltre il 50% del totale. Roma rimare irraggiungibilmente in testa alla classifica con ben 165 milioni incassati nel 2023, con un +38,6% sul 2022. Il massimo applicato a Roma è di 10 euro a persona a notte per hotel a 5 stelle, le tariffe sono state aumentate a fine 2023 (qui l’articolo di Finestre sull’Arte). In seconda posizione, pur con una distanza siderale, si piazza per la prima volta Firenze superando Milano: il capoluogo toscano ha incassato quasi 70 milioni di euro (+64,3%) che si spiega oltre che con l’aumento di turisti anche con l’aumento nel corso dell’anno della tassa. I visitatori in città sono cresciuti del 21,3% in un anno e a partire da aprile 2023 sono state rimodulate al rialzo gli importi con un massimo di 8 euro a persona a notte per in un 5 stelle. Milano si ferma a 62 milioni di euro circa e al quarto posto vediamo Venezia con 38,52 milioni di euro con un +22,1% sul 2022. Chi paga la tassa di soggiorno è esentato dal contributo per chi entra in laguna (qui l’articolo di Finestre sull’Arte sui primi riscontri delle entrate) .

Dopo il capoluogo veneto si piazza Napoli con 17,5 milioni di euro (massimo 5 euro al giorno) anche in questo caso nel corso del 2023 fu ritoccato al rialzo. L’incremento è del 34% rispetto al 2022. Seguono Bologna con 12,6 milioni di euro, Rimini 11,5 milioni, Torino con quasi 10 milioni di euro (massimo 5 euro al giorno). Sorrento al nono posto con quasi 7 milioni di euro e al decimo posto la new entry di Verona con 6,5 milioni di euro, superando così Jesolo. La cittadina della costa napoletana è quella in cui è più alto il rapporto tra gettito e residenti: quasi 7 milioni di entrate equivalgono a 420 euro di ‘vantaggi’ per ogni residente. A livello regionale il gettito maggiore è nel Lazio (173,12 milioni con solo 40 enti in cui è in vigore l’imposta), seguito dalla Toscana (106,71 milioni per 128 Comuni) e la Lombardia (91,68 milioni distribuiti su 149 enti).


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Andrea Laratta

L'autore di questo articolo: Andrea Laratta

Giornalista. Amante della politica (militante), si interessa dei fenomeni generati dal turismo, dell’arte e della poesia. “Tutta la vita è teatro”.




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