La mostra di Van Gogh a Milano, perché sì e perché no: recensione doppia


Doppia recensione della mostra “Vincent van Gogh. Pittore colto”, a cura di Francesco Poli, con Mariella Guzzoni e Aurora Canepari (Milano, Mudec, dal 21 settembre 2023 al 28 gennaio 2024)

Perché sì. Federico Giannini

Le mitografie che aleggiano attorno alla figura di Vincent van Gogh hanno a lungo impedito che le occasioni espositive a lui dedicate approfondissero l’intricata complessità della sua figura, ben lontana da quell’idea del genio fuori dal comune, pazzoide e mosso solo dal suo puro sentimento, cui le frivolezze della vulgata ci hanno sempre abituati. Pittore di talento sì, uomo disturbato anche, e pure con l’animo lacerato da tormenti insanabili: è sufficiente leggere le sue lettere per avvedersene. Eppure, dalla lettura di quello che Van Gogh scriveva ai suoi cari (pochi artisti hanno scritto quanto l’olandese, e le sue lettere sono una preziosissima fonte per ricostruire non solo il suo carattere, ma anche le sue scelte artistiche), emerge anche l’immagine d’un uomo perfettamente consapevole di quel che faceva, un uomo piena di passione e di passioni, un uomo tutt’altro che avulso dalla realtà che lo circondava, un uomo dotato d’una vasta cultura e con un forte interesse per la lettura. Ecco perché una mostra come Vincent van Gogh. Pittore colto, la rassegna che fino al 28 gennaio occupa parte delle sale del Mudec di Milano, può essere accolta positivamente, anzi: si può dire che sia una mostra necessaria.

Certo: si dirà che il materiale è sostanzialmente lo stesso che ha innervato la mostra dello scorso anno a Palazzo Bonaparte a Roma. Non poteva certo essere diversamente, dato che anche la mostra del Mudec è organizzata con un blocco di opere prestate dal Kröller-Müller Museum di Otterlo, che ci ha ormai avvezzati a questo modus operandi: la loro collezione custodisce decine di opere di Van Gogh, così ogni tanto ne prestano una selezione a qualche museo in giro per il mondo, e caso vuole che nell’ultimo anno sia toccato per ben due volte all’Italia. Eppure, malgrado a Roma e Milano siano andate pressoché le stesse opere, ne sono sortite due esposizioni completamente diverse. A Roma, con la mostra curata da Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti, è stato allestito un percorso cronologico, agile, accurato e approfondito su Van Gogh, teso a dar conto soprattutto delle sue scelte formali, senza però trascurare i motivi che le sostenevano. A Milano, invece, la mostra curata da Francesco Poli, Mariella Guzzoni e Aurora Canepari rivolge lo sguardo alla profonda cultura di Van Gogh, ai libri che leggeva, alle tendenze che osservava, cercandone i riscontri nei testi figurativi.

Allestimenti della mostra Vincent van Gogh. Pittore colto. Foto: Carlotta Coppo
Allestimenti della mostra Vincent van Gogh. Pittore colto. Foto: Carlotta Coppo
Allestimenti della mostra Vincent van Gogh. Pittore colto. Foto: Carlotta Coppo
Allestimenti della mostra Vincent van Gogh. Pittore colto. Foto: Carlotta Coppo
Allestimenti della mostra Vincent van Gogh. Pittore colto. Foto: Carlotta Coppo
Allestimenti della mostra Vincent van Gogh. Pittore colto. Foto: Carlotta Coppo

Per chi conosce l’arte di Van Gogh, ovviamente, la mostra non introduce niente di nuovo. E non parliamo soltanto di addetti ai lavori: anche un appassionato che non si sia limitato a visitare qualche mostra mediocre (come quella del 2017 a Vicenza), ma abbia letto qualche libro o qualche articolo su Van Gogh, non troverà nelle sale del Mudec niente che non conosca già. Si può però uscire per un attimo dall’idea che le mostre debbano servire soltanto a presentare novità a chi è già informato sull’argomento: se s’immagina una mostra che possa abbattere gli stereotipi attorno a uno degli artisti più amati dal grande pubblico, una mostra che contribuisca a far crescere le conoscenze di tutti sul suo conto, una mostra che riesca a fornire ai visitatori una lettura più corretta dell’argomento di cui si occupa, ecco allora che, pur in assenza di novità sostanziali, il museo che la ospita avrà avuto ragione a organizzarla.

“Di recente”, scrive Van Gogh in una lettera inviata a suo fratello Theo il 23 dicembre del 1881, “ho letto Michelet, La femme, la religion et le prêtre. Libri come questi sono pieni di realtà, ma cosa è più reale della realtà stessa, e cosa ha più vita della vita stessa? E noi che facciamo del nostro meglio per vivere, perché non viviamo ancora di più!”. E ancora prima, sempre a suo fratello, il 19 novembre: “Da parte mia, père Michelet mi fa molto bene. Leggi comunque L’amour e La femme e, se riesci a procurartelo, My wife and I e Our neighbours di Beecher Stowe. Oppure Jane Eyre e Shirley di Currer Bell. Quelle persone possono dirti molte più cose molto più chiaramente di me”. Nelle sue lettere, Van Gogh parla dei libri che legge, li commenta, racconta gli spunti che gli forniscono. Nei primi anni Ottanta, i suoi interessi sono diretti principalmente verso la letteratura socialmente impegnata, e la prima parte dell’itinerario di visita espone dipinti e disegni in cui si possono trovare tracce “visive”, per così dire, delle sue letture. La Storia della rivoluzione francese di Jules Michelet è uno dei motivi per cui Van Gogh avverte una forte vicinanza ai contadini del Borinage, povera regione rurale della Vallonia dove l’artista si trova tra il 1879 e il 1880 per condurre attività di predicatore (all’epoca la sua attività d’artista non era ancora cominciata). Le sue letture, peraltro, gli aprono anche nuove idee religiose, ed è proprio la maturazione di queste convinzioni a destare la sua volontà artistica (in una lettera a Theo, per esempio, arriva ad affermare di vedere in Jules Michelet e in Harriet Beecher Stowe due continuatori del Vangelo: “Prendi Michelet e Beecher Stowe, non dicono che il Vangelo non sia più valido, ma ci aiutano a capire quanto sia applicabile al giorno d’oggi, a questa nostra vita, per te, per esempio, e per me, giusto per citare qualcuno. Michelet dice addirittura in modo completo e ad alta voce cose che il Vangelo ci sussurra semplicemente in modo germinale, e Stowe si spinge lontano quanto Michelet”). La mostra illustra bene questo passaggio: Michelet e Beecher Stowe sono i principali ispiratori in letteratura, mentre nell’arte Van Gogh trova una sorta di mentore ideale in Millet, che prende a copiare senza sosta (sono esposti, nella prima sala, i precoci disegni che copiano lavori del grande pittore francese).

Vincent van Gogh, Due zappatori, da Jean-François Millet (1880; matita e gesso nero su carta velina, 375 x 615 mm; Otterlo, Kröller-Müller Museum, KM 119.703)
Vincent van Gogh, Due zappatori, da Jean-François Millet (1880; matita e gesso nero su carta velina, 375 x 615 mm; Otterlo, Kröller-Müller Museum, inv. KM 119.703)
Charles Blanc, La Rose des couleurs, in Grammaire des Arts du Dessin, Architecture, Sculpture, Peinture (1870; Librairie Renouard, Paris 1882; Collezione M.G.)
Charles Blanc, La Rose des couleurs, in Grammaire des Arts du Dessin, Architecture, Sculpture, Peinture (1870; Librairie Renouard, Paris 1882; Collezione M.G.)
Vincent van Gogh, Autoritratto (Parigi, aprile-giugno 1887; olio su cartone, 32,8 × 24 cm; Otterlo, Kröller-Müller Museum, inv. KM 105.833)
Vincent van Gogh, Autoritratto (Parigi, aprile-giugno 1887; olio su cartone, 32,8 × 24 cm; Otterlo, Kröller-Müller Museum, inv. KM 105.833)
Vincent van Gogh, Interno di un ristorante (Asnières o Parigi, estate 1887; olio su tela, 45,5 × 56 cm; Otterlo, Kröller-Müller Museum, inv. KM 110.328)
Vincent van Gogh, Interno di un ristorante (Asnières o Parigi, estate 1887; olio su tela, 45,5 × 56 cm; Otterlo, Kröller-Müller Museum, inv. KM 110.328)
Anonimo, Studio di erbe, Tavola del primo numero di “Le Japon Artistique” (Parigi, maggio 1888; Collezione M.G.)
Anonimo, Studio di erbe, Tavola del primo numero di Le Japon Artistique (Parigi, maggio 1888; Collezione M.G.)
Vincent van Gogh, Salici al tramonto (Arles, marzo 1888; olio su tela applicato su cartoncino, 31,6 x 34,3 cm; Otterlo, Kröller-Müller Museum, inv. KM 107.313)
Vincent van Gogh, Salici al tramonto (Arles, marzo 1888; olio su tela applicato su cartoncino, 31,6 x 34,3 cm; Otterlo, Kröller-Müller Museum, inv. KM 107.313)
Vincent van Gogh, Veduta di Saintes-Maries-de-la-Mer (Saintes-Maries-de-la-Mer, 3 giugno 1888; olio su tela, 64,2 x 53 cm; Otterlo, Kröller-Müller Museum, inv. KM 106.327)
Vincent van Gogh, Veduta di Saintes-Maries-de-la-Mer (Saintes-Maries-de-la-Mer, 3 giugno 1888; olio su tela, 64,2 x 53 cm; Otterlo, Kröller-Müller Museum, inv. KM 106.327)
William Shakespeare, Dicks’ Complete Edition of Shakespeare’s Works (John Dicks, London 1866; Collezione M.G.)
William Shakespeare, Dicks’ Complete Edition of Shakespeare’s Works (John Dicks, London 1866; Collezione M.G.)
Vincent van Gogh, Uliveto con due raccoglitori di olive (dicembre 1889; olio su tela, 73,3 x 92,2 cm; Otterlo, Kröller-Müller Museum, inv. KM 104.796)
Vincent van Gogh, Uliveto con due raccoglitori di olive (dicembre 1889; olio su tela, 73,3 x 92,2 cm; Otterlo, Kröller-Müller Museum, inv. KM 104.796)

L’approccio “realista” che caratterizza l’operato di Van Gogh fino al trasferimento a Parigi risente anche della lettura della produzione pressoché completa di Émile Zola: gli echi s’avvertono nei disegni che raffigurano operai e contadini o in quelli che catturano interni di fabbriche e laboratori. Ma ci sono anche rimandi precisi tra arte e letteratura: il capitolo sul nido del libro L’Oiseau di Michelet trova il suo corrispettivo visivo nel Nido di Van Gogh (l’artista teneva, peraltro, una collezione di nidi d’uccelli, creature che considerava pari agli artisti: più in generale, l’amore per la natura non era mai venuto meno, né sarebbe venuto meno nel prosieguo della sua carriera). Il soggiorno a Parigi, che si protrae dal 1886 al 1888, significa per Van Gogh la conoscenza della pittura impressionista: la mostra anticipa questo passaggio dando conto al visitatore di come, nel periodo trascorso a Nuenen (tra il 1883 e il 1885), il pittore avesse studiato in maniera approfondita e sistematica la Grammaire des Arts du Dessin di Charles Blanc e la sua teoria del colore, una lettura che gli tornerà utile quando comincerà a frequentare i varî Tolouse-Lautrec, Bernard, Signac (con Bernard e Signac si trovava anche a dipingere assieme, e come si vede dalla sequenza di dipinti che la mostra presenta a questo punto del percorso, dall’Autoritratto che segna una sorta di cesura tra la prima e la seconda parte del percorso, al Paesaggio di Parigi visto da Montmartre passando per l’immancabile Interno di un ristorante, la vicinanza a Signac è tale che nei primi mesi del soggiorno parigino Van Gogh ne assimila velocemente la tecnica). Parigi dischiude a Van Gogh ulteriori, nuovi interessi: sono gli anni in cui l’artista sviluppa la propria passione per l’arte giapponese, conosciuta attraverso le riviste che si pubblicavano al tempo nella capitale francese, a partire da Le Japon Artistique, che porta Van Gogh a conoscere l’arte di Hokusai e degli altri grandi artisti dell’ukiyo-e, lo stesso Van Gogh sarebbe divenuto collezionista di stampe giapponesi e la sua arte ne avrebbe profondamente risentito. Mancano in mostra due capisaldi come il Ponte sotto la pioggia e il Susino in fiore, entrambi del Van Gogh Museum di Amsterdam, ma è possibile osservare, esposto vicino ad alcune stampe prestate dal Museo Chiossone di Genova, un Frutteto circondato da cipressi che irrimediabilmente risente di questo nuovo interesse, al pari dei Salici al tramonto che ben trasmettono l’idea per cui un artista giapponese, come avrebbe scritto Van Gogh, studia “un solo filo d’erba”, ma “quel filo d’erba lo porta a disegnare tutte le piante, poi le stagioni, gli aspetti grandiosi dei paesaggi, poi gli animali e infine la figura umana”. La passione per il Giappone è tanto forte da spingere l’artista a lasciare Parigi per cercare la luce giapponese nel Midi, il sud della Francia: anche la rassegna segue Van Gogh nel suo viaggio verso Arles (sono di questo periodo opere come la Veduta di Saintes-Maries-de-la-Mer o la Vigna verde, che erano assenti dalla mostra di Roma dello scorso anno) e poi dà brevemente conto della sua malattia e del conseguente periodo di degenza a Saint-Rémy-de-Provence, che lo avvicina alla natura, anche per tramite delle letture. In una lettera del 2 luglio 1889, Van Gogh scrive così alla sorella Willemien: “Sono piuttosto assorto nella lettura dello Shakespeare che Theo mi ha mandato qui, dove finalmente avrò la calma necessaria per affrontare una lettura un po’ più difficile. Per prima cosa ho preso la serie dei re, di cui ho già letto Riccardo II, Enrico IV, Enrico V e una parte di Enrico VI – poiché questi drammi mi erano meno familiari. Hai mai letto Re Lear? Ma comunque credo di non volervi spingere troppo a leggere libri così drammatici poiché io stesso, tornando da questa lettura, sono sempre obbligato ad andare a guardare un filo d’erba, un ramo di pino, una spiga di grano, per calmarmi”.

L’ultimo Van Gogh, un Van Gogh che osserva con atteggiamento quasi misticheggiante la natura che lo circonda, s’innamora di Rembrandt, che gli suggerisce di provare a cercare l’essenza di quel che osserva. Era convinto, come aveva scritto all’amico Bernard nel 1888, che solo Rembrandt e pochi altri (Delacroix e Millet), nel dipingere soggetti religiosi, fossero stati in grado di catturare il senso metafisico del sacrificio di Cristo. E guardando le opere di Rembrandt, Van Gogh è spronato a cogliere il portato metafisico del soggetto religioso: “Se restassi qui non proverei a dipingere un Cristo nell’orto degli ulivi, ma proprio la raccolta delle olive come si vede ancora oggi, e poi dare in essa le giuste proporzioni della figura umana, che forse farebbe pensare proprio a quello”. La chiusura della mostra è dunque per la Raccolta delle olive che arriva assieme all’irrinunciabile Covone sotto un cielo nuvoloso, presago della fine di Van Gogh, e che conclude il percorso di visita con un’immagine frutto d’una meditazione intima, dal forte senso religioso, ma ancora radicata in ciò che l’artista aveva letto oppure attentamente osservato.

Una mostra insolita, inedita, realizzata a partire dallo stesso materiale che il pubblico italiano ha già visto più volte negli ultimi anni. Ci si potrà avvicinare con lo stesso spirito con cui spesso si visitano le mostre di Van Gogh: andare e lasciarsi trasportare dai dipinti di uno dei pittori più amati al mondo. Oppure si coglierà l’occasione per conoscerlo più nel profondo, per entrare con l’animo e con la mente dentro i suoi dipinti, per comprendere le ragioni delle sue scelte.

Perché no. Ilaria Baratta

Sarà la poca distanza tra due mostre dedicate a Van Gogh, quella che si è conclusa a maggio 2023 allestita ngli spazi espositivi di Palazzo Bonaparte a Roma dal titolo Van Gogh. Capolavori dal Kröller-Müller Museum e quella ancora in corso fino al 28 gennaio 2024 al Mudec di Milano, Van Gogh pittore colto, ma ad essere sincera mentre visitavo quest’ultima non ho provato la stessa voglia di proseguire la scoperta del percorso espositivo come invece al contrario mi sono sentita spronata, passo dopo passo, sala dopo sala, in quella precedente. In entrambi i casi le opere esposte provenivano dal Kröller-Müller Museum di Otterlo, museo la cui collezione di dipinti e disegni di Van Gogh si colloca immediatamente al secondo posto rispetto a quella del Van Gogh Museum di Amsterdam, dunque custodisce straordinari capolavori, come ad esempio l’Autoritratto del pittore del 1887 presente in entrambe le mostre, ma probabilmente la differenza sostanziale sta nel racconto, in quel continuum narrativo che accompagna il visitatore lungo il percorso espositivo. E che come visitatrice ho percepito abbastanza stringato nella mostra del Mudec. Cerco di spiegarmi meglio.

Le varie fasi dell’attività pittorica dell’artista olandese sono tutte presenti sia nella mostra romana che in quella milanese: partendo dal periodo olandese con gli anni di Etten, si passa all’Aia, dove Van Gogh si trasferisce alla fine del 1881, poi nel villaggio di Nuenen dove Vincent si trasferisce nel 1883 e dove suo padre svolgeva la professione di pastore protestante. Si passa poi a Parigi, città in cui la sua arte cambia: se nel periodo olandese l’artista concentra la sua attenzione sugli umili e sulle loro condizioni nel lavoro dei campi e delle miniere, in Francia inizia il suo periodo impressionista e le sue opere, prima caratterizzate da toni grigi e bruni, si fanno sempre più colorate, raggiungendo il culmine nel periodo di Arles, quando i colori sulla tela si fanno sempre più brillanti, con gialli e azzurri splendidi, per trasferire nei dipinti il calore della Provenza. Ed è in questa regione della Francia baciata dal Mediterraneo che Van Gogh trova il suo Giappone, per il quale il pittore coltivava una forte passione: era infatti un grande collezionista di stampe giapponesi. Dopo il periodo felice di Arles, segue poi il ricovero per problemi psichici alla casa di cura di Saint-Paul-de-Mausole, vicino a Saint-Rémy-de-Provence, dove tuttavia Van Gogh non smette di dipingere poiché si accorge che per lui la pittura è una vera e propria cura. E infine l’ultimo Van Gogh, quando i suoi paesaggi e in particolare i suoi campi di grano manifestano con sempre più evidenza i segni della sua sofferenza esistenziale, che lo porterà ben presto a togliersi la vita. Questa profonda sofferenza veniva sottolineata alla mostra di Palazzo Bonaparte con un quadro di forte impatto emotivo, il Vecchio disperato, che seduto su una sedia si porta le mani al viso, sugli occhi, in segno di disperazione; l’esposizione al Mudec si conclude invece in maniera più soft, con un cielo nuvoloso sotto i covoni.

Allestimenti della mostra Vincent van Gogh. Pittore colto. Foto: Carlotta Coppo
Allestimenti della mostra Vincent van Gogh. Pittore colto. Foto: Carlotta Coppo
Allestimenti della mostra Vincent van Gogh. Pittore colto. Foto: Carlotta Coppo
Allestimenti della mostra Vincent van Gogh. Pittore colto. Foto: Carlotta Coppo
Scolaresca seduta per terra nella sala più affollata della mostra
Scolaresca seduta per terra nella sala più affollata della mostra

A ripercorrere le vicende di Van Gogh sono dunque giunte le opere dal Kröller-Müller Museum di Otterlo, una quarantina per la mostra milanese e circa una decina in più per quella romana: ritroviamo in entrambe, come già detto, l’Autoritratto, ma anche I mangiatori di patate, la Contadina che raccoglie il frumento, Donna che cuce e gatto, l’Interno di un ristorante, I pini al tramonto, Covone sotto un cielo nuvoloso. È vero che l’intento delle due esposizioni era diverso, raccontare la vicenda umana e artistica del pittore olandese in quella di Roma e in quella milanese proporre una lettura inedita delle opere di Van Gogh per porre in evidenza il rapporto tra la sua visione pittorica e le sue fonti culturali, in particolare attraverso il suo appassionato interesse per i libri e il suo fascino per il Giappone, per dare l’idea di un pittore colto, andando oltre il racconto di Van Gogh come pittore segnato dalla sofferenza, dal suo carattere difficile e da episodi entrati ormai nell’immaginario collettivo, come il taglio dell’orecchio a seguito del litigio con Gauguin. Ma se la prima dava l’impressione di trattare gli argomenti in maniera più ampia, al Mudec pare di assistere a una successione troppo concentrata di riferimenti, sensazione che si è manifestata in particolare nella prima parte, quella dedicata al periodo precedente al Van Gogh impressionista.

Si parte dal bacino carbonifero del Borinage, in Belgio, dove Vincent è predicatore evangelico laico nella comunità dei minatori. La mostra si apre infatti con il disegno Le portatrici del fardello che raffigura un gruppo di donne, con la schiena china, che trasportano sacchi di carbone in un paesaggio desolato: un’immagine che rappresenta la condizione di fatica e di sofferenza dei lavoratori umili e che è considerata opera simbolo del passaggio da predicatore a pittore. Qui un pannello fa sapere che i suoi due “nuovi” vangeli sono Jules Michelet con la sua Storia della Rivoluzione francese, e Harriet Beecher Stowe, l’autrice de La capanna dello zio Tom. Subito dopo viene presentato il confronto con Jean-François Millet, artista che ha influenzato profondamente Van Gogh per la sua visione religiosa della natura: Vincent si esercita quindi nell’arte del disegno copiando opere di Millet, tra cui, come si vede in mostra, gli Zappatori, L’Angelus, Il seminatore. Presente in una teca anche il volume di incisioni di Lavieille con i tipi di contadini impegnati nei vari lavori della campagna che quest’ultimo realizzò con grande fedeltà a I lavori dei campi di Millet, che anche Van Gogh copiò come esercizio. Il percorso espositivo prosegue poi con gli anni di Etten, dove Vincent arriva nella primavera del 1881 e dove realizza disegni di paesaggi, contadini al lavoro e persone che fa posare in interni, come la Donna che cuce con gatto, qui proposta affiancata dalla Canzone della camicia di Thomas Hood. Una teca è poi dedicata a vari libri che intendono far comprendere la sua immersione nel “realismo-reale”: si trovano quindi Zola, John Leech, Dickens, Luke Fildes, e accanto si vede Donna sul letto di morte, attraverso cui si vuole citare il periodo dell’Aia e il suo rapporto con Sien Hoornik, prostituta incinta che Vincent accoglie in casa, con cui intrattiene una relazione (la vuole sposare per sottrarla alla sua condizione, ma il progetto provoca l’indignazione dei familiari), e che in alcune opere le fa da modella. E poi Nuenen, dove Van Gogh studia la Stella dei colori di Charles Blanc, fonte di nuove sperimentazioni, come si vede nella Testa di contadina qui esposta. Le contadine sono anche qui raffigurate in disegni come Contadina che lega un fascio di spighe di grano, e in quest’ambito sono esposti anche i Mangiatori di patate, presenti anche nella mostra romana. Una parentesi dichiara inoltre la passione di Van Gogh per i nidi di uccelli. Tutto troppo concentrato, senza dare spazio a un approfondimento maggiore di un tema, quello della sua cultura libraria e delle sue fonti culturali, che di per sé sarebbe molto interessante.

Con una nuova sala si apre il capitolo dell’Impressionismo e Post-impressionismo in cui protagonista è l’Autoritratto già citato, sala dove peraltro i visitatori tendono ad accalcarsi creando ingombri (occorrerebbe anche aprire una parentesi sulle visite guidate dedicate a bambini e ragazzi, perché proprio in questa sala, nella mattina in cui ho visitato la mostra, la guida aveva fatto sedere per terra l’intero gruppo occupando tutto l’ambiente e lasciando dunque poca libertà di movimento agli altri visitatori: un’usanza che andrebbe più controllata, poiché non credo che i piccoli e giovani visitatori abbiano estrema necessità di sedersi per terra ogni due per tre, visto anche la concentrazione di gruppi di visite guidate che caratterizza questa mostra).

Vincent van Gogh, Le portatrici del fardello (aprile 1881; matita, penna con inchiostro probabilmente scolorito e acquerello opaco su carta vergata originariamente azzurra, 475 x 630 mm; Otterlo, Kröller-Müller Museum, inv. KM 122.865 RECTO)
Vincent van Gogh, Le portatrici del fardello (aprile 1881; matita, penna con inchiostro probabilmente scolorito e acquerello opaco su carta vergata originariamente azzurra, 475 x 630 mm; Otterlo, Kröller-Müller Museum, inv. KM 122.865 RECTO)
Harriet Beecher Stowe, La capanna dello Zio Tom (Adolphe Delahays, Paris 1857; Collezione M.G.)
Harriet Beecher Stowe, La capanna dello Zio Tom (Adolphe Delahays, Paris 1857; Collezione M.G.)
Vincent van Gogh, I mangiatori di patate (Nuenen, aprile 1885 Litografia su carta velina, 284 × 341 mm; Otterlo, Kröller-Müller Museum, inv. KM 126.762)
Vincent van Gogh, I mangiatori di patate (Nuenen, aprile 1885 Litografia su carta velina, 284 × 341 mm; Otterlo, Kröller-Müller Museum, inv. KM 126.762)
Vincent van Gogh, Donna che cuce e gatto (Etten, ottobre-novembre 1881 gessetto nero e bianco e acquerello opaco su carta vergata, 593 × 452 mm; Otterlo, Kröller-Müller Museum, inv. KM 127.980)
Vincent van Gogh, Donna che cuce e gatto (Etten, ottobre-novembre 1881 gessetto nero e bianco e acquerello opaco su carta vergata, 593 × 452 mm; Otterlo, Kröller-Müller Museum, inv. KM 127.980)
Vincent van Gogh, Donna sul letto di morte (1883; matita, pastello litografico nero, pennello con olio bianco e nero, acquerello grigio opaco su carta per acquerello, 354 x 632 mm; Otterlo, Kröller-Müller Museum, inv. KM 115.817)
Vincent van Gogh, Donna sul letto di morte (1883; matita, pastello litografico nero, pennello con olio bianco e nero, acquerello grigio opaco su carta per acquerello, 354 x 632 mm; Otterlo, Kröller-Müller Museum, inv. KM 115.817)
Utagawa Hiroshige, Acquazzone serale sul ponte Shin-Ohashi ad Atake, dalla serie Cento vedute di luoghi celebri di Edo (1857; stampa xilografica policroma; Genova, Museo d’Arte Orientale E. Chiossone)
Utagawa Hiroshige, Acquazzone serale sul ponte Shin-Ohashi ad Atake, dalla serie Cento vedute di luoghi celebri di Edo (1857; stampa xilografica policroma; Genova, Museo d’Arte Orientale E. Chiossone)
Utagawa Hiroshige, Il giardino dei prugni di Kameido, dalla serie Cento vedute di luoghi celebri di Edo (1857; stampa xilografica policroma; Genova, Museo d’Arte Orientale E. Chiossone)
Utagawa Hiroshige, Il giardino dei prugni di Kameido, dalla serie Cento vedute di luoghi celebri di Edo (1857; stampa xilografica policroma; Genova, Museo d’Arte Orientale E. Chiossone)
Vincent van Gogh, Pini al tramonto (Saint-Rémy, dicembre 1889; olio su tela, 93,5 × 74,2 cm; Otterlo, Kröller-Müller Museum, inv. KM 102.808)
Vincent van Gogh, Pini al tramonto (Saint-Rémy, dicembre 1889; olio su tela, 93,5 × 74,2 cm; Otterlo, Kröller-Müller Museum, inv. KM 102.808)
Vincent van Gogh, Covone sotto un cielo nuvoloso (Arles, luglio 1890; olio su tela, 63,3 × 53,7 cm; Otterlo, Kröller-Müller Museum, inv. KM 109.773)
Vincent van Gogh, Covone sotto un cielo nuvoloso (Arles, luglio 1890; olio su tela, 63,3 × 53,7 cm; Otterlo, Kröller-Müller Museum, inv. KM 109.773)

La mostra comunque prosegue con Parigi, Arles e il giapponismo; migliore la sezione sul rapporto tra Van Gogh e il Giappone, dove viene ben compresa la passione dell’artista per il mondo nipponico grazie anche a confronti con i maggiori artisti ukiyoe, quali ad esempio Hiroshige.

Il percorso espositivo si avvia poi alla conclusione con il ricovero nell’ospedale psichiatrico e qui in un pannello si afferma che Vincent torna alle vecchie letture, rileggendo soprattutto Shakespeare. Trovano inoltre qui spazio i Pini al tramonto che Van Gogh dipinge nel dicembre 1889 proprio a Saint-Rémy, quando gli è data la possibilità di lasciare l’ospedale per visitare la campagna, nei momenti in cui la malattia gli dà tregua e cerca di ottenere quindi il permesso di dedicarsi alla pittura, perché cura per lui. Ecco infine che nell’ultima sala appaiono nuvole sui covoni, segno di quel disagio esistenziale e di quella sofferenza che si fanno sempre più pressanti, fino a portare il pittore alla morte suicida.

Van Gogh pittore colto è dunque a mio parere una mostra che intende evidenziare un tema molto interessante come quello del legame dell’artista con i libri, ma che secondo me avrebbe potuto essere sviluppato in maniera più approfondita, soffermandosi di più sui confronti tra le opere e i riferimenti artistico-letterari. Proprio perché poco noto avrebbe meritato a mio parere più spazio. Vale comunque la pena visitarla se non si ha avuto occasione di vedere l’esposizione di Palazzo Bonaparte: la presenza di capolavori dal secondo museo più importante per qualità e quantità delle opere dell’artista vale sicuramente il viaggio.


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo



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