Le opere più belle di Napoli? Sono ovunque tranne che a Napoli. Sui prestiti di Capodimonte e MANN


In questo momento, molte delle opere d’arte più importanti di Napoli si trovano ovunque tranne che a Napoli. Merito delle singolari politiche di prestito dei due principali musei statali della città, il Museo Nazionale di Capodimonte e il MANN. Per quanto ancora Napoli dovrà sopportare?

In questo momento, molte delle opere d’arte più importanti di Napoli si trovano ovunque tranne che a Napoli. Merito delle singolari politiche di prestito dei due principali musei statali della città, il Museo Nazionale di Capodimonte e il Museo Archeologico Nazionale che, negli ultimi tempi, si sono distinti per la nonchalance con cui hanno mandato in giro i loro capolavori. Attenzione: non si vuole stigmatizzare la normale attività di prestito delle opere che rientra nelle consuetudini di ogni museo degno d’esser definito tale. Le opere viaggiano, le opere d’arte si spostano se c’è una richiesta fondata, se ci sono validi motivi per farle viaggiare, e i viaggi sono spesso occasioni di arricchimento per le città in cui le opere arrivano. È del tutto salutare che un museo presti le sue opere d’arte. È invece decisamente meno salutare lasciare una città priva d’un numero consistente dei propri capolavori, e non è sano che un museo mandi spesso in giro molte delle sue opere fondamentali, quelle più riconoscibili, quelle che il pubblico s’aspetta di trovare quando si reca in visita.

È quanto sta accadendo a Napoli in questo periodo. Del Museo Nazionale di Capodimonte s’è parlato nei giorni scorsi: il direttore Sylvain Bellenger ha prestato una settantina di capolavori fondamentali al Louvre, dove rimarranno per ben sei mesi. Un’operazione totalmente insensata e priva di valide ragioni scientifiche, come scrivevo in un articolo a seguito del quale c’è stato anche chi ha voluto difendere a tutti i costi una mostra che ha svuotato Capodimonte del nucleo centrale della sua collezione: s’è parlato del fatto che le opere prestate possano viaggiare (e, almeno su queste pagine, nessuno aveva pensato al contrario: non ha senso discutere sulle autorizzazioni al prestito, se sono state concesse è palese che un’autorità ha stabilito che le opere possono viaggiare, poi ovviamente il rischio zero non esiste e tra le opere prestate ci sono pezzi che si spostano raramente, come il ritratto di Galeazzo Sanvitale del Parmigianino, ma quello del trasporto non è un argomento), s’è detto che comunque a Capodimonte rimangono migliaia di pezzi (sì: ma non ci è rimasto il cuore del museo, sono partite per la Francia decine di opere che i visitatori immaginano di poter vedere quando vanno a Capodimonte). Si è addirittura detto che l’operazione serve per far conoscere Capodimonte: come se fosse davvero necessario spostare tutto il nucleo principale della collezione per far conoscere il museo. E, verrebbe ironicamente da dire, se portiamo il meglio di Capodimonte a Parigi, perché un parigino dovrebbe essere motivato a visitare il museo? Glielo abbiamo portato a casa! E s’è anche detto che al Louvre la mostra è stata inaugurata dal presidente della repubblica. Bene: è dunque una mostra insensata inaugurata dal presidente della repubblica.

Se Bellenger ha mandato il meglio del suo museo in Francia, il direttore del MANN, Paolo Giulierini, ha invece optato per la Spagna e la Cina: in questo momento, due mostre, poco o per niente pubblicizzate alle nostre latitudini, hanno portato decine di reperti del Museo Archeologico Nazionale a Barcellona e a Pechino. Quanto alla mostra spagnola (Pompeya, el último gladiator, fino al 15 ottobre), forte di 150 pezzi, il museo s’è limitato a dire che è stata realizzata con reperti “prevalentemente” conservati nei musei. E in effetti c’è anche altro: sono circolate poche immagini (la mostra è aperta dallo scorso 31 maggio), ma tra le opere finite in Catalogna si contano il Guerriero cosiddetto Protesilao e il Guerriero Ferito, due opere tutt’altro che secondarie. E al China Millennium Monument di Pechino sono finite opere ancor più significative, solo che per scoprirlo è necessario spulciare tra i canali d’informazione cinesi: dal post dell’ambasciata cinese si evince che hanno lasciato il MANN, tra le altre opere (una settantina in tutto), la Afrodite Callipige, la Afrodite appoggiata, lo Pseudo Seneca della Villa dei Papiri, l’affresco di Eros e Narciso, il mosaico col leone e Dioniso. Scorrendo invece il canale Weibo del museo cinese si trovano altre opere, come l’Afrodite accovacciata con Eros, l’Asclepio del tipo Giustini, la statua di Atena, la statua loricata con testa di Lucio Vero. Quello che sorprende è che dal MANN non sono arrivate comunicazioni su questa mostra (s’intitola La luce dell’antica civiltà romana – Collezione del Museo Archeologico Nazionale di Napoli e durerà fino all’8 ottobre: il lettore provi a cercare il titolo su Google, s’accorgerà che nessuno ne ha parlato), da parte di un museo che ha peraltro un ufficio stampa molto efficiente e che tende a pubblicizzare a dovere le proprie iniziative. E se è già difficile ottenere informazioni sulla mostra in sé, figuriamoci se si potrà sapere cosa il MANN ha ottenuto in cambio dalla Cina.

Inaugurazione della mostra con i capolavori di Capodimonte al Louvre alla presenza delle autorità (di fronte il direttore del Museo di Capodimonte Sylvain Bellenger, di spalle a sinistra il presidente della repubblica Sergio Mattarella e a destra il presidente francese Emmanuel Macron)
Inaugurazione della mostra con i capolavori di Capodimonte al Louvre alla presenza delle autorità (di fronte il direttore del Museo di Capodimonte Sylvain Bellenger, di spalle a sinistra il presidente della repubblica Sergio Mattarella e a destra il presidente francese Emmanuel Macron)
La mostra con le opere del MANN a Pechino
La mostra con le opere del MANN a Pechino

Ora, si potrebbe pensare che si tratta di un momento particolare: per una straordinaria e irripetibile congiuntura astrale, i due principali musei statali di Napoli, esattamente nell’estate del 2023, si ritrovano senza una parte rilevante dei pezzi migliori. Voglia perdonarci il turista che ha avuto la sfortuna di capitare proprio adesso, è un caso fortuito. In realtà, le cose non stanno così: Capodimonte si era già imbarcato in un’operazione simile nel 2020, quando ha impacchettato un nucleo consistente dei suoi tesori per spedirli negli Stati Uniti, dove sono rimasti a conti fatti quasi un anno. E il MANN è noto per essere museo molto generoso coi prestiti: solo lo scorso anno, 160 reperti sono volati a Tokyo, la Tazza Farnese è stata prestata a ben tre mostre diverse, nel 2018 un centinaio di pezzi era stato concesso a un’altra mostra in Cina, per non parlare di casi singolari come i Corridori di Ercolano prestati per una sfilata di Bottega Veneta.

Insomma, comincia a diventare piuttosto difficile andare a Napoli e trovare tutte le opere principali al loro posto. Questa situazione, tuttavia, non può che sollevare alcune domande: perché solo a Napoli accade che i due principali musei statali siano di manica così larga coi prestiti? Perché a Capodimonte s’è permessa un’operazione analoga (anzi, anche più ampia) a quella, criticatissima, del 2020? Perché non è possibile conoscere, in maniera chiara, che cosa i due musei ottengono in cambio da queste operazioni? Perché occorre spacciare al pubblico, e soprattutto ai napoletani, operazioni come quella del Capodimonte a Louvre come grandi e irripetibili progetti culturali che portano lustro alla città, quando invece è l’esatto contrario, dato che spedire il nucleo principale di una collezione in un altro museo, e per di più all’estero, è semmai sintomo di subalternità? Riusciremo prossimamente ad avere a Napoli direttori un po’ meno inclini a spedire le principali opere dei loro musei con tanta frequenza?


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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