La mostra in corso alla Gnam, o Gnam/c, di Roma, Il Tempo del Futurismo, è probabilmente la mostra temporanea di cui si è parlato di più in Italia negli ultimi decenni, e difficilmente sarà superata presto. Se ne è parlato ai tempi dell’annuncio, a novembre 2022, poi nel 2023, poi ossessivamente dall’agosto 2024 in poi, quando diverse testate hanno iniziato a raccontare lo smottamento del progetto espositivo, poi il rinvio dell’inaugurazione, poi la fine del comitato tecnico-scientifico mai nominato formalmente (ma informalmente sì), con diversi protagonisti che, come mai accaduto prima d’ora in Italia, hanno attaccato sui giornali una mostra che nessuno aveva ancora visto. Pezzi a tutta pagina su diverse testate nazionali, un servizio su Report-Rai3, spazio su altri programmi televisivi.
Poi se n’è parlato - come normale - all’inaugurazione, e poi dopo l’inaugurazione, dato che immediatamente è sorta un’ulteriore discussione sulle Forme uniche di Boccioni esposte e, in 10 giorni, già rimosse. Il 19 dicembre abbiamo saputo che durante i lavori di allestimento l’Antigrazioso di Boccioni è stato danneggiato. Insomma, difficilmente si smetterà di parlarne. A cominciare dall’assenza del comitato scientifico: c’è però un comitato organizzatore composto da Massimo Osanna (direttore generale Musei), Renata Cristina Mazzantini (direttrice della Gnam), Elisabetta Scungio (direttrice Direzione Regionale Musei Nazionali del Lazio), in aggiunta al curatore Gabriele Simongini, scelto nel 2023 da Gennaro Sangiuliano. Persone di cui non si discutono le competenze, ma che non si sono mai occupate professionalmente e scientificamente di Futurismo (Osanna è archeologo, Mazzantini architetta, Scungio specialista di arte medievale, Simongini un critico d’arte). Una grande mostra con oltre un milione di budget mai dovrebbe essere organizzata senza un comitato scientifico di esperti conclamati. Invece è accaduto come nulla fosse, e così è nata una mostra costosissima ma "normale".
Ma in questa enorme quantità di problemi, critiche, polemiche o scandali veri o presunti, sono passati sotto traccia alcuni elementi macroscopici che meritano una certa attenzione, e che non hanno a che fare con il contenuto della mostra, che potrà essere apprezzato o meno dai visitatori, soggettivamente.
Fino al 2 marzo è in corso, ai Musei Reali di Torino, una mostra interamente basata sui capolavori della Gnam, con 80 opere degli anni 50 e 70. Ettore Colla, Pino Pascali, Giuseppe Capogrossi, Lucio Fontana, Alberto Burri, Mimmo Rotella, Bice Lazzari, Afro, Piero Dorazio, Giosetta Fioroni, Carla Accardi, Giulio Turcato, Gastone Novelli, Toti Scialoja, Sergio Lombardo, Tano Festa, Franco Angeli, Piero Manzoni, Michelangelo Pistoletto, Mario Schifano ed Emilio Isgrò.
La mostra, che pare poco opportuna, è nata dalla necessità di liberare il Museo dalla collezione permanente per fare spazio alla mostra temporanea sul Futurismo: a specifica domanda, la direttrice Mazzantini ha ammesso che lo spostamento è anche funzionale al riallestimento della Gnam nel 2025. Dato il ritardo nell’apertura della mostra sul Futurismo, tra ottobre e novembre i visitatori della Gnam avevano davanti un museo per metà vuoto, e tale ancora si presenta, come osservato anche da Federico Giannini.
Sono scelte non completamente nuove (Capodimonte ha ripetutamente spostato all’estero gruppi di capolavori per mostre interamente su Capodimonte) ma che non hanno nulla a che fare con le regole base della museologia europea e dei regolamenti italiani, che prevederebbero che le mostre abbiano un valore scientifico, e che le collezioni museali abbiano pezzi inamovibili e identitari. I Musei Reali di Torino peraltro non sono un museo d’arte contemporanea.
La biblioteca e l’archivio della Gnam sono chiusi da ottobre, e non esiste una data di riapertura. Mentre i fari sono puntati sulla galleria, impressiona che in pochi si soffermino su una lacuna così grave. La Gnam conserva fondi, archivi e volumi che in alcuni casi sono essenziali per ricercatori e studenti, o semplicemente per cittadini con voglia di apprendere, in particolare riguardo l’arte del novecento.
Non che prima di ottobre la situazione fosse positiva: per accedere bisognava fissare un appuntamento, con ingresso obbligatorio tra le 9 e le 9:30, chiusura alle 14. Non era insomma una biblioteca granché frequentata. Ma non per questo meno importante. Non c’è stato un comunicato stampa a far conoscere l’avvenuta chiusura, ma la Gnam nel suo sito parla di “urgenti e improcrastinabili lavori di adeguamento impiantistico e normativo” e dice che “la riapertura sarà prontamente comunicata con apposito avviso su questo sito”. La concomitanza con la grande e ambiziosa mostra appare quantomeno poco opportuna.
Altro punto poco sollevato è che la “politicizzazione” degli spazi della Gnam sia iniziata prima de Il Tempo del Futurismo (mostra che non si può non definire politica, essendo nata dall’idea di un ministro con un ruolo politico, e appunto priva di comitato scientifico), né con la nomina di Renata Cristina Mazzantini. Già nel 2023 il museo aveva ospitato una mostra su Tolkien altrettanto o anche più scollegata dalla funzione della Galleria, e voluta dal governo. E così il riallestimento del museo che si prospetta nel 2025, segue il riallestimento della direttrice precedente, Cristina Collu, che seguiva quello precedente, del 2011.
Gli accadimenti intorno a Il Tempo del Futurismo, messi insieme, con privati che si lamentano sui giornali e ministri che commentano la scelta delle opere (o chiedono al Maxxi di non fare una mostra già prevista), chiariscono fino a dove si è spinta l’idea dell’utilizzo ascientifico delle mostre e degli spazi museali. Ma chiariscono anche quanto difficile sia avere una politica culturale, e non una politicizzazione della cultura. Al termine di questa mostra, di cui dobbiamo ancora vedere il catalogo (che promette qualche novità, e dovrebbe contenere anche uno scritto di Günter Berghaus, che ha già parlato molto criticamente del processo di creazione della mostra), e di cui certo ancora commenteremo gli sviluppi, cerchiamo di considerare il contesto in cui è avvenuta e sta avvenendo, oltre ai dettagli imbarazzanti, ridicoli o sorprendenti.
L'autore di questo articolo: Leonardo Bison
Dottore di ricerca in archeologia all'Università di Bristol (Regno Unito), collabora con Il Fatto Quotidiano ed è attivista dell'associazione Mi Riconosci.