Sulle sponde trentine del Lago di Garda si apre la Rocca di Riva del Garda la cui costruzione fu fortemente voluta dal principe-vescovo Altemanno nel 1124. Il castrum novum, come nominato negli antichi documenti per distinguerla dal castrum vetus che sorgeva in un’altra zona, era considerato una fortezza di primaria importanza per la difesa di tutta la città. Divenuta nel Rinascimento residenza dei vescovi-principi di Trento dopo aver perso le sue funzioni militari, durante la dominazione austriaca si vide trasformare in caserma e il suo aspetto cambiò molteplici volte nel corso della storia, fino a diventare osservatorio durante la Prima Guerra Mondiale. Molto probabilmente, al tempo del dominio scaligero, si presentava come un castello-fortezza circondato dall’acqua molto simile a quello di Sirmione (del quale abbiamo parlato in questo articolo). Sebbene oggi sia quasi impossibile immaginare la sua forma originale proprio a causa dei numerosissimi rifacimenti nel corso della storia, alcuni lavori di restauro sono tuttavia riusciti a portare alla luce alcuni affreschi risalenti al periodo clesiano tra il 1514 e il 1539, regalando al visitatore un fugace sguardo a tempi passati. All’interno dell’antica Rocca ha sede, insieme alla Torre Apponale e a Forte Garda sul monte Brione, il MAG - Museo dell’Alto Garda di Riva del Garda, che venne fondato nel 1992 con l’obiettivo di preservare, studiare e valorizzare il patrimonio culturale della regione dell’Alto Garda. In questi spazi, storia e arte dialogano fra loro in un costante e reciproco confronto in cui il futuro guarda sempre a un passato a cui deve moltissimo.
Tra le sezioni permanenti è possibile ammirare, prima fra tutte, la Pinacoteca dove sono custoditi sculture e dipinti antichi, inclusi la splendida Imago Pietatis del Maestro di Sant’Anastasia e un rarissimo soggetto iconografico come la Nave della Chiesa dipinta da Elia Naurizio nella prima metà del XVII secolo, e poi i paesaggi del Garda di artisti come il locale Giuseppe Craffonara, o ancora Giuseppe Canella, Ludwig Gebhardt, Ercole Calvi e altri, le sensualissime muse colte dallo sguardo affascinato di artisti dell’Ottocento quali Vincenzo Vela (splendida la sua Preghiera) e Francesco Hayez. Uno dei pezzi più importanti qui presenti è proprio di Francesco Hayez: la sua Addolorata del 1842. Un dipinto, questo, proveniente dalla collezione del letterato trentino Andrea Maffei, uomo autorevole e influente che segnò profondamente la vita culturale del luogo nella seconda metà dell’Ottocento. Dopo aver ospitato, nella sua dimora milanese, un salotto letterario frequentato dagli uomini più interessanti del tempo, nel 1851 si trasferì a Riva del Garda con la sua preziosa collezione della quale faceva parte la dolorosissima opera di Hayez. Il Volto della vergine è centrale e commuove lo spettatore tramite i suoi occhi fieri, ma gonfi di lacrime. Il dolore è condiviso e spartito quasi equamente dai tre angeli alle sue spalle che reggono la croce e da un altro che le sorregge il braccio con maestosa eleganza, ma l’ultimo angelo, inginocchiato ai piedi di Maria, è piegato da un dolore che sembra incombere sulle sue spalle. Questa giovane figura vinta dalla sofferenza è stata ripresa dall’artista direttamente dagli insegnamenti dello scultore Antonio Canova, con la sua Maddalena penitente e tale scelta creò grande scandalo. L’opera non venne capita dalla critica contemporanea proprio perché la pittura non era solita ricalcare così fortemente la scultura, ma fu proprio l’estrema modernità della tela con le forti dissonanze cromatiche e il vistosissimo uso del disegno ad affascinare Maffei, che non esitò ad acquistarla.
Altra presenza significativa presente alla Pinacoteca è il Monogrammista FV, chiamato così per le iniziali con cui firmava le sue opere. Artista dalla fortissima personalità, visse nella prima metà del Cinquecento e qui si trovano le sue opere riferibili al basso Trentino come l’Adorazione dei pastori del 1530 e il Compianto del Cristo morto del 1531 provenienti dalla chiesa della Disciplina di Riva del Garda.
Proseguendo nella visita ci si troverà, poi, nelle sale dedicate alla Storia dove è possibile immergersi e immaginare il passato di Riva del Garda e del Basso Sarca che si trovò ora sotto il dominio scaligero, ora sotto quello visconteo e veneziano fino ad arrivare al periodo in cui divenne agognata meta turistica e vide passare ospiti illustri come Thomas Mann e Franz Kafka. Il breve secolo del Novecento, dilaniato dalle guerre, è qui visto dal punto di vista politico e amministrativo tramite il racconto dell’evacuazione dei civili che, dalla Valle di Ledro e dalla piana del Sarca fino a Dro e Ceniga, furono internati in Boemia e in Moravia, ma è narrata anche l’annessione al Regno d’Italia, l’affermarsi del regime fascista, l’occupazione tedesca delle province di Trento, Bolzano e Belluno arrivando a uno dei più importanti episodi della resistenza trentina. Il 28 giugno 1944 i nazisti assassinarono undici partigiani e ne arrestarono diverse decine e da qui, tramite una mostra multimediale curata da Lorenzo Gardumi, si arriva al 30 aprile 1945 con la liberazione di Riva ad opera dei partigiani e dei cittadini e si conclude la sezione storica.
C’è poi la Sezione archeologica che ospita numerosissimi reperti che vanno dal Paleolitico medio (120000 – 33000 a.C.) fino all’età tardo antica altomedievale (VII-VIII secolo d.C.). Qui è conservato lo scheletro di un individuo di circa 20 anni, zoppo e con una ferita al capo che probabilmente ne causò la morte e che portava con sé degli oggetti databili al V-IV secolo a.C. I ricercatori ritengono oggi che si possa trattare di un cacciatore, caduto distrattamente nella voragine che lo inghiottì per millenni. I resti furono scoperti da un gruppo di speleologi nel 1976, sul Monte Altissimo a 1950 metri d’altezza, in una strettissima voragine invasa da neve e ghiaccio.
Il percorso continua poi nella sezione dedicata al Monte San Martino in cui gli scavi archeologici scoprirono un luogo di culto frequentato prima dalle popolazioni retiche, a partire dall’età del Ferro, e successivamente da quelle romane che lo trasformarono in un vero e proprio santuario. Secondo antiche leggende, nell’area compresa tra la valle del Magnone e della Gamella, si trovava un misterioso paese in cui venne eretto un capretto d’oro. Questo, un giorno, prese vita e si nascose nella “Fratta del Tesoro”, per sfuggire agli sguardi mortali. E proprio seguendo le tracce lasciate da questa leggenda un gruppo di studiosi e appassionati di storia locale, nel 1969, intrapresero delle ricerche che portarono a individuare numerosi reperti proprio nella “Fratta del Tesoro”. La visita, che continua con una sezione di epigrafi romane appartenenti al I e II secolo d.C. narranti la vita sacra e quella di tutti i giorni, si conclude poi con reperti di età tardo antica e altomedievale provenienti da contesti funerari.
Per il viaggiatore non potrà mancare la salita alla torre principale detta Mastio, dalla quale si apre una suggestiva visuale dall’alto del lago di Garda e alla Torre Apponale. Quest’ultima, raggiungibile dal Museo con una breve passeggiata verso il centro storico, fu menzionata per la prima volta nel 1273 e possiede questo strano nome probabilmente perché sovrastava la parte del porto rivolta “a Ponale”. La torre, che fu sopraelevata nel 1522 e che venne utilizzata anticamente come prigione, sulla sua sommità reca la figura di un angelo che oggi è simbolo di Riva del Garda.
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