Eredi di immensi patrimoni culturali e scientifici, i musei universitari sono chiamati nella nostra contemporaneità a fronteggiare l’annoso problema di collezioni variegate, formate da oggetti di non facile lettura, afferenti a campi di impiego e ricerca settoriali, non sempre più rispondenti alla funzione precipua per cui furono raccolti, ovvero lo studio. Non a caso, i musei scientifici, non solo universitari, sono al centro di numerosi dibattiti museologici, che in Italia vedono tra i protagonisti l’Associazione Nazionale Musei Scientifici (ANMS). Benché si sia ancora lontani dal formulare facili e univoche soluzioni per la valorizzazione di questi musei, non dovrebbero sussistere dubbi sull’importanza di affrontare la sfida per assicurare da un lato, la continuità della loro conservazione e, dall’altro, una fruizione che non sia più meramente diretta agli studiosi della materia, ma a un pubblico generico e composito, che oltre all’obiettivo dell’erudizione ha anche quello dell’intrattenimento e dello svago nel tempo libero. “Nati dalla separazione delle collezioni scientifiche da quelle artistiche, ne conservano testimonianze e legami”, afferma Fausto Barbagli, presidente dell’ANMS. Questi musei “hanno tutti un’importanza scientifica e una rilevanza culturale e sociale che dialogano col territorio”: per tale motivo, la loro valorizzazione non è un obiettivo secondario, anche se a complicare il quadro c’è anche la cronica mancanza di fondi.
Il Museo Botanico dell’Università di Pisa riesce senz’altro a coniugare rigore scientifico e piacevolezza nella visita, anche per un pubblico di non addetti ai lavori. La sua storia si intreccia inestricabilmente con quella dell’Orto Botanico dell’Ateneo Pisano, con cui ancora oggi costituisce un unico complesso di grande fascino. Il museo trova le sue premesse in due episodi: il primo coincide con l’atto di fondazione dell’Orto nel 1543, quando Luca Ghini, medico e botanico imolese, venne chiamato dal granduca Cosimo I a tenere la cattedra dell’Università di Pisa. L’erudito pose come condizione per il suo impiego la necessità che il governo permettesse di organizzare un “Giardino dei Semplici,” dove coltivare piante dalle proprietà medicamentose. Ghini introdusse contemporaneamente nello studio pisano due fondamentali strumenti, che poi sarebbero divenuti lo scheletro del successivo museo: l’hortus siccus, ovvero l’erbario con le piante essiccate, e l’hortus pictus, una raccolta iconografica dipinta di piante e fiori. Il Museo Botanico è inoltre erede della galleria voluta nel 1591 da Ferdinando I de’ Medici, organizzata come una Wunderkammer tra naturalia e artificialia.
Oggi il museo si trova nei settecenteschi spazi che furono originariamente quelli della fonderia, luogo deputato alla preparazione di compositi medicinali. Vi si accede dalla porta incastonata nella sontuosa facciata di gusto rococò, interamente ricoperta da un’incrostazione di materiali variegati che vanno dal granito rosa e altre rocce a calchi di conchiglie e madrepore, che formano bizzarre decorazioni e lo stemma della famiglia granducale dei Lorena. Il museo, come sostiene la conservatrice Roberta Vangelisti, ospita materiali di difficile accesso, poiché la collezione principale è costituita dall’erbario, di interesse soprattutto per gli studiosi e quasi interamente conservato in un’altra sede, dove può essere consultato previa prenotazione. Le restanti collezioni ancillari sono legate alla didattica della botanica, in particolare del XIX secolo, quando questa disciplina si separò dalla medicina, di cui un tempo faceva parte. L’istituto museale è stato recentemente riallestito per rendere meno complessa la consultazione del materiale esposto e presto subirà ulteriori interventi.
Ad accogliere il visitatore è un ritratto del padre dell’orto e del museo, quel Luca Ghini che abbiamo precedentemente menzionato, di cui purtroppo il celebre erbario è andato disperso, così come quelli dei secoli successivi, probabilmente legati alla volontà della famiglia granducale di spostarli a Firenze.
Tra i reperti più antichi è esposta, sempre nella sala d’ingresso, la monumentale porta in legno di noce, che originariamente dava accesso all’orto e alla galleria da Via Santa Maria. La cinquecentesca porta è impreziosita da dettagliate raffigurazioni di piante scolpite a bassorilievo, tra cui la Fritillaria imperialis, un vegetale bulboso di provenienza orientale, che è divenuto il logo dell’Orto Botanico Pisano.
Segue una piccola ma suggestiva ricostruzione della cinquecentesca camera delle meraviglie, dove animali tassidermizzati, fossili, minerali e altre curiosità ricordano la storica Wunderkammer pisana, celebrata all’epoca per la sua dimensione e per l’eccezionalità dei suoi reperti, come il cranio umano da cui spunta un ramoscello di corallo. Se numerosi elementi furono dispersi durante il corso dei secoli, molti, compreso il famoso cranio, andarono a costituire il nucleo originario del Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa a Calci, dove oggi sono anch’essi allestiti in una ben più ampia riproduzione della wunderkammer.
La sala successiva espone invece un nutrito gruppo di ritratti di mediocre qualità ma di grande valenza storica, provenienti anch’essi dalla galleria, e mostra personalità legate all’insegnamento della botanica p all’orto, tra cui vari prefetti che si sono succeduti nel corso della storia. Tra questi troviamo il ritratto di Andrea Cesalpino, successore di Ghini alla guida dell’orto dal 1555, e il fiammingo Giuseppe Casabona, che non solo sovrintese alla rifondazione dell’orto dalla precedente posizione a quella che occupa attualmente, ma nell’ultimo decennio del XVI secolo intraprese, su mandato di Ferdinando I, un viaggio a Creta con l’intento di raccogliere campioni della flora locale.
In quella circostanza conobbe il soldato tedesco Georg Dyckman, il quale, grazie alle sue notevoli abilità pittoriche, gli permise di arricchire il proprio viaggio con 36 tavole a tempera raffiguranti piante di grande rilevanza scientifica, oggi conservate presso la Biblioteca Universitaria di Pisa, ma qui parzialmente riprodotte in digitale. Queste tavole mostrano uno dei tanti casi che evidenziano il felice connubio tra pittura e botanica, un rapporto che non si è interrotto neanche nella nostra modernità, tanto che non di rado nuove scoperte nel campo vengono accompagnate non solo da campioni essiccati, ma anche da illustrazioni dipinte o disegnate, che continuano ad avere notevoli vantaggi rispetto alla fotografia nella resa delle piante. Inserendosi in questo solco, al museo si tengono corsi di pittura botanica, tenuti dall’artista Silvana Rava, famosa internazionalmente per le sue opere di piglio scientifico, che non di rado sono esposte nell’istituzione pisana in mostre temporanee.
Proseguendo la visita, si incontra un’altra figura di grande importanza per l’Ateneo Pisano: il medico e naturalista Gaetano Savi, che a cavallo tra il Settecento e il secolo successivo si adoperò notevolmente per lo studio della botanica, affrancandola dalle altre scienze naturali e dalla medicina. A lui si deve anche l’implementazione dell’erbario pisano.
Certamente la collezione più affascinante, anche per i profani della materia, è la ricca raccolta di modelli ottocenteschi in gesso, cera e altri materiali, usati per l’attività didattica. Sono riproduzioni di piante, funghi e frutti, talvolta in scala molto maggiore al vero, realizzate con grande virtuosismo e raggiungendo un alto grado di naturalismo, dovute in gran parte alla sapiente mano del ceroplasta Luigi Calamai, autore anche delle cere anatomiche per l’Università di Firenze, e della sua scuola.
Il modello rappresentante la fecondazione della zucca fu presentato alla prima riunione degli scienziati italiani nel 1839, tenutasi presso l’orto, e fu fortemente apprezzato dal granduca Leopoldo II, che lo volle acquistare. Il modello in cera illustra le scoperte dell’ingegnere Giovan Battista Amici, condotte grazie all’osservazione al microscopio, riguardo al processo di riproduzione nelle angiosperme. Altri modelli anatomici di piante mostrano diversi fenomeni, come l’attacco di parassiti o la struttura di una foglia. Queste preziose riproduzioni sono state recentemente restaurate, poiché in un passato non troppo remoto, persa la loro funzionalità didattica, la loro conservazione era stata piuttosto trascurata.
Vasta e di grande interesse è anche la sezione di modelli di funghi in struttura polimaterica. Tra le altre curiosità, si scopre anche il seme di coco de mer, una palma nota per avere i semi più grandi al mondo, con un peso che può arrivare anche a 20 kg, o campioni di piante da fibra acquistati all’Esposizione Coloniale di Marsiglia nel 1906.
Il punto di arrivo della visita è la sala che ospita, a rotazione, alcune delle 96 tavole originali e restaurate, raffiguranti piante e arbusti dipinti a inchiostro o acquerello. Queste opere, utilizzate nella didattica, in particolare dal professor Pietro Savi, furono impiegate nelle lezioni in aula fino alla prima metà del Novecento. Le tavole sono inoltre accompagnate da una copia del catalogo redatto dallo stesso Savi, che contiene le didascalie e le relative spiegazioni. Completano il percorso una selezione di reperti paleobotanici con tronchi fossili, e campioni provenienti dagli erbari, consultabili anche attraverso uno schermo digitale.
Esponendo un percorso che intreccia la storia dell’Ateneo Pisano con quella dell’orto e dello studio della botanica, costellata di grandi personaggi e di continue innovazioni, il Museo Botanico, pur non avendo certamente abbandonato i suoi propositi scientifici e di studio, riesce a proporsi anche come un’interessante esperienza per i visitatori non iniziati alla materia, grazie anche alle numerose iniziative che qui vengono organizzate, dalle conferenze alle mostre, dai corsi di pittura ai contest fotografici e molto altro. Per questo, il Museo Botanico rappresenta un valore aggiunto alla visita del già di per sé affascinante Orto Botanico.
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autore di questo articolo: Jacopo Suggi
Nato a Livorno nel 1989, dopo gli studi in storia dell'arte prima a Pisa e poi a Bologna ho avuto svariate esperienze in musei e mostre, dall'arte contemporanea, alle grandi tele di Fattori, passando per le stampe giapponesi e toccando fossili e minerali, cercando sempre la maniera migliore di comunicare il nostro straordinario patrimonio.