Esportazione dei beni culturali: un'analisi comparata delle leggi di otto paesi


Come funziona l’esportazione dei beni culturali nei principali paesi occidentali? Abbiamo messo a confronto le legislazioni di otto paesi: Italia, Francia, Regno Unito, Germania, Spagna, Grecia, Svizzera e Stati Uniti.

L’esportazione dei beni culturali rappresenta una delle questioni più delicate e controverse del settore, perché coinvolge non soltanto l’ambito giuridico e, ovviamente, quello politico, ma è un tema che è anche strettamente legato alla tutela del patrimonio culturale di una nazione. Uno Stato, di fronte alla possibilità che un’opera venga messa sul mercato e possa dunque uscire dai confini nazionali per non tornare più, si trova spesso dinnanzi a un problema, ovvero se trattenere il bene ponendo un vincolo di interesse culturale, oppure autorizzarlo a circolare sul libero mercato. In un articolo di pochi giorni fa abbiamo visto quali sono le ragioni a favore dell’apposizione di vincoli e quali i motivi che, al contrario, potrebbero far propendere al rilascio dell’autorizzazione all’esportazione, e quali dovrebbero essere i criteri per individuare le scelte corrette. Oggi vediamo invece cosa prevedono le legislazioni in materia di alcuni dei principali paesi occidentali per il mercato dell’arte, oppure che hanno un patrimonio culturale di grande interesse e grandi dimensioni.

Ogni paese ha sviluppato nel tempo un quadro normativo specifico per regolare l’esportazione di opere d’arte, reperti archeologici e altri oggetti di rilevanza culturale. Questo quadro normativo varia notevolmente da paese a paese poiché riflette differenze storiche, culturali ed economiche: comprendere le norme che regolano l’esportazione dei beni culturali in diversi paesi è cruciale non solo per chi opera nel settore, come collezionisti, case d’asta, gallerie e musei, ma anche per le autorità che devono vigilare sulla protezione di questo patrimonio. Il patrimonio culturale infatti è una risorsa inestimabile che contribuisce a definire l’identità di una nazione e a promuovere il dialogo interculturale. Le normative sull’esportazione dei beni culturali mirano a trovare un equilibrio tra la necessità di proteggere questo patrimonio e la legittima circolazione delle opere d’arte e degli oggetti storici.

Le leggi sull’esportazione dei beni culturali sono influenzate da numerosi fattori, tra cui il contesto storico e culturale di ogni paese, le relazioni internazionali, gli obblighi derivanti da trattati internazionali e le pressioni del mercato dell’arte. Ad esempio, paesi con un vasto patrimonio artistico e archeologico, come l’Italia e la Grecia, tendono a essere più restrittivi rispetto all’esportazione, mentre altri paesi, come gli Stati Uniti, hanno normative relativamente più flessibili (basti pensare, per esempio, che negli Stati Uniti i musei pubblici possono vendere le loro opere, naturalmente sotto determinate condizioni, mentre in Italia la pratica del deaccessioning, ovvero l’alienazione di beni da una collezione museale, è vietata ai musei pubblici). Le sanzioni per la violazione delle leggi sull’esportazione, che quasi ovunque è sottoposta al rilascio di un attestato di libera circolazione, ovvero un’autorizzazione che consente al bene di essere esportato, variano da paese a paese e possono includere pene severe, come multe significative e la confisca dei beni esportati illegalmente.

In questo articolo, esploreremo le principali disposizioni legali che regolano l’esportazione dei beni culturali in otto paesi (Italia, Francia, Regno Unito, Germania, Spagna, Grecia, Svizzera e Stati Uniti): per ciascun paese, verranno citate le fonti normative principali e gli articoli di riferimento all’interno delle leggi. Un confronto, dunque, per consentire di comprendere meglio le sfide e le opportunità legate alla protezione e alla circolazione internazionale dei beni culturali.

Giovanni Paolo Pannini, Vedute di Roma antica (1757; olio su tela, 172,1 x 229,9 cm; New York, The Metropolitan Museum of Art)
Giovanni Paolo Pannini, Vedute di Roma antica (1757; olio su tela, 172,1 x 229,9 cm; New York, The Metropolitan Museum of Art)

Italia

L’Italia è universalmente riconosciuta per il suo ricchissimo patrimonio culturale, e la protezione di questo patrimonio è una priorità fondamentale per il nostro paese. Il quadro normativo principale è rappresentato dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (Decreto Legislativo 42/2004), che regola ogni aspetto della tutela, inclusa l’esportazione dei beni culturali. La disciplina in materia è stata riformata di recente (nell’agosto del 2017) ed è regolata dagli articoli 65, 68, 69 e 70 del Codice, che stabiliscono che l’esportazione di beni culturali è soggetta a una rigorosa procedura di autorizzazione. L’articolo stabilisce, intanto, che è vietata l’esportazione di oggetti di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico che appartengono agli enti pubblici o agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti. In particolare, qualsiasi oggetto d’interesse culturale eseguito da un autore non più vivente e che abbia almeno 70 anni di età e un valore di almeno 13.500 euro deve ottenere un’autorizzazione dal Ministero della Cultura per poter uscire dai confini nazionali. Nel caso in cui il proprietario di un bene dichiari un valore inferiore ai 13.500 euro, il bene non è sottoposto al normale iter autorizzativo, ma deve comunque essere presentata all’Ufficio Esportazione della Soprintendenza (l’ente che rilascia l’autorizzazione) un’autocertificazione. La Soprintendenza può fare controlli a campione sulle autocertificazioni.

Il Codice prevede ovviamente che, per determinati beni, l’autorizzazione all’esportazione (che, se concessa, ha una validità di cinque anni) possa essere negata, qualora si ritenga che il bene debba rimanere in Italia per preservarne il valore culturale. Nella valutazione sul rilascio o sul rifiuto dell’autorizzazione, la legge prevede che l’Ufficio Esportazione comunichi la propria decisione “con motivato giudizio, anche sulla base delle segnalazioni ricevute”. Il diniego comporta automaticamente l’avvio del procedimento di dichiarazione di interesse culturale per il bene, che diventa, come si dice in gergo, “notificato”, ovvero sottoposto a vincolo d’interesse culturale: il vincolo comporta il divieto di uscita del bene dai confini nazionali. L’articolo 69 disciplina i ricorsi contro il diniego, mentre l’articolo 70 introduce la possibilità di acquistare il bene da parte dello Stato, qualora venga richiesto un permesso di esportazione per un oggetto di eccezionale valore culturale: l’Ufficio Esportazione può presentare al Ministero della Cultura una proposta di acquisto coattivo, riservandosi la custodia del bene fino alla fine del procedimento. Se il Ministero non vuole procedere all’acquisto, entro sessanta giorni dà comunicazione alla regione in cui si trova il bene, che a sua volta può acquistare l’oggetto. Tuttavia, qualora l’ente pubblico non voglia procedere con l’acquisto, la legge non prevede che il vincolo venga rimosso, dunque il bene non può comunque lasciare il territorio nazionale per essere venduto fuori dai confini italiani. La legge italiana, in sostanza, è orientata a una forte protezione del patrimonio culturale nazionale, con un sistema che pende dalla parte della conservazione interna dei beni piuttosto che verso quella della loro circolazione internazionale.

Francia

Anche in Francia, la tutela del patrimonio culturale è un aspetto cruciale della politica nazionale. La regolamentazione è principalmente contenuta nel Code du Patrimoine, che disciplina in dettaglio l’esportazione dei beni culturali. Si tratta di una materia talmente importante da occupare addirittura i primi articoli del Codice del Patrimonio francese. In particolare, l’articolo L111-2 del Codice del Patrimonio stabilisce che, come in Italia, un oggetto che rivesta un interesse storico, artistico o archeologico non possa uscire dal territorio francese senza un certificato di esportazione rilasciato dall’autorità amministrativa. A differenza dell’Italia, l’autorizzazione alla circolazione non ha una durata limitata nel tempo, ma è permanente, e garantisce, sempre in modo permanente, che il bene non ha carattere di “tesoro nazionale” (l’espressione che in Francia viene utilizzata per indicare un bene d’interesse culturale). Questo però vale solo per gli oggetti che abbiano un’età superiore ai cento anni: per i beni che invece hanno meno di cento anni, il certificato ha una validità di vent’anni.

Il sistema francese prevede che, in caso di bene che presenti il carattere di tesoro nazionale, il Ministero possa bloccare l’esportazione di un bene culturale. Il rifiuto al rilascio del certificato deve essere motivato da una commissione composta da rappresentati dello Stato e personalità qualificate, e presieduta da un membro della giurisdizione amministrativa. Il rifiuto all’esportazione obbliga il proprietario a mantenere l’oggetto nel territorio francese, e l’autorità amministrativa (tipicamente lo Stato), secondo l’articolo L121-1, ha la facoltà di acquistarlo presentando un’offerta d’acquisto che tenga conto dei prezzi praticati sul mercato internazionale. Lo Stato francese, sempre secondo lo stesso articolo, ha tuttavia due mesi di tempo per inviare un’offerta d’acquisto al valore di stima. Trascorso questo termine, in assenza di un’offerta d’acquisto, lo Stato non potrà più rifiutare l’autorizzazione alla libera circolazione. Se l’offerta arriva e il proprietario la rifiuta, il rifiuto al rilascio dell’autorizzazione non decade più in automatico, ma si rinnova, e la procedura di offerta d’acquisto rimane applicabile. Se il proprietario del bene accetta l’acquisto, lo Stato dovrà acquistare l’opera e pagarla entro sei mesi, pena l’annullamento della vendita. Il sistema francese riflette un forte impegno nella preservazione del patrimonio culturale, impedendo la dispersione dei beni culturali più significativi al di fuori dei confini nazionali, ma al contempo, a differenza di quello italiano, offre anche un meccanismo di tutela per il proprietario del bene che, in presenza di un vincolo e senza offerte d’acquisto da parte di un ente pubblico, vedrebbe drasticamente calare le possibilità di vendita del proprio bene, che di conseguenza può andare incontro a una svalutazione anche forte.

Regno Unito

Il Regno Unito, pur adottando una legislazione simile ai paesi dell’Europa continentale, applica un approccio ancora più flessibile e ramificato. Le norme principali sono contenute nell’Export Control Act 2002 e nell’Export of Objects of Cultural Interest (Control) Order 2003. Questi atti stabiliscono che i beni culturali che hanno più di 50 anni e che superano una certa soglia di valore devono ottenere un permesso di esportazione. Il sistema britannico concede una Open General Export Licence (OGEL), che consente agli oggetti sotto una determinata soglia finanziaria di poter uscire in via permanente.

La rilevanza di un bene viene individuata in base ai “Waverley Criteria”, che sono tre: se il bene è strettamente connesso alla storia e alla vita della nazione; se il bene è di eccezionale importanza estetica; se è di eccezionale significato per lo studio di un particolare settore dell’arte o della storia.

Le proposte vengono valutate da un “Expert Adviser” (un esperto del settore) che decide se il bene incontra i Waverley Criteria e deve quindi essere considerato di interesse culturale (e se dunque debba esser negata al bene l’autorizzazione alla circolazione). Nel caso in cui l’Expert Adviser ritenga che il bene sia di interesse culturale, il caso passa al Reviewing Committee on the Export of Works of Art, un comitato indipendente che valuta se un bene culturale destinato all’esportazione debba essere trattenuto nel paese. Se un bene viene considerato di particolare importanza per il patrimonio culturale nazionale, la decisione sull’attestato di libera circolazione può essere ritardata per un periodo di tempo (generalmente tra i quattro e i nove mesi), durante il quale le istituzioni britanniche possono cercare di raccogliere fondi per acquistare l’oggetto, con stima raccomandata dal Reviewing Committee secondo prezzi di mercato. Se non ci sono proposte d’acquisto, di solito l’autorizzazione all’esportazione viene concessa. Se al proprietario perviene una proposta d’acquisto e il proprietario la rifiuta, il Segretario di Stato britannico (ovvero il ministro competente) tiene conto di questo rifiuto: di solito, se viene rifiutata un’offerta di un istituto pubblico (un museo, il National Trust o simili), l’attestato di libera circolazione viene negato. L’offerta d’acquisto può giungere anche da un privato: il rifiuto è tuttavia dirimente solo nel caso in cui il privato, oltre all’offerta d’acquisto, abbia anche sottoscritto un impegno a garantire pubblico accesso al bene. E anche in questo caso, di norma l’autorizzazione non viene concessa. Inoltre di solito l’autorizzazione viene rifiutata anche quando il proprietario indica in anticipo di non voler accettare proposte d’acquisto. Questo sistema di “deferment” è una caratteristica distintiva della normativa britannica e offre una via intermedia tra la protezione e il commercio internazionale dei beni culturali.

Germania

La Germania ha intrapreso di recente una serie di riforme per rafforzare la protezione del suo patrimonio culturale, culminate nell’adozione del Kulturgutschutzgesetz (Legge sulla protezione dei beni culturali) nel 2016. La disciplina dell’esportazione è regolata dagli articoli 21-27 del Kulturgutschutzgesetz, che è basato sui regolamenti dell’Unione Europea (in particolare il 116/2009 relativo all’esportazione dei beni culturali). A differenza di quello che accade nei paesi visti sin qui, la Germania attribuisce per ogni categoria di bene un’età e una soglia di valore minimi: l’autorizzazione è necessaria solo se vengono superati questi limiti. Per esempio, dipinti con più di 75 anni e con valore superiore ai 300mila euro, acquerelli e pastelli sopra i 75 anni e i 100mila euro, stampe, fotografie e incunaboli sopra i 75 anni e sopra i 50mila euro, archivi sopra i 50 anni e i 50mila euro, mezzi di trasporto sopra i 150 anni e i 100mila euro, e così via. Queste soglie possono essere modificate dal governo federale per adeguare la normativa all’andamento del mercato. Le autorizzazioni vengono rilasciate non da un ente dipendente dallo Stato centrale, bensì dal Land (la Germania è uno Stato federale) in cui si trova il bene. L’autorità competente ha dieci giorni di tempo per decidere se rilasciare o meno l’attestato di libera circolazione, e durante questo lasso di tempo può anche decidere se trasferire il caso a un’altra autorità del Land (non c’è infatti obbligo di approvazione della richiesta se viene dimostrato che il bene si trova solo temporaneamente nel territorio tedesco).

Una caratteristica della legge tedesca è la presenza di un registro dei beni culturali di interesse nazionale. Gli oggetti inclusi in questo registro non possono essere esportati senza un permesso speciale, che viene concesso solo in circostanze eccezionali. Il Kulturgutschutzgesetz stabilisce, all’articolo 7, quali beni possono essere iscritti al registro: il criterio, in particolare, è se il bene “è particolarmente significativo per il patrimonio culturale della Germania, di un Land o di una delle sue regioni storiche e crea così l’identità per la cultura tedesca”, oppure se “la sua partenza significherebbe una perdita significativa per il patrimonio culturale tedesco e la sua permanenza nel territorio federale è quindi di eccezionale interesse culturale pubblico”. Se viene concessa l’autorizzazione all’esportazione, il bene viene cancellato dal registro. Se la richiesta viene respinta, si apre una procedura per verificare la possibilità di un acquisto pubblico: in questo caso, è la massima autorità federale che ha competenza nel settore della cultura a informare i Länder. Dopodiché, gli enti pubblici hanno dodici mesi di tempo per proporre un eventuale acquisto, con prezzo determinato da perizie esterne. Se emerge la possibilità di un acquisto, la pubblica amministrazione può presentare un’offerta, a condizione che sia garantito il finanziamento. Una peculiarità della legge tedesca è la valutazione della situazione finanziaria del proprietario del bene: se quest’ultimo infatti riesce a dimostrare di aver presentato la domanda di esportazione a causa di difficoltà economiche, le autorità federali e statali coinvolte si impegneranno a garantire il finanziamento per l’acquisto. Il proprietario può accettare l’offerta entro sei mesi. Se l’acquisto non avviene, è possibile presentare una nuova domanda di esportazione solo cinque anni dopo il rifiuto della domanda precedente.

Spagna

La Spagna ha una lunga tradizione di protezione del proprio patrimonio culturale, sancita dalla Ley 16/1985 del Patrimonio Histórico Español. Questa legge stabilisce che qualsiasi bene culturale che abbia più di 100 anni debba ottenere un permesso di esportazione per poter lasciare il paese. È ad ogni modo vietata l’esportazione di beni dichiarati di interesse culturale, nonché di tutti quei beni che che, per la loro appartenenza al Patrimonio Storico Spagnolo, l’amministrazione dello Stato dichiara espressamente inesportabili a titolo precauzionale fino all’avvio di una pratica per includere il bene in una delle categorie di protezione speciale previste dalle legge.

L’articolo 26 della legge stabilisce che i proprietari di bene di valore storico, artistico, archeologico, scientifico, tecnico o culturale debbano dunque presentare una domanda per il rilascio dell’autorizzazione, e l’amministrazione pubblica deve prendere una decisione entro quattro mesi. A decidere è il direttore generale dei Beni Culturali e delle Belle Arti, sentito il parere della Junta de Calificación, Valoración y Exportación (Commissione di Qualificazione, Valutazione ed Esportazione). La Spagna può concedere una licenza di esportazione permanente, oppure una licenza temporanea “con possibilità di vendita” (della durata di cinque anni, rinnovabili fino a dieci o venti). Inoltre, la legge spagnola, all’articolo 38, prevede che lo Stato possa esercitare il diritto di prelazione sull’acquisto di beni culturali messi in vendita, una misura che consente di mantenere tali beni all’interno del territorio nazionale. L’amministrazione statale può far valere questo diritto entro due mesi. Il prezzo corrisponde al valore dichiarato dal richiedente. L’autorizzazione all’esportazione, tra l’altro, è soggetta a una tassazione progressiva calcolata sulla base del valore dichiarato del bene. La Spagna, simile all’Italia, adotta un approccio molto protettivo nei confronti del proprio patrimonio culturale.

Grecia

In Grecia, l’esportazione dei beni culturali è regolata dalla Legge 3028/2002 sulla Protezione delle Antichità e del Patrimonio Culturale in generale. Questa legge impone restrizioni all’esportazione di beni culturali. L’articolo 34 della Legge 3028/2002 disciplina l’esportazione dei beni culturali, e prevede che ogni oggetto di valore culturale debba ottenere un permesso prima di essere esportato, permesso che viene concesso dal Ministro della Cultura sentito il parere di un’apposita commissione, che deve prendere una decisione entro quattro mesi (sei in casi eccezionali) dalla presentazione della domanda. L’esportazione è consentita per le opere legalmente importante in territorio greco non meno di cinquant’anni prima della presentazione della domanda, purché non siano stati prima esportati dai confini nazionali.

Se viene negata l’autorizzazione, il proprietario del bene può cedere l’oggetto allo Stato greco, al prezzo stabilito da un apposito comitato di tre membri composto da esperti della materia. Se il proprietario non accetta il prezzo determinato dal comitato, la valutazione viene demandata a un ulteriore comitato composto da un esperto individuato dal proprietario, un capo di un’unità di servizio del Ministero della Cultura o un direttore del museo nominato dal Ministro della Cultura e un esperto nominato dal Presidente della Repubblica.

Svizzera

La Svizzera, storicamente un importante snodo per il commercio internazionale di opere d’arte, ha implementato una legislazione più severa con l’adozione della Legge federale sul trasferimento internazionale dei beni culturali nel 2005. Secondo la legge, ogni bene di valore culturale deve ottenere un permesso di esportazione. Se un bene è ritenuto d’importanza significativa, l’esportazione definitiva dalla Svizzera è vietata.

Un aspetto significativo della legislazione svizzera è l’obbligo, per tutti coloro che fanno transitare beni culturali attraverso il paese, di inviare una dichiarazione alla dogana e indicare il tipo di bene culturale, il luogo di produzione (o di ritrovamento, se bene archeologico), se l’esportazione del bene culturale da un altro Stato è soggetta ad autorizzazione secondo le leggi dello Stato d’arrivo. Questo rende il mercato dell’arte svizzero più trasparente e permette alle autorità di monitorare meglio i movimenti dei beni culturali. La legge rappresenta un compromesso tra la necessità di proteggere il patrimonio culturale e l’importanza della Svizzera come hub commerciale, bilanciando le esigenze della protezione culturale e del contrasto al fenomeno delle esportazioni illecite con quelle del libero mercato.

Stati Uniti

Negli Stati Uniti, la normativa sull’esportazione dei beni culturali è meno centralizzata rispetto a quella dei paesi europei, poiché gran parte della regolamentazione è delegata a leggi statali e non federali, e soprattutto è molto meno stringente perché, a differenza di tutti i paesi visti sinora, gli USA non sottopongono l’esportazione di beni culturali al rilascio di autorizzazioni.

Esistono però leggi volte a regolamentare i traffici illeciti. Una delle principali normative è la Convention on Cultural Property Implementation Act (CPIA) del 1983, che adotta la Convenzione UNESCO del 1970 sui mezzi per vietare e prevenire l’importazione, l’esportazione e il trasferimento illecito di proprietà culturale. La CPIA consente al governo degli Stati Uniti di imporre restrizioni all’importazione di beni culturali specifici da paesi che hanno stipulato accordi bilaterali con gli Stati Uniti o che sono soggetti a restrizioni d’emergenza. Tuttavia, la legge non prevede restrizioni specifiche per l’esportazione di beni culturali dagli Stati Uniti, riflettendo un approccio molto più orientato al mercato di quello dei paesi europei.

Un’altra legge rilevante è la National Stolen Property Act (NSPA), che prevede sanzioni per il traffico di beni rubati, inclusi beni culturali, se vengono trasportati attraverso i confini statali o nazionali. Questa legge viene spesso utilizzata per perseguire individui coinvolti nel commercio illecito di opere d’arte rubate. Per quanto riguarda l’esportazione, il sistema statunitense è decisamente liberale e privo di particolari restrizioni. Tuttavia, ci sono eccezioni per i beni culturali che ricadono sotto specifiche normative o accordi internazionali. Ad esempio, i manufatti archeologici provenienti da alcuni paesi (come l’Italia) possono essere soggetti a restrizioni se questi paesi hanno accordi bilaterali con gli Stati Uniti.


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