Telemaco Signorini (Firenze, 1835 – 1901) è stato un pittore italiano che fece parte del gruppo dei Macchiaioli, dimostrandosi anche uno dei più ferventi teorici del movimento. Inizialmente gli venne attribuito dai giornali il termine “macchiajuolo” in senso dispregiativo. La sensibilità del pittore lo portò a presentare, in alcune tele, situazioni di disagio sociale che destarono grande scalpore all’epoca e che hanno contribuito ad accrescerne in seguito la fama.
Signorini, esponente di spicco dei macchiaioli, fu anche uno dei più aperti e sensibili pittori del gruppo, e durante la sua carriera ricevette critiche ma anche numerosi elogi. In occasione della sua partecipazione alla Biennale di Venezia del 1898, il grande critico d’arte Vittorio Pica scriveva di lui: “Non credo che vi sia stato in Italia, in questa metà di secolo, altro artista che abbia combattuto il tradizionalismo accademico, il convenzionale insegnamento ufficiale e le bottegaie abilità dell’arte leziosa e piacente con maggiore costanza, con più completo disinteresse, con più vivace arditezza di Telemaco Signorini. L’intera esistenza di questo valoroso pittore ed acquafortista toscano, il quale serba ancora, malgrado i suoi sessantatré anni, tutta la baldanza battagliera degli anni giovanili, non è stata infatti che un’assidua aspirazione verso i nuovi orizzonti schiusi alla pittura dell’età moderna, ed una lotta fierissima contro ogni sorta di reazionari dell’arte, per avere ragione sui quali la penna disinvolta ed arguta e la lingua fiorentinamente mordace gli sono spesso servite non meno del pennello sapiente e sagace”.
Telemaco Signorini nacque a Firenze il 18 agosto del 1835 da Giovanni e Giustina Santoni. Il padre era uno stimato pittore che lavorava alla corte del granduca di Toscana Leopoldo II, e volle a sua volta indirizzare il figlio Telemaco verso gli studi artistici. Nel 1852 Signorini si iscrisse all’Accademia delle belle arti di Firenze, ma presto manifestò un chiaro rifiuto verso la rigida formazione dell’istituto. Lasciò così l’Accademia nel 1856 ed iniziò ad esercitarsi nella pittura di paesaggio all’aperto, insieme ad altri artisti tra i quali si ricordano Odoardo Borrani e Vincenzo Cabianca. Già dall’anno precedente, il 1855, un ventenne Signorini aveva iniziato a frequentare il Caffè Michelangiolo, vivace punto di ritrovo artistico e letterario dove era solito incontrarsi un gruppo di artisti accomunati proprio dall’insofferenza verso i dettami accademici, che poi si uniranno sotto il nome di Macchiaioli. Signorini, per sua natura, aveva una capacità dialettica e di dibattito molto spiccata, pertanto si lanciava spesso e volentieri in discussioni articolate con i colleghi. Non a caso è considerato uno dei teorici della “macchia”. Nel frattempo, aveva viaggiato diverse volte lungo il nord Italia, alla ricerca di nuovi stimoli per riuscire a raggiungere il giusto equilibrio nel contrasto tra luci ed ombre dei suoi dipinti. In particolare fu un soggiorno nelle cinque terre in Liguria a risultargli di grande ispirazione per la sua vicenda artistica.
Come altri pittori suoi contemporanei, anche Signorini si arruolò e partecipò alla seconda guerra di Indipendenza nel 1859. Questo accadeva in quanto gli anni del Risorgimento, tra la prima e la seconda metà dell’Ottocento, furono caratterizzati da importanti fermenti rivoluzionari e, di conseguenza, da conflitti bellici scoppiati lungo il territorio italiano, fino alla proclamazione nel 1861 dell’Unità d’Italia. Al ritorno dall’impegno militare, l’artista realizzò diversi dipinti proprio sul tema della vita sotto le armi che vennero accettati all’Esposizione dell’Accademia di Firenze ed ebbero molto successo tra il pubblico.
Nello stesso periodo, tuttavia, le sue opere di paesaggio frutto della ricerca compiuta durante il soggiorno in Liguria (leggi qui un approfondimento su Signorini a Riomaggiore) vennero aspramente criticate. In un suo scritto si legge testualmente: “Al mio ritorno in Firenze, ebbi i miei primi lavori rigettati dalla nostra Promotrice (Accademia di Belle Arti in Firenze) per eccessiva violenza di chiaroscuro e fui attaccato dai giornali come macchiajuolo”. I giornali intendevano usare il termine “macchiaiolo” in senso dispregiativo, ma Signorini fu intrigato dal termine e propose al gruppo di artisti di utilizzarlo come nome del loro movimento. Nel 1861 Signorini fece un viaggio a Parigi insieme ad altri amici artisti, e qui entrò in contatto con Jean-Baptiste Camille Corot e Constant Troyon, restando infine estasiato dal realismo di Gustave Courbet. Al ritorno in Italia diede vita, insieme a Silvestro Lega ed Odoardo Borrani, alla “Scuola di Pergentina”, così chiamata dal nome della località toscana dove il gruppo di artisti si recava per dedicarsi alla pittura en plen air. In tarda età tornò nuovamente a Parigi ed entrò in contatto con gli Impressionisti, restando affascinato dalla loro pittura. Continuò inoltre a viaggiare molto, tra l’Inghilterra, la Scozia e Napoli, alla ricerca costante di paesaggi che potessero infondere nuova linfa vitale alla sua arte.
Nel 1883 venne contattato dall’Accademia di Firenze per insegnare, ma Signorini rifiutò categoricamente, continuando fino in fondo a volersi distaccare dai dettami tradizionali. Parallelamente all’attività artistica, Signorini dimostrò anche di possedere una spiccata vena letteraria che lo accompagnò negli anni, infatti divenne anche un apprezzato scrittore di saggi. La sua opera più famosa è Caricaturisti e caricaturati del Caffè Michelangiolo, pubblicato nel 1893. Inoltre, per circa un anno aveva fondato e curato “Il Gazzettino delle Arti e del disegno”. Nonostante una vita densa di viaggi in Europa, Signorini non lasciò mai Firenze dove, infine, morì il 16 febbraio del 1901.
I Macchiaioli, gruppo di artisti formatosi a Firenze nella seconda metà degli anni Cinquanta dell’Ottocento, proposero un netto rifiuto dell’arte tradizionale, basata sull’importanza del disegno, per potersi concentrare maggiormente sul colore. Il nome del gruppo deriva proprio dall’utilizzo delle “macchie”, ovvero larghe campiture di colore con le quali gli artisti componevano l’immagine, accostate tra di loro in dimensioni più piccole o più grandi ricreando gli effetti di luce ed ombra desiderati senza necessità di sfumare o di ricorrere al chiaroscuro. Alla base di questa teoria c’è l’idea che sulla tela bisognasse riportare la realtà esattamente come il nostro occhio la percepisce, ed effettivamente i colori risultano la prima cosa che il nostro sguardo nota.
Una delle prime opere note di Signorini risale al 1859 e si intitola Il merciaio di La Spezia. Vi è raffigurato uno scorcio della città ligure, imprimendo dunque sulla tela l’esperienza di viaggio che l’artista aveva fatto in quelle terre. Si tratta del primo caso in cui la macchia viene applicata su un dipinto non di tema storico, bensì in una scena quotidiana: qui viene infatti descritto l’arrivo del merciaio nella piazza principale, circondato da donne in costumi tipici e bambini festanti. È di poco successiva l’opera Il quartiere degli israeliti a Venezia (1860), perduta ma di cui rimane un bozzetto, risulta importante insieme alla precedente in quanto entrambe vennero molto criticate, da un lato per il tema giudicato non meritevole di essere dipinto (in particolare Il quartiere degli israeliti raffigura una zona degradata di Venezia) e in secondo luogo proprio per la tecnica della macchia, che venne considerata incomprensibile dal pubblico. In questa fase, Signorini utilizza diffusamente il contrasto tra macchie di colore chiare e scure, che abbina in modo piuttosto netto.
Già nel 1861 iniziano a farsi strada nelle sue opere accostamenti di macchie più morbide e più luminose, integrando maggiormente la luce nella composizione. Esempio fondamentale di questa risoluzione è Pascoli a Castiglioncello (1861). Signorini era molto sensibile alle tematiche sociali, che presentò in alcune sue opere successive per denunciare ingiustizie e soprusi e suscitare riflessioni nel pubblico. La prima opera in tal senso è la celebre L’Alzaia (1864), una scena di realismo vivido in cui un gruppo di braccianti trascina una chiatta lungo il fiume Arno di Firenze (leggi qui un approfondimento sull’opera). Signorini riesce a rendere tutta la fatica compiuta dai braccianti attraverso diversi espedienti, ad esempio si notano le corde che premono sulle spalle dei soggetti che sono raffigurati chini, mentre alcuni di loro si asciugano il sudore, lasciando percepire il duro lavoro che stanno compiendo. La sensazione di affaticamento viene rafforzata da ulteriori dettagli, come i pantaloni e le maniche dei vestiti arrotolati, oppure le gambe che sprofondano nel terreno. Il messaggio di denuncia viene affidato alla presenza di due persone ritratte con vestiti borghesi, un signore ed una bambina (probabilmente padre e figlia) che vanno avanti per la loro strada ignorando completamente i braccianti, a dimostrare come la borghesia sfrutti i lavoratori che devono operare in condizioni ai limiti del disumano, pur di raggiungere i loro interessi. Il realismo della scena viene infine affidato ad una tavolozza di colori che spazia tra l’azzurro, il verde ed il marrone, ovvero i colori della terra.
Un altro dipinto importante per la tematica trattata è senza dubbio La sala delle agitate nell’ospizio di San Bonifacio (1865). Non era molto usuale per i pittori dell’epoca trattare un tema così divisivo come la malattia mentale ed i manicomi, e di sicuro questo non era mai stato rappresentato con una tale crudezza priva di sentimentalismi. Nel dipinto si notano, sulla sinistra, le ospiti dell’istituto (le “agitate” del titolo) che sono tutte insieme in uno stanzone spoglio. Una di loro inveisce contro un nemico invisibile, un’altra è raggomitolata sotto il tavolo, un’altra ancora vaga confusa per la stanza. I toni cromatici sono tutti sul bianco e sul marrone, passando dalla luminosità nella parte alta ad una progressiva oscurità man mano che ci si avvicina al gruppo delle figure, che sembrano più simili ad ombre che a persone. Oggettivando la situazione e “fotografandola”, Signorini intendeva dimostrare che realtà come questa esistono e sono molto più vicine di quanto si pensi.
Nell’arco della produzione di Signorini non mancano, ad ogni modo, scorci di paesaggi che si inseriscono negli studi e nelle sperimentazioni sulla pittura all’aria aperta, tra cui Via Torta, Firenze (1870) Piazzetta di Settignano (1880) e Sulle colline a Settignano (1885), in cui le scene sono decisamente serene e trasmettono tranquillità. Infine, l’artista torna a trattare il tema delle condizioni di vita dei più umili in altre due opere più tarde, Bagno penale a Portoferraio (1893-94) e La toeletta del mattino (1898). Nella prima, vengono mostrate le condizioni di un gruppo di carcerati, visitati da due funzionari. Nel dipinto aleggia una sensazione di inquietudine, dovuta alla netta differenza tra i contorni poco definiti dello sfondo e da quelli più marcati dei detenuti. La seconda opera è una delle più complesse di Signorini, e presenta un soggetto molto controverso per l’epoca. Proprio per via del tema, Signorini non volle mai esporre quest’opera, ma la tenne nel suo studio, pertanto venne scoperta dopo la sua morte. Queste due opere, insieme a La sala delle agitate nell’ospizio di San Bonifacio, costituiscono a tutti gli effetti un “trittico” naturalista che mette in risalto i ruoli più umili e considerati “infimi” della società.
I dipinti di Telemaco Signorini si trovano per la gran parte in Italia. È stato un pittore molto prolifico e sue opere si possono incontrare in diverse raccolte. Tra i musei che ospitano nuclei significativi di opere di Signorini è possibile citare la Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze, dove s’incontrano numerose opere dell’artista. Altri dipinti sono conservati alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, alle Raccolte Frugone di Genova, alla Galleria d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro di Venezia, al Museo Civico Giovanni Fattori di Livorno, all’Istituto Matteucci di Viareggio, alla Fondazione Bano di Padova, nella collezione della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze.
Diverse opere di Signorini si trovano inoltre presso botteghe di antiquari e alcuni capolavori sono conservati presso collezioni private. Ricordiamo tra questi Il merciaio de La Spezia (1859), Il quartiere degli israeliti a Venezia (1860), Pascoli a Castiglioncello (1861) - che si trova a Montecatini Terme, L’Alzaia (1864), Sulle colline a Settignano (1885) e infine La toeletta del mattino (1898).
La tua lettura settimanale su tutto il mondo dell'arte
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER