di
Federico Giannini, Ilaria Baratta
, scritto il 14/08/2021
Categorie: Opere e artisti / Argomenti: Liguria - Cinque Terre - Riomaggiore - Telemaco Signorini - Macchiaioli - Ottocento
Telemaco Signorini scoprì il borgo di Riomaggiore nel 1860: l'artista trovò un paese isolato e “renitente alla civiltà”. Ma se ne innamorò, vi tornò poi a più riprese e contribuì, coi suoi dipinti, a farlo scoprire al mondo.
Telemaco Signorini (Firenze, 1835 - 1901) scoprì Riomaggiore quasi per caso. All’epoca, la prima delle Cinque Terre era un borgo di contadini difficilissimo da raggiungere: ci si arrivava soltanto per barca, oppure a piedi attraverso le strade e i sentieri che corrono lungo la penisola di Porto Venere. Era il 1860, Signorini aveva venticinque anni e stava soggiornando alla Spezia per scoprire i borghi del Golfo dei Poeti assieme a due suoi amici e colleghi, Cristiano Banti (Santa Croce sull’Arno, 1824 - Montemurlo, 1904) e Vincenzo Cabianca (Verona, 1827 - Roma, 1902). Nei suoi Diari, che sono stati pubblicati la prima volta nel 1911 per iniziativa del fratello Paolo, poi in una lussuosa edizione del 1942 e quindi di nuovo nel 2020 in un bel volume di Töpffer Edizioni, Signorini racconta che una mattina d’estate il gruppo incontrò, al mercato della Spezia, alcune “donne in un costume stranissimo e sommamente pittorico”. Chiesero di dove fossero e scoprirono che erano di Biassa, un borgo che sta esattamente a metà tra La Spezia e Riomaggiore, e domandarono se potessero seguirle per visitare il loro paese, ma rimasero delusi perché da Biassa il mare non si vedeva. “Se volete avere una bella vista del mare fino a scorgere il fanale di Genova”, suggerì un ragazzo del posto, “girate il forte e arriverete al Santuario di Montenero, di là vedrete tutte le Cinque Terre”. Si fecero così guidare fino al santuario, dove la vista si apre fino alla punta del Mesco, con Riomaggiore appena sotto: ecco come Signorini scoprì il borgo dove poi sarebbe tornato più e più volte.
Arrivati al santuario, i tre, mossi dal desiderio di visitare in modo ancor più approfondito quei luoghi, non si fecero spaventare dalla ripida discesa che conduceva al borgo né dalla calura estiva (“Il sole non ci abbruciava più. La strada, percorsa d’un fiato, tutta a scale, ci sembrava più piana di un viale delle cascine”) e, “sotto un sole tropicale”, si spinsero fino a Riomaggiore. Il primo impatto però non fu dei migliori: Signorini, Banti e Cabianca si scontrarono subito con la diffidenza dei riomaggioresi. “I primi tre corsari Achei che secoli indietro scesero fra queste scogliere e vi piantarono Riomaggiore”, racconta ancora il grande pittore macchiaiolo nei suoi diari, “non dovevano avere spaventato più di noi i pochi pastori erranti che vi trovarono, di quello che si spaventassero alle nostre domande i primi abitanti ai quali ci indirizzammo. Così che, affranti dalla sete e dalla fame, sostenuti solo dal grande entusiasmo dell’arte, davanti a così straordinaria natura, non si ebbe neppure il refrigerio di un bicchier d’acqua, né d’un morso di pane”. E il borgo si presentò ai tre pittori tutt’altro che accogliente, con gli abitanti più simili ad animali che a esseri umani, con le loro abitazioni che agli occhi di Signorini diventano delle tane più che delle case. Ma una volta giunti alla marina, le sensazioni cambiarono drasticamente: “Il Rio, che giù dalla valle precipitando al mare percorre il paese, era bordeggiato allora, più che da case, da orride spelonche dalle quali pioveva nel Rio ogni sorta di sozzura. Il puzzo dell’escremento umano soffocante. Non una bottega, non un abitante che alla nostra vista non si rintanasse. E noi, tra quelle nere e sozze tane, tra quel precipizio di volte e di scale puzzolenti, scendemmo dalla stretta gola dello scalo, alla marina. E là si ebbe il risveglio il più voluttuoso di tutti i nostri sensi. La nostra vista, uscita dalle tenebre, spaziò negli infiniti azzurri di quelle profondità smeraldine. L’olfatto si inebriò di quel salso e penetrante odore marino. L’udito gioì del suono solenne dell’onda vittoriosa, che, col suo movimento ritmico, flagellava indomite le rocce dirupate e strappava di bocca al Rio, che ci si precipitava, le umane immondizie, purificandole e sperdendole nell’infinito suo seno eternamente sano e pluito. Calmato il nostro entusiasmo, era forza pensare al ritorno; e allora, sotto lo stesso torrido sole, si impresse l’ascensione del Santuario di Montenero, e di là a Biassa; poi, per le fresche valli d’ulivi, ritornammo a Spezia”.
Fu però solo a partire dal 1881 che Signorini cominciò a tornare a Riomaggiore con una certa frequenza. Decisiva era stata la costruzione della ferrovia che collegava La Spezia a Sestri Levante, aperta al traffico dei passeggeri nel 1874: la strada ferrata, bucando i promontori a picco sulla costa, aveva di fatto rimosso i borghi delle Cinque Terre dal loro plurisecolare isolamento. Era diventato dunque più facile raggiungerli, e in più l’artista, con l’arrivo della modernità anche in questo lembo di Liguria, nutriva la “speranza di trovar questo paese meno renitente alla civiltà”. Si mise così in contatto con il pittore genovese Niccolò Barabino (Sampierdarena, 1832 - Firenze, 1891), che a sua volta lo raccomandò allo spezzino Agostino Fossati (La Spezia, 1830 - 1904), il quale fu la nuova guida di Signorini a Riomaggiore. Ecco dunque il nuovo incontro col borgo: le condizioni erano migliori rispetto a quelle di vent’anni prima, eppure “il paese”, leggiamo ancora nei diari, “era allora mille volte più selvaggio di quello che lo sia oggi”. Per capire cosa Signorini intendesse per “selvaggio”, nei diari si possono trovare alcuni episodi che lo lasciarono sconvolto: un gruppo di ragazzi che prende a sassate un cane perché animale mai visto prima (a Riomaggiore c’era e c’è ancor oggi abbondanza di gatti, mentre i cani, poco adatti alla vita nel borgo aspro, erano una presenza rarissima). Una donna che lava la faccia della propria bambina con lo sputo. L’impossibilità di trovare facce pulite, pesce o carne, una levatrice, un medico. A Riomaggiore, gli uomini lavoravano per lo più nelle vigne aggrappate alle scogliere o nei brevi tratti di campagna (ironicamente detti “i Cian”, anche se in questi “piani”, racconta Signorini, era impossibile far quattro passi in orizzontale): da qui si produceva vino destinato per lo più all’esportazione. Le donne aiutavano gli uomini nei campi oppure se ne stavano in paese, “sdraiate per terra come per la strada”, a far la calza o a dir male del prossimo. Alle bambine spettava il compito di portare cesti e secchi d’acqua dove fosse necessario.
I primi dipinti di Riomaggiore risalgono a questo primo soggiorno (Signorini aveva preso casa presso un legnaiolo del paese), anche se la stragrande maggioranza rimonta ai viaggi degli anni Novanta (e sempre tenendo in considerazione che diversi dipinti sono di difficile datazione). Si tratta, per lo più, di vedute del borgo e della costa. Una di queste, particolarmente nota in quanto preceduta anche da due disegni preparatori, uno dei quali risalente all’agosto del 1881, è una veduta del borgo da via San Giacomo, la stradina che costeggia il lato sinistro della marina e che è ancor oggi il punto di massima concentrazione dei turisti che vogliono portare a casa un ricordo in immagini della loro vacanza a Riomaggiore. Risale probabilmente al soggiorno del 1881 anche una Veduta dalla costa di Riomaggiore, della Collezione d’Arte della Banca d’Italia, caratterizzata dai toni cupi in controluce e dal forte contrasto tra la massa scura della costa e dai toni più chiari del mare e del cielo. Un’opera, ha scritto lo studioso Angelo Del Guercio, segnata dal “rapporto equilibrato tra esattezza concreta della rappresentazione, libertà estrema nell’elaborazione della struttura compositiva dell’opera e suggestione psicologica”, ovvero l’insieme che rende grande e caratteristica la pittura di Telemaco Signorini.
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Telemaco Signorini, Veduta di Riomaggiore (1870-1880 circa; olio su tela, 23,5 x 36 cm; Collezione Privata)
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Telemaco Signorini, Veduta dalla costa di Riomaggiore (1870-1880 circa; olio su cartoncino, 13 x 19 cm; Roma, Banca d’Italia)
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Riomaggiore oggi, dal santuario di Montenero. Foto Daviboz
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Riomaggiore oggi. Foto Finestre sull’Arte
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La marina di Riomaggiore oggi. Foto Luca Casartelli
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Trascorsero altri dieci anni prima che Signorini tornasse a Riomaggiore, ma dal 1892 fino al 1899 i soggiorni alle Cinque Terre cominciarono a succedersi con cadenza annuale. A Riomaggiore, l’artista aveva trovato l’atmosfera che cercava: lontano dalle costrizioni dell’accademia e dalla pittura di storia e, come tutti i macchiaioli, interessato alla pittura dal vero, Signorini, al pari di molti suoi colleghi, in quegli anni andava cercando nuovi soggetti da ritrarre en plein air, possibilmente mai affrontati prima da altri. E forse non è esagerato dire che le Cinque Terre oggi sono una delle località di mare più note del mondo grazie anche al contributo di Signorini, che fu il primo a dare sistematica dignità artistica a questi luoghi, alla ricerca di brani di Liguria che non fossero già ampiamente noti, come lo erano all’epoca le più frequentate Lerici e Porto Venere, “scoperte” a inizio Ottocento dai grandi viaggiatori stranieri, da Percy Bysshe Shelley a William Turner, da Camille Corot a George Gordon Byron, da Carl Blechen a Johann Schilbach. Il fatto che gli artisti siano arrivati più tardi a Riomaggiore e alle Cinque Terre è semplice da spiegare: fino alla costruzione della ferrovia, raggiungere queste località era un’impresa ardua. Lo stesso Signorini ci arrivò, come visto, grazie alle indicazioni della gente del luogo: fino a prima degli anni Settanta dell’Ottocento, avventurarsi da queste parti senza guide locali era impensabile. E di conseguenza le Cinque Terre erano sconosciute ai più. “Telemaco Signorini”, ha scritto la studiosa Marzia Ratti nell’introduzione al volume di Töpffer Edizioni, “è il primo a restituirci un grande affresco della vita di Riomaggiore, colto attraverso i volti delle donne e dei bambini, le scene delle attività domestiche, della pesca, degli ozi estivi, gli affacci sul mare e gli scorci delle vie, un insieme che si distingue moltissimo, proprio in ragione del suo carattere di repertorio antropologico, dalla rappresentazione più usuale dei paesi, vedutistica e descrittiva, quale prende campo nello stesso torno di tempo a fini conoscitivi e turistici, sull’onda della nascente iconografia delle riviere”.
È lo stesso Signorini a spiegare nei suoi diari cosa lo attraesse di Riomaggiore: intanto, la necessità di misurarsi con un mare “più vasto” di quello del Golfo dei Poeti. Un mare aperto che non poteva però essere quello del litorale toscano, perché in Toscana la gran parte della costa è fatta di grandi spiagge sabbiose spalancate sulla distesa azzurra, mentre nella Liguria di Levante il mare aperto si scopre uscendo dalle “strette gole dei monti, dove un paese come questo è piantato perpendicolarmente su dirupate scogliere”. Era questo sensazionale effetto pittorico l’aspetto di Riomaggiore che più attirava Signorini: la “prepotenza visiva”, ha scritto la studiosa Silvia Regonelli, “legata a una costa frastagliata e ai piccoli paesi arroccati sui promontori, dai cui stretti vicoli la vista dell’acqua apriva i polmoni all’aria salmastra e gli occhi alla luce improvvisa”. Lo si comprende bene, per esempio, in un’opera come Tetti a Riomaggiore, dove il borgo è ripreso dall’alto, probabilmente dalla piazzetta che si apre davanti alla chiesa di San Giovanni Battista, e la vista si apre fino a raggiungere il mare. Uno scorcio di mare simile è quello che si vede in una delle opere liguri più note di Signorini, la Vegetazione a Riomaggiore oggi conservata presso le Raccolte Frugone di Genova, un dipinto che Signorini portò anche alla Biennale di Venezia del 1897: un vero manifesto del divisionismo dove le foglie illuminate dal sole pomeridiano sono rese con macchie di diverse sfumature di verde che prendono possesso della piccola terrazza ricoperta di terra battuta, mentre più sotto le case in pietra del borgo incorniciano l’azzurro del mare, costruito con pennellate più larghe. Ma non solo: il dipinto affascina anche per il punto di vista ardito, con il pittore che si posiziona in cima a una scarpata per comunicare al riguardante la forte sensazione di verticalità che contraddistingue questa parte della Liguria.
La mole di disegni e dipinti che Signorini produsse a Riomaggiore è piuttosto ampia e può essere divisa in due grandi gruppi: le vedute del borgo e della costa da una parte, e dall’altra le opere che descrivono la vita in paese, soffermandosi sulle attività degli abitanti (colti al lavoro oppure in momenti di riposo), e che includono anche numerosi ritratti, la maggior parte dei quali disegnata a matita. Ne consegue che quella di Telemaco Signorini, spiega ancora Marzia Ratti, “non è solo una pittura di paesaggio, ma osservazione scrupolosa e curiosa di tutto l’ambiente naturale e sociale di Riomaggiore, nel cui metodo si riconosce la matrice del naturalismo scientifico in auge in Francia proprio negli stessi decenni”. E Signorini, cresciuto in una Firenze dove la cultura francese era ben nota (lui stesso era lettore di Proudhon e aveva viaggiato tra Francia e Inghilterra), era un attento indagatore della realtà, fautore di una pittura di macchia attraversata da una spiccata estetica naturalista. Tra le vedute del borgo si distingue, oltre a quelle in cui Riomaggiore viene colto dal Santuario di Montenero, meta di frequenti escursioni, un’altra panoramica da via San Giacomo, conservata in collezione privata. “Lo sguardo del pittore”, scrive Regonelli, “si abbassa quasi al livello della spiaggia, a ricreare un particolare effetto di controluce pomeridiano: l’ombra accompagnata dai variegati riflessi del sole sulla superficie del mare. In questa tela il salire ripido dei rilievi rocciosi mostra le piccole, squadrate case del paese arroccate sull’aspro pendio mentre, in primo piano, un semplice muretto di mattoni divide in due la tela e interrompe, con il suo andamento orizzontale, la salita dell’occhio verso il cielo, una sottile striscia che quasi scompare, in alto”. Non meno interessanti sono gli scorci dell’interno del borgo: uno dei più noti è Il Rio a Riomaggiore, di proprietà della Società di Belle Arti di Viareggio, nel quale le pennellate fluide e terrose compongono una veduta del centro del paese, dove scorre il piccolo torrente che attraversa Riomaggiore e che dà il nome al borgo, stretto tra i caseggiati in pietra che sorgono lungo le sponde attraversate da ponticelli. Stesse tonalità per l’Interno del paese di Riomaggiore, di collezione privata, col quale Signorini ci fa addentrare nei caruggi del borgo marittimo, e per Lo scalo della marina a Riomaggiore, che come i due precedenti è caratterizzato da un taglio verticale, utile al pittore per le vedute con una fuga prospettica profonda, oltre che per dare all’osservatore la percezione di come Riomaggiore sia un borgo che si sviluppi proprio in verticale, data l’asperità del territorio (e da notare come la marina di Riomaggiore oggi non sia granché diversa rispetto a quando la dipingeva Signorini).
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Telemaco Signorini, Tetti a Riomaggiore (1893 circa; olio su tela, 56 x 38 cm; Firenze, Palazzo Pitti, Galleria d’Arte Moderna)
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Telemaco Signorini, Vegetazione ligure a Riomaggiore (1894 circa; olio su tela, 58,2 x 90 cm; Genova, Raccolte Frugone)
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Telemaco Signorini, Veduta di Riomaggiore dal santuario di Montenero (1890 circa; olio su tela, 66 x 11’ cm; Roma, Ambasciata degli Stati Uniti d’America)
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Telemaco Signorini, Riomaggiore (1892-1894; olio su tela, 35 x 51 cm; Collezione privata)
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Telemaco Signorini, Il rio a Riomaggiore (1892-1894; olio su tela, 90,5 x 58,5 cm; Viareggio, Società di Belle Arti)
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Telemaco Signorini, Interno del paese di Riomaggiore (s.d.; olio su tela, 35,5 x 23,5 cm; Collezione privata)
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Telemaco Signorini, Lo scalo della marina a Riomaggiore (1895 circa; olio su tela, 36 x 49,5 cm; Collezione privata)
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L’altro aspetto che favorì il connubio tra Signorini e Riomaggiore fu il rapporto dell’artista con gli abitanti. Nonostante l’iniziale diffidenza, le relazioni tra Signorini e i riomaggioresi furono sempre cordiali: l’artista era privo di qualsiasi pregiudizio nei confronti della gente del posto e dei più umili, amava trattenersi in conversazioni con i paesani, nutriva un affetto vero e partecipe per le persone che incontrava nel borgo. E, a poco a poco, Telemaco Signorini cominciò a conoscere gli abitanti di Riomaggiore e le loro storie, alcune delle quali richiamate anche nei diari. Imparò anche il dialetto, spesso rievocato in alcuni disegni (come quello di una veduta dalla costa sotto il quale l’artista, fiorentino, scrive “O ma”, cioè “Il mare” in spezzino). “Il mezzo più facile per entrare in relazione colla gente del paese”, racconta nelle sue memorie, “è stato per me quello di dipingere o disegnare in mezzo alla strada. Vedendomi, accorrono e cominciano a domandarsi tra loro che cosa faccio, poi a domandarmelo, e tutti, tanto i più quanto i meno dotati a capirci qualcosa, mi fanno la stessa domanda: ’Ma dopo cosa ne fa?’ Se sapessero quanta ironia vi è in questa domanda! ’E poi a casa lo mette a pulito?’ È facile per i più dotati di capir quel che fo guardando dove guardo io, ma per taluni non basta neppur questo e insistono a domandare a chi ne capisce di più: ’Ma cosa fa!’”.
Vasta è la mole di ritratti di abitanti di Riomaggiore che popolano i disegni di Riomaggiore, e in quasi tutti i fogli sono appuntati i loro nomi: c’è Davidin Pecunia, “un bel giovanetto d’un aspetto virile come un romano dei tempi d’Augusto, di un tatto squisito e gentile tanto da provare la inutilità della cultura e della educazione quando natura dona un individuo di queste invidiabili qualità”. Ecco poi un ritratto della Gibbina, la donna più vecchia del paese, una delle prime conoscenze che Signorini fa a Riomaggiore: “ella ha novantaquattro anni ed è la mamma, la zia, la nonna e la bisnonna di quasi tutto il paese”. C’è il piccolo Montan, uno dei figli di Pierino Viola il calzolaio, ovvero “lo spirito il più acustico e mordace del paese”. E poi tanti altri nomi: la Nina, la Cecilia di Luigin, Giuseppina Pecunia, la Clelia di Nanni, la Martorò, Pellegro dei Memin, Concettin di Patatin, la fantela (cioè la bimba, la figlia) di Bacciarin, Natalin di Rocca e decine di altri. Sono soprattutto bambini e ragazzini, i più curiosi quando vedevano Signorini all’opera: spesso era l’artista a reclutarli per posare, e racconta divertito di come le ragazzine, ingenuamente, non essendo avvezze a lavorare per gli artisti, chiedessero quanto dovevano all’artista per aver fatto da modelle. E non mancavano, ovviamente, quelli che chiedevano di farsi ritrarre, o i far ritrarre un figlio o una figlia.
Gli abitanti più adulti sono invece protagonisti di molti dipinti che catturano brani di vita nel paese. In Chiacchiere a Riomaggiore donne che attendono al cucito e uomini che riposano dal lavoro stanno a discorrere sereni sugli usci della strada principale: gli uomini rigorosamente da una parte e le donne dall’altra. Si noti come, sul fondo, compaiano due donne che stanno portando delle ceste in testa: era un dettaglio che aveva particolarmente colpito l’artista. Le donne di Riomaggiore erano abituate a portare tutto sulla testa, quasi che non avessero braccia, notava l’artista. “Quest’abitudine fa piantar loro maravigliosamente bene la testa sul collo, il collo sulle spalle. È bellissimo veder queste donne tornare dai Cian e scendere al paese sotto l’ardente sole delle undici d’agosto, con pesantissimi fagotti in testa, o con enormi tronchi di pino, o con fastelli di strame e talvolta con enormi pietre, piantate su due forti gambe dalle polpe sviluppatissime per lo scendere e il salire, non le altrui, ma le proprie scale, perché ogni famiglia è proprietaria della casa che abita e delle scale che percorrono il suo possesso di vigne, alla campagna”. In Riposo a Riomaggiore, altra veduta della via principale del borgo, verso la marina, dove un gruppo di uomini e donne, poggiate le ceste a terra, si concede qualche momento di pausa dal lavoro, mentre il sole illumina le facciate degli edifici. L’opera invece nota come Chiacchiericci a Riomaggiore è un piano ravvicinato su di un gruppo di donne che parlano tra loro, tenendo i bambini in braccio, impegnate in alcuni lavori di maglia, tra i caruggi del paese, con le schiene saldamente appoggiate ai muri in pietra. In un dipinto conservato alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze si vede invece una donna china davanti a casa, sulla marina, impegnata nelle attività domestiche: da notare l’originale costruzione col taglio fortemente verticale e le barche che si pongono tra l’osservatore e la scena quasi a creare una barriera. Si tratta per lo più di opere nelle quali l’artista riversa una “attenzione quasi antropologica” (così Regonelli) che lascia trapelare le letture dei testi di Proudhon: “Signorini”, scrive la studiosa, “descrive il piccolo paese nel suo lento percorso verso la modernità, pur restando, nel cuore, un luogo di spazi modesti e gente semplice, legata a quei ritmi di vita popolare che fin dal principio avevano interessato la ricerca pittorica macchiaiola”. Una sorta di poesia dell’umanità che Signorini dipinge coi colori del mare.
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Telemaco Signorini, Chiacchiere a Riomaggiore (1893 circa; olio su tela, 65 x 110 cm; Collezione privata)
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Telemaco Signorini, Chiacchiericci a Riomaggiore (1892-1894 circa; olio su tela, 66 x 111 cm; Collezione privata)
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Telemaco Signorini, Riposo a Riomaggiore (1892-1894; olio su tela, 64,5 x 44,5 cm; Collezione privata)
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Telemaco Signorini, Riomaggiore (s.d.; olio su tela; Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti)
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Telemaco Signorini, Donne a Riomaggiore (1893; olio su tela, 64,5 x 44,5 cm; Collezione Borgiotti)
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Telemaco Signorini, Bambino a Riomaggiore (s.d.; olio su tela, 35,6 x 50,3 cm; Collezione privata)
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Girumina dei Purin e Adamo
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Il legame tra Telemaco Signorini e Riomaggiore è stato ulteriormente ribadito alla fine del 2019, quando nel municipio del borgo delle Cinque Terre sono stati ritrovati due disegni dell’artista: sono due ritratti di due bambini del paese, identificati dallo stesso artista come “Girumina dei Purin” e “Adamo”, con tutta probabilità figli di quel Pierino Viola che il pittore aveva menzionato nei suoi diari. I due fogli (il primo è datato 1883, dell’altro invece non si conosce la datazione), pubblicati nel 1969, furono donati nel 1974 dagli eredi di Signorini al Comune di Riomaggiore, e dopo qualche tempo andarono tuttavia persi negli archivi del Comune. Tanto che, ha ricordato la sindaca Fabrizia Pecunia all’indomani del ritrovamento, si pensava che il dono di Telemaco Signorini, di cui in paese si vociferava, fosse una sorta di leggenda.
E invece, eccoli di nuovo i disegni, ripubblicati dopo il ritrovamento sempre nel libro di Töpffer Edizioni: una scoperta di grande valore, intanto perché due fogli vanno ad aggiungersi al catalogo dei disegni di Telemaco Signorini, in particolare a quello dei ritratti. E il ritratto, oltre al paesaggio, “fu il centro del suo interesse”, spiega Marzia Ratti, “e le trascrizioni dei nomi e dei soprannomi degli effigiati sono la testimonianza da un lato del suo sguardo oggettivo, ma sono anche il segno del desiderio di fissare la memoria di quei volti per sé, per i legami profondi intessuti con loro, in parallelo all’esperienza di scrivere il diario dei suoi giorni”. E poi, è un ritrovamento di grande rilevanza perché è un tassello della storia di Riomaggiore, oltre che della storia dell’arte dell’Ottocento, che è tornato a far parte del suo mosaico.
Bibliografia di riferimento
- Marzia Ratti (a cura di), Telemaco Signorini. Riomaggiore: i Diari, i Disegni, Töpffer Edizioni, 2020
- Giuliano Matteucci, Fernando Mazzocca, Carlo Sisi, Ettore Spalletti (a cura di), Telemaco Signorini e la pittura in Europa, catalogo della mostra (Padova, Palazzo Zabarella, dal 18 settembre 2009 al 31 gennaio 2010), Marsilio, 2009
- Giuliano Matteucci, Erich Steingräber, Stair Santy Matthiesen (a cura di), The Macchiaioli. Tuscan Painters of the Sunlight, catalogo della mostra (New York, Stair Sainty Matthiesen Gallery, dal 14 marzo al 20 aprile 1984), Matthiesen, 1984
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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta
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