Il Divisionismo è stato un fenomeno pittorico italiano a cavallo tra il penultimo decennio dell’Ottocento e il primo del Novecento, che si inserisce più diffusamente nella corrente internazionale del neo-impressionismo, che seguiva e rinnovava le sperimentazioni tecniche e ricerche dell’Impressionismo. Come in Francia anche in Italia, alla fine del XIX secolo, la conoscenza delle teorie e gli studi scientifici sul colore portarono a procedimenti pittorici rivolti ad aumentarne la sensazione visiva dell’immagine e a superare la pittura storico-naturalistica.
Prendendo come punto di partenza la pratica impressionista di utilizzare il colore spezzato e l’accostamento dei complementari, i neo-impressionisti erano prevalentemente interessati a rappresentare gli effetti della luce e a ottenere la massima luminosità accostando colori puri sulla tela e non mescolati sulla tavolozza, per ottenere la fusione nell’occhio dell’osservatore. Poiché i colori erano utilizzati divisi, questa corrente di pittori italiani è indicata con il termine “divisionismo”.
Analogamente a quanto accadde in Francia con il “pointillisme” (puntillismo o puntinismo), teorizzato e adottato da Georges Seurat (Parigi, 1859 – Gravelines, 1891) e ripreso e diffuso da Paul Signac (Parigi, 1863 – 1935) e seguaci, per cui minuscoli punti di colori scelti e affiancati andavano a fondersi a distanza in un colore dominante, i divisionisti applicarono un metodo compositivo di accostamento a piccoli tratti o filamenti di colore. Per quanto, a differenza dell’esperienza francese che era particolarmente attenta agli aspetti scientifici della tecnica, il divisionismo italiano si caricò di significati simbolici che miravano a produrre corrispondenze tra stati emotivi e forme che parlavano della modernità nell’era dell’industrializzazione.
Con la crescita dei centri urbani e il progresso tecnologico, gli artisti cercarono di catturare il rapporto mutevole delle persone con la città e la campagna, e si rivolsero a soggetti naturalistici e temi sociali, interpretati con sentire specifico da ognuno dei pittori. Il divisionismo si diffuse in più parti d’Italia ma con principale centro artistico a Milano, dove si manifestò ufficialmente nel 1891, quando le prime opere divisioniste vennero esposte alla Prima Triennale di quell’anno che si tenne a Brera. Le teorie divisioniste furono affermate da Gaetano Previati (Ferrara, 1852 – Lavagna, Genova, 1920) in alcuni scritti degli inizi del secolo nuovo, ma la corrente era nata da qualche decennio con opere dello stesso Previati, di Giovanni Segantini (Arco, 15 gennaio 1858 – Schafberg, Svizzera 28 settembre 1899), di Angelo Morbelli (Alessandria, 1853 – Milano, 1919) , Giuseppe Pellizza da Volpedo (Volpedo, 1868 –1907) e Vittore Grubicy de Dragon (Milano, 1851 – 1920), che ne fu l’iniziale animatore, e ai quali si accostò Plinio Nomellini (Livorno, 1866 – Firenze, 1943).
Il 1886 fu una svolta nel mondo dell’arte europea, poiché l’ottava e ultima mostra impressionista segnò anche l’avvento del neoimpressionismo con l’esposizione del dipinto appena completato di Seurat, Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande-Jatte (1884-86), in cui il pittore francese applicava il colore in campi densi di singoli punti, per imitare l’aspetto vibrante della luce naturale. Fu uno dei primi esempi della reazione artistica al movimento impressionista.
Seurat sviluppò uno stile pittorico scientifico avanguardistico che attirò molta attenzione e anche quella del critico d’arte Félix Fénéon, che coniò il termine “neo-impressionismo”. I pittori neoimpressionisti facevano affidamento sull’occhio dello spettatore per fondere i colori che apparivano sulla tela. Le acquisizioni scientifiche ottocentesche suggerivano che la luminosità è un prodotto non oggettivo ma soggettivo, poiché ogni occhio umano riunifica le lunghezze d’onda luminose ricevute dall’esterno attraverso le proprie capacità percettive. Le scoperte avevano dimostrato che la luce non è bianca, ma composta nell’occhio dai sette colori dell’iride. Nel 1890 il neoimpressionismo era diventato un movimento internazionale, adottato da molti artisti europei legati alla teoria del colore e all’uso di piccoli punti o pennellate a tratti. Il divisionismo sorse in seno a queste influenze, incentrato nell’Italia settentrionale. Si diffuse principalmente a Milano come continuazione storica del movimento della Scapigliatura che era sorto in città a partire dagli anni Sessanta e fino alla fine degli anni Settanta dell’Ottocento.
L’artista e critico d’arte Vittore Grubicy de Dragon introdusse il divisionismo agli artisti italiani proprio alla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento e ne diffuse poi le loro opere all’estero, attraverso anche le attività della Galleria Grubicy gestita insieme al fratello Alberto. Aveva trascorso il 1882-1885 nei Paesi Bassi, dove incontrò e fu influenzato dall’artista Anton Mauve, cugino di Vincent Van Gogh e sostenitore delle ricerche neoimpressioniste. Fu alla Prima Triennale di Brera del 1891 che due opere considerate divisioniste ricevettero massima attenzione. Giovanni Segantini espose Le due madri (1889-1890) e Gaetano Previati Maternità (1890-1891), ora considerata l’opera d’esordio del neoimpressionismo italiano e un punto di svolta per l’arte moderna in Italia, visto anche l’impiego dei temi simbolisti e l’influenza che ebbe sull’Art Nouveau e sull’espressionismo italiano. Previati aveva conoscenza della percezione del colore nell’occhio dello spettatore e ne sosteneva la risonanza emotiva e spirituale. Espose le sue teorie pittoriche in diversi scritti: da Memorie sulla tecnica dei dipinti del 1896, a La tecnica della pittura del 1905 e Principi scientifici del divisionismo del 1906, fino al 1913 con Della pittura. Tecnica e arte.
Insieme a lui, Segantini, Pelizza, Morbelli e altri, apprezzati come i maggiori esponenti divisionisti, furono tutti a contratto con la Galleria dei fratelli Grubicy. Come si è detto, Vittore fu uno dei primi teorici e sostenitori della tecnica, promuovendo opere attraverso mostre ed esposizioni nazionali e parigine, come il “Salon des Peintres Divisionnistes Italiens” del 1907, attirando pittori da altre regioni d’Italia, dal Piemonte, la Liguria e la Toscana. Abbandonata l’attività commerciale, si dedicò alla pittura divisionista.
Alle ricerche del gruppo aderirono anche Umberto Boccioni e Giacomo Balla, di cui è esemplare l’opera Giornata dell’operaio del 1904, nel sperimentare modi di scomposizione della luce e della forma prima di approdare al Futurismo. Si può dunque collocare il periodo dei pittori divisionisti nel pre futurismo. In disaccordo con il Realismo pittorico e l’esperienza dei Macchiaioli, che lavorarono da metà Ottocento attraverso la composizione a macchie ed effetti del vero, si sostenne invece la necessità della s-composizione in filamenti di colore per conferire alle opere atmosfera sospesa e impressione di dinamismo.
Segantini sosteneva che l’arte "non ha nulla a che fare con l’imitazione del reale, perché la creazione è possibile solo attraverso la spinta dello spirito e la anima umana”. Così come Previati che scriveva che il “compito dell’artista non è quello di copiare letteralmente tutto ciò che vede, ma è una funzione intellettiva sulle forme e i colori del vero...”. Il divisionismo si incentrò nella rappresentazione del paesaggio e su visioni ispirate alla quotidianità e allo stesso tempo simboliste, quali interpretazioni delle condizioni sociali, riguardanti le idee in alcuni casi politiche dei suoi esponenti. L’opera più famosa e rappresentativa del fenomeno divisionista è di Pelizza, che arrivava da una giovanile esperienza nella Scapigliatura milanese, dal titolo Il Quarto Stato del 1901. Una marcia di lavoratori del proletariato in sciopero, diretti verso la loro emancipazione sociale.
La tecnica della scomposizione cromatica adottata dai divisionisti mirava a creare dipinti luminosi della vita moderna, nei suoi risvolti sognanti e al contempo scottanti, legati al rapporto con la natura e gli animali rispetto alla frenesia cittadina, al lavoro nei campi, e alle condizioni degli stessi lavoratori, rinunciando però alla crudezza del Realismo. Il procedimento pittorico, che prevedeva la rappresentazione della luce quale fondamento della visione, fu innovativo e vide ogni artista affermare una pennellata diversa e il proprio approccio simbolico. Procedimento che secondo Previati, autore di tardi testi teorici, “riproduce le addizioni di luce mediante una separazione metodicamente minuta delle tinte complementari”.
Una caratteristica, favorita dalla commercializzazione dei colori industriali e di pigmenti fino allora sconosciuti, fu l’introduzione del giallo cromo, del verde viridian, del blu cobalto o del viola. In comune tra i pittori vi era una componente sentimentale che si traduceva in una pennellata filamentosa appunto in Previati, più materica in Segantini, attenta al chiaroscuro in Morbelli. In questi maggiori rappresentanti del movimento, la tecnica divisionista fu impiegata sia come strumento per interpretare la realtà sia per elaborare tematiche allegoriche, in rapporto con gli sviluppi del simbolismo europeo.
Grubicy, a differenza degli altri divisionisti, adottò pennellate più definite e corpose, applicando in modo meno rigoroso i dettami scientifici alla base della scomposizione dei colori. I suoi quadri presentano un’illuminazione soffusa e crepuscolare come in Inverno in montagna (1895), questo il titolo che l’artista aveva originariamente dato alla sua opera oggi nota come Poema invernale, parte di un ciclo di tutto otto tele, dipinte tra il 1894 e il 1911 (leggi qui un approfondimento sul ciclo). Grubicy era solito dipingere con una pittura a impasto, dividendo l’immagine in piani e zone di luce e ombra; solo in un secondo momento, in alcuni casi anche dopo anni, tornava sulla prima stesura con una fitta rete di piccole pennellate di colore puro. Gli esiti di questo processo di vera e propria immedesimazione col paesaggio, venivano poi riuniti dall’artista in trittici o polittici, considerati come movimenti di un brano sinfonico o canti di un ampio poema.
Previati, considerato il più lirico e visionario, utilizzò la tecnica divisionista per dare effetto sospeso a rappresentazione di temi di carattere storico (Il Re Sole, 1890-1893) come a vibranti scene rurali (Sul prato, 1889-1890). La Danza delle Ore (1899, leggi qui un approfondimento sull’opera) è uno dei suoi capolavori, tanto per l’alto significato simbolico che per la qualità della sua pittura di pura luce: le dodici Ore della mitologia romana, personificazioni dei diversi momenti della giornata, danzano tenendosi per mano in volo sulla terra mentre il sole inonda di luce dorata l’intera composizione.
In Segantini la luce permea prevalentemente scene di natura incontaminata con uno stile identificativo, colore corposo e larghe inquadrature, come si nota in Alla stanga del 1886 o La mucca all’abbeveratoio del 1887 per esempio, trasformando le teorie divisioniste in visioni, e immedesimandosi completamente nella vita naturale: “Incomincio a tempestare la mia tela di pennellate sottili, secche o grasse, lasciandovi sempre fra una pennellata e l’altra uno spazio, interstizio, che riempio coi colori complementari, possibilmente quando il colore fondamentale è ancora fresco […] Il mescolare i colori nella tavolozza è una strada che conduce verso il nero: più puri saranno i colori che getteremo sulla tela, meglio condurremo il nostro dipinto verso la luce, l’aria, la verità”.
Anche nelle sue opere, come dei colleghi divisionisti, soprattutto nell’ultima fase della sua produzione, è accentuata una componente mistico-simbolica (La vita, 1896-1899) fino a La morte, del Trittico delle Alpi, interrotto dalla sua fine improvvisa nel 1899. Segantini come gli altri dimostrarono che attraverso la rappresentazione della natura e l’aderenza alla vita si potessero illustrare valori universali. Pellizza a sua volta, pur avendo affrontato anche soggetti naturali, fu tra i divisionisti il più convinto assertore dei temi sociali insieme a Angelo Morbelli (noto per opere come Per 80 centesimi, 1895-1897 e Un Natale al Pio Albergo Trivulzio, 1909: leggi qui un approfondimento sulle opere del Pio Albergo Trivulzio).
Presentò alla II Triennale di Brera nel 1894 le sue prime opere divisioniste di ispirazione contadina Speranze deluse e Sul fienile (1893), affermando poi la sua ricerca cromatica nel Quarto stato (1898-1901), il suo dipinto più noto a cui giunse dopo una decennale elaborazione teorica e concettuale. In questa grande tela di oltre 5 metri di lunghezza, intese rappresentare oltre a una scena di protesta sociale, una vera e propria allegoria del popolo che avanza verso un futuro radioso, dove le figure si muovono verso la luce, lasciandosi alle spalle un tramonto. Sarà poi con Il sole nascente (1903-1904) che esploderà la sua visione universale della luce. Comprendendo tutta la gamma dei colori dell’iride sotto forma di lineette, ben descrisse l’effetto sulla vista di un osservatore di fronte ad un’alba.
Anche Nomellini giunse al divisionismo affrontando il tema della luce, come in Sole e brina (1896), contribuendo ad confermare che la tecnica divisionista era un mezzo d’espressività sia stilistica che emotiva.
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