Giuseppe Sammartino, lo scultore del Cristo velato. Vita, opere, stile


Giuseppe Sammartino è uno dei principali scultori del Settecento, noto per il Cristo velato di Napoli. La vita, le opere, lo stile.

Giuseppe Sammartino (Napoli, 1720 – 1793) è considerato uno dei maggiori virtuosi della scultura del Settecento in Italia, noto soprattutto per la scultura del Cristo velato nella cappella di Sansevero di Napoli, che è sempre stata oggetto di interesse per l’abilità e la maestria con cui l’artista è riuscito a replicare la leggerezza del velo attraverso l’utilizzo del marmo. La statua ha avuto moltissima fortuna negli anni, al punto che venne visitata più volte da grandi artisti come Antonio Canova e iniziarono a diffondersi diverse leggende intorno alla reale natura del velo, secondo alcuni troppo sottile per essere davvero di marmo (molti ritenevano, infatti, che si trattasse di un reale tessuto cristallizzato secondo processi esoterici).

Vennero compiute alcune analisi e ricerche mirate per confermare che effettivamente Sammartino aveva realizzato il velo in marmo e lo aveva lavorato in maniera magistrale, così come era stato richiesto dal committente Raimondo di Sangro, principe di Sansevero. Il successo del Cristo velato garantì allo scultore numerose commissioni tra la Campania e la Puglia, nella seconda metà del Settecento. Inoltre, venne chiamato spesso su cantieri di altre opere per la propria competenza e consulenza, affermandosi dunque come artista degno di elevata stima tra i suoi contemporanei.

Giuseppe Sammartino, Cristo velato (1753; marmo, 180 x 80 x 50 cm; Napoli, Cappella Sansevero). Ph. Credit Museo Cappella Sansevero
Giuseppe Sammartino, Cristo velato (1753; marmo, 180 x 80 x 50 cm; Napoli, Cappella Sansevero). Foto Museo Cappella Sansevero

La vita di Giuseppe Sammartino

Non sono molte le notizie certe riguardanti la biografia di Giuseppe Sammartino, sulla cui vita personale non si sa praticamente nulla. In compenso, ci è rimasta una nutrita testimonianza delle numerose commissioni che l’artista napoletano ricevette nel corso della sua carriera. La sua formazione avvenne con probabilità nella bottega dello scultore campano Matteo Bottiglieri, oppure del fratello di questi, Felice Bottiglieri. Quest’ultimo modellò probabilmente alcune statue da presepe, mentre viene citato sicuramente come “ingegnere camerale” presso la Real Camera della Sommaria, in quanto il suo nome risulta in varie commissioni di architetti. Il nome di Matteo Bottiglieri come maestro di Sammartino ricorre per le somiglianze riscontrabili tra il Cristo morto di Bottiglieri (realizzato nel 1724) e la celeberrima scultura del Cristo velato del Sammartino (1753). Di sicuro, Sammartino studiò moltissimo la scultura barocca locale, in particolare Domenico Antonio Vaccaro, ed entrò in contatto con il rococò di Giacomo del Po.

Non vi sono sufficienti notizie circa le opere giovanili dell’artista, in quanto le prime sculture datate risalgono al 1750, dunque quando l’artista aveva già trent’anni.  L’opera più celebre in assoluto, il Cristo velato, è datata già al 1753, quindi l’artista doveva avere trentatré anni (curiosamente la stessa età del soggetto rappresentato). Dopo questo importante lavoro, Sammartino nel 1756 fondò una società insieme a Francesco Pagano, così da dividersi alcune commissioni che riguardavano alcuni impianti scultorei per le chiese di Napoli. Tra queste si ricordano gli Angeli destinati alla porta di accesso all’altare maggiore della Chiesa del Gesù Nuovo, e una Trinità scolpita dai due per la Chiesa del Gesù Vecchio. I due lavorarono insieme fino al 1758.

Spesso, lo scultore venne contattato per fornire una consulenza su opere realizzate da altri, e capitò di frequente che furono proprio altri artisti a coinvolgerlo. Questo accadde con lo scultore di Bologna Agostino Corsini, che contattò Sammartino per una valutazione su due statue di marmo raffiguranti la Fama che dovevano sorreggere lo stemma reale all’ingresso di una cappella della reggia di Portici. Un riconoscimento di questo tipo dimostrava come Sammartino fosse uno scultore non solo molto rinomato ma anche considerato di elevata competenza e degno di stima. Singolare, inoltre, fu il rapporto con l’architetto Luigi Vanvitelli. Egli spesso indiceva bandi per trovare scultori che potessero lavorare ai suoi progetti e più volte aveva ricevuto proposte da parte di Sammartino, ma le aveva scartate totalmente. Del resto Vanvitelli era noto per avere un carattere molto difficile e notoriamente stroncava in modo molto duro i lavori degli scultori. Tuttavia, Vanvitelli non criticò mai apertamente Sammartino come era solito fare con altri, dimostrando di avere una buona stima nei suoi confronti. Non solo, l’architetto volle nominare Sammartino come perito su alcuni lavori e lo presentò come membro dell’Accademia delle Belle Arti.

Nel 1763 lo scultore volle trasferirsi in una zona di Napoli vicina ai suoi fornitori di marmo, precisamente vicino Largo di Mercatello e le Fosse del Grano, e ampliò la sua bottega formando diversi allievi, il più famoso dei quali fu lo scultore napoletano Salvatore di Franco. Alla morte di Luigi Vanvitelli nel 1773 gli successe come architetto reale il figlio Carlo, il quale interruppe la tendenza paterna di coinvolgere solo artisti stranieri. Da quel momento in poi, Sammartino venne inondato di richieste sia di famiglie nobiliari napoletane che della corte borbonica. Sicuramente lo scultore lavorò al restauro del Gigante nel 1778, nel palazzo reale, ma con buone probabilità lavorò anche a diversi stucchi per gli appartamenti della regina, che tuttavia non gli sono attribuiti ufficialmente.

Oltre al grande successo ottenuto a Napoli, lo scultore fu molto presente anche in Puglia. Le commissioni pugliesi trovano spiegazione in quanto provenienti da personalità che già gravitavano a Napoli, e inoltre le province pugliesi erano le più ricche del regno di Napoli. Proprio mentre stava lavorando in Puglia, precisamente a San Severo, Sammartino si ammalò e fece ritorno a Napoli. Morì pochi mesi dopo, il 12 dicembre del 1793, e venne sepolto per sua esplicita richiesta nella chiesa della Concezione de’ Cappuccini, o Sant’Efremo Nuovo, che si trovava nei pressi della sua abitazione.

Giuseppe Sammartino, Verginità (1757; marmo; Napoli, Certosa di San Martino)
Giuseppe Sammartino, Verginità (1757; marmo; Napoli, Certosa di San Martino). Foto di Francesco Bini
Giuseppe Sammartino, Carità (1757; marmo; Napoli, Certosa di San Martino). Foto di Francesco Bini
Giuseppe Sammartino, Carità (1757; marmo; Napoli, Certosa di San Martino). Foto di Francesco Bini

Lo stile e le opere di Giuseppe Sammartino

Le prime opere attribuibili con certezza a Sammartino sono datate al 1750 e si trovano nella cattedrale di Monopoli (Bari), si tratta di una statua raffigurante San Giuseppe e una con San Michele Arcangelo. Dopo questa data, si conoscono due opere a lui attribuite presenti nella chiesa del Divino Amore di Napoli: due ovali di marmo con San Giuseppe col Bambino e la Madonna col Bambino

Nel 1753 Sammartino lavora alla sua opera più importante. Eredita, infatti, la commissione del Cristo velato dallo scultore Antonio Corradini, che era venuto a mancare e che aveva fatto in tempo solo a realizzare un bozzetto in terracotta. La scultura venne commissionata da Raimondo di Sangro, settimo principe di Sansevero, per la cappella Sansevero (leggi qui un approfondimento). Il committente teneva in particolar modo che lo scultore incaricato adempisse ad alcune richieste precise. Chiese anzitutto che la scultura fosse posta tra una serie di simboli esoterici, in quanto egli era “gran maestro” della Massoneria, inoltre desiderava che il corpo del Cristo morto fosse riprodotto a grandezza naturale e coperto da un sudario, reso come fosse un velo trasparente, che doveva essere ricavato dallo stesso blocco di marmo usato per la figura. Sammartino non solo si rivelò all’altezza della richiesta ma riuscì a riportare nel blocco di marmo tutta la sofferenza del Cristo morto, con una capacità fuori dal comune. Ad uno sguardo attento, si possono notare alcuni segni del martirio subito sul volto e sul corpo (peraltro anche gli strumenti utilizzati per le torture risultano scolpiti ai piedi della scultura, ovvero la corona di spine, i chiodi ed una tenaglia). Il corpo giace riverso su un materasso, sotto al quale è posta sul retro di un piedistallo la firma dell’autore. Il dettaglio che più colpisce della scultura è senz’altro la trasparenza e leggerezza del velo di marmo, che per la sua unicità è stato spesso oggetto di speculazioni. Secondo alcune leggende, si trattava di un tessuto calcificato, realizzato mediante una procedura che Sammartino avrebbe appreso proprio dal committente, praticante dell’alchimia. La suddetta tecnica consisteva nell’appoggiare un velo trattato sulla statua, che poi si sarebbe marmorizzato attraverso un processo chimico. In realtà, per quanto la tesi dell’utilizzo di un velo reale fosse affascinante, alcune analisi compiute sulla statua hanno confermato che si tratta a tutti gli effetti di marmo lavorato. Inoltre, esiste una documentazione scritta costituita da ricevute di pagamento rilasciate a Sammartino e lettere scritte da Raimondo di Sangrio dove si cita esplicitamente il velo come fatto di marmo.

La statua ebbe da subito una grande risonanza e fortuna. Si narra che Antonio Canova si recò più volte a vederla e che avesse dichiarato di desiderare di averla realizzata lui. Pare che avesse anche provato più volte ad acquistarla. L’ammirazione per l’opera continua ancora oggi, e tra i vari omaggi celebri che le sono stati dedicati si ricordano la scelta di utilizzare una fotografia della statua come copertina di un Requiem del direttore d’orchestra Riccardo Muti e, in seguito, anche come immagine di rilancio della città di Napoli nell’ambito di una campagna di comunicazione della regione Campania.

Sammartino, dopo il Cristo velato, ottenne numerose ed importanti commissioni. Nel 1757 era a lavoro sulle decorazioni della chiesa della certosa di San Martino per conto di Giustino Nervini, realizzando diversi putti e cherubini, inoltre sempre all’interno della certosa firmò la Verginità (che inizialmente doveva essere l’Amore di dio) e il Premio nella cappella dell’Assunta, mentre nella cappella di San Martino realizzò la Carità e la Fortezza (quest’ultima sostituì la Costanza). Sono state inoltre rinvenute delle ricevute di pagamento datate 1758 relative ad un lavoro per la chiesa dei Santissimi Filippo e Giacomo, ovvero le figure in gesso dei due santi posti all’ingresso. Risalgono poi al 1760 alcune decorazioni per l’altare maggiore della Chiesa della Nunziatella, dapprima convento dei gesuiti, poi in seguito alla loro cacciata la Chiesa venne annessa all’omonima scuola militare.

Celebri inoltre, quasi al pari del Cristo Velato, risultano gli Angeli reggifiaccola posti ai lati della balaustra della chiesa dei Girolamini, datati al 1787. Lo scultore ebbe grande fortuna anche in Puglia, dove si trova per altro il complesso di statue più grande e completo conosciuto dell’artista, precisamente nel cappellone di San Cataldo nella cattedrale di Taranto datato al 1773 (leggi qui un approfondimento). Altre opere pugliesi di Sammartino si trovano alla Cattedrale di Monopoli (1767), a Foggia (dove eseguì decorazioni simili a quelle della chiesa della Nunziatella, sempre nel 1767), a Martina Franca (1769) e a San Severo (1793). Infine, sono presenti lavori di Sammartino anche in Abruzzo, nell’altare maggiore della cattedrale di San Giustino (alcuni non sono tuttavia certi dell’attribuzione, che potrebbe anche essere relativa ad un seguace) e a Cosenza. Di recente, nel 2021, è stata scoperta alla Reggia di Caserta un’opera di Giuseppe Sammartino fino ad allora nota solo dalle fonti scritte, ovvero il ritratto di Carlo Tito di Borbone-Napoli da neonato (leggi qui un approfondimento).

Giuseppe Sammartino, Angeli reggifiaccola (1787; marmo; Napoli, Chiesa dei Girolamini). Foto E. Della Morte
Giuseppe Sammartino, Angeli reggifiaccola (1787; marmo; Napoli, Chiesa dei Girolamini). Foto E. Della Morte
Giuseppe Sammartino, San Francesco d’Assisi (1773; marmo; Taranto, Duomo). Foto Chiese sul Pellegrinaggio
Giuseppe Sammartino, San Francesco d’Assisi (1773; marmo; Taranto, Duomo). Foto Chiese sul Pellegrinaggio

Dove vedere le opere di Sammartino

Le sculture dell’artista napoletano si trovano praticamente tutte in loco, esattamente dove erano state collocate in prima istanza. Dunque, è possibile ammirarle tutte in Italia e più precisamente nelle regioni della Campania e della Puglia. Vi sono anche delle opere conservate in musei, sia italiani che internazionali, ma si tratta di modelli o bozzetti preparatori.

Per quanto riguarda le sculture conservate nella sede originaria nella città di Napoli, si ricordano: il Cristo velato (1753) nella Cappella di Sansevero, le decorazioni scultoree per la certosa di San Martino (1757) le decorazioni nella Chiesa della Nunziatella (1760), gli Angeli reggifiaccola (1787) nella chiesa dei Girolamini. In Puglia, come si è avuto modo di vedere precedentemente i lavori più significativi di San Martino si trovano nella Cattedrale di Taranto (1773), nella Cattedrale di Monopoli (1767), e inoltre a Foggia, Martina Franca (1769) e a San Severo (1793).

I musei che ospitano bozzetti e modelli sono: a Roma la Galleria di Palazzo Barberini, dove si trovano i bozzetti per i Santi Pietro e Paolo per la facciata della Chiesa dei Girolamini e il Museo di Palazzo Venezia,  modello della Religione per la Cappella Regine di Forio d’Ischia e modello del Miracolo del cieco nato; a Vienna si trova il bozzetto per il San Filippo Neri di Taranto Kunsthistorisches Museum; infine a New York, Metropolitan Museum si trova il modello per una statua di San Vincenzo Ferreri.


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