Feudo dei Farnese, terra strettamente legata alla corte pontificia e ai suoi esponenti, zona in cui i grandi artisti del Manierismo lavorarono per diversi potenti signori del Cinquecento: è la Tuscia, l’area del Lazio settentrionale attorno a Viterbo, che nel XVI secolo visse una stagione di grande floridezza artistica, benché a livello politico le sue vicende fossero rimaste ai margini della più grande storia italiana ed europea. All’epoca, la Tuscia, che potremmo far corrispondere grosso modo all’attuale provincia di Viterbo, era sostanzialmente divisa in due parti: la zona al confine con la Toscana era il territorio del Ducato di Castro, lo stato fondato nel 1537, retto dai Farnese e annesso dallo Stato Pontificio nel 1649 dopo la seconda guerra di Castro (che portò alla completa distruzione della splendida capitale, Castro, di cui ora rimangono solo pochi resti nei boschi poco lontani dalla cittadina di Ischia di Castro) e la zona meridionale era invece dominio dello Stato della Chiesa.
Nella Tuscia si trovano alcuni dei capolavori più importanti del Manierismo: qui, alcuni dei principali esponenti di questo movimento, in tutti i generi (dagli architetti come Jacopo Barozzi detto il Vignola ai pittori come gli Zuccari, il Bertoja, Giovanni Baglione passando per gli scultori come Simone Moschino) lavorarono realizzando opere particolarmente illustrative. Con il nostro format di viaggi andiamo alla scoperta di cinque luoghi imperdibili, da visitare in due giorni, per andare alla scoperta del Manierismo nella Tuscia.
Noto anche come “Parco dei Mostri”, fu voluto da Pier Francesco Orsini (la cittadina di Bomarzo, oggi in provincia di Viterbo, era infatti feudo della sua famiglia), che lo fece realizzare nel 1547 coinvolgendo diversi artisti, tra i quali probabilmente il Vignola e Simone Moschino. Si tratta di un complesso viaggio iniziatico che si dipana lungo un parco nel quale, procedendo per gradi, il visitatore incontra bizzarre meraviglie, costruzioni incredibili e statue strane e mostruose ispirate alla mitologia. “Voi che pel mondo gite errando vaghi di veder meraviglie alte et stupende venite qua, dove son facce horrende, elefanti, leoni, orchi et draghi”: questa è l’iscrizione che chi entra nel Sacro Bosco trova al suo ingresso, come anticipo di ciò che troverà. Si tratta di un giardino che fonde motivi letterari, mitologici e probabilmente anche esoterici, spesso di non semplice interpretazione, del tutto in linea con la mentalità del tempo. Se vuoi saperne di più sul Sacro Bosco di Bomarzo, leggi anche questo dettagliato approfondimento.
Fu costruito tra il 1559 e il 1575 su progetto di diversi architetti e dietro incarico del cardinale Alessandro Farnese il Vecchio: vi si alternarono Antonio da Sangallo il Giovane, Baldassarre Peruzzi e il Vignola (a cui si deve anche l’iconica scala regia, uno scalone ellittico che è uno dei simboli dell’architettura manierista), e fu la più sontuosa residenza dei Farnese sul territorio. Il palazzo è celebre per la sua particolare forma pentagonale, che lo rende uno degli edifici più originali di tutto il Cinquecento. All’interno, si trovano affreschi di grandi artisti come i fratelli Taddeo Zuccari e Federico Zuccari, Jacopo Zanguidi detto il Bertoja e diversi altri. Parte integrante del percorso di visita è il sontuoso parco che culmina nel casino delle delizie, altro edificio di grande pregio. È uno degli edifici meglio conservati del Lazio e proprio in virtù di questa sua caratteristica (gli ambienti sono tutti pressoché intatti), il Palazzo Farnese di Caprarola è spesso scelto come set cinematografico per produzioni in costume ambientate nel Cinquecento.
Si trova alle porte di Viterbo: non si sa bene chi sia stato il suo progettista, ma è porbabile che la costruzione, iniziata nel 1511, si debba al Vignola. Ad ogni modo, la realizzazione terminò nel 1566, quando proprietario della villa era il cardinale Gianfrancesco Gambara. Oggi è nota come “Villa Lante” perché nel XVII secolo divenne proprietà del duca di Bomarzo, Ippolito Lante Montefeltro della Rovere. Si tratta di una realizzazione complessa, composta da due “casini” realizzati in uno stile manierista molto severo, decorate all’interno con affreschi che, nel casino Gambara, raffigurano soprattutto paesaggi, mentre l’altro corp, il casino Montalto, presenta per lo più architetture dipinte. Villa Lante si distingue tuttavia per il suo sontuoso giardino, ricco di spettacolari giochi d’acqua, fontane, cascate, vasche, e con un parterre tra i più interessanti d’Italia: vero esempio di come il Manierismo riuscì a imporsi anche nell’architettura dei giardini.
Fu costruito tra il 1578 e il 1585 su incarico di Giorgio III Santacroce, che governava il feudo di Oriolo Romano: la realizzazione proseguì poi sotto il figlio Onorio III che arricchì notevolmente il cantiere. Deve il nome al fatto che, dopo una parentesi in cui il palazzo fu degli Orsini (dal 1604 al 1671), nel 1671 divenne proprietà della famiglia Altieri, che qui rimase per trecento anni esatti, fino al 1971. L’attribuzione tradizionale dell’edificio (seppur molto dubbia) è al Vignola. Si tratta di uno splendido esempio di dimora signorile cinquecentesca, ben conservata: nelle sue quattordici sale, affrescate per lo più con temi biblici, si trovano opere di importanti artisti del tempo (come Giovanni Baglione). Di particolare pregio i ritratti dei papi del Cinque e Seicento copiati dalle opere dei grandi artisti (Raffaello, Caravaggio, Tiziano). Come accade in tutte le dimore manieriste, anche Palazzo Altieri ha un sontuoso giardino che complta la villa.
La Rocca di Carbognano è un interessante esempio di dimora antica rimaneggiata nel corso dei secoli: al contrario degli edifici sopra descritti infatti non fu costruita ex novo, ma si tratta di un castello duecentesco che subì una profonda ristrutturazione nel XVI secolo. Al suo interno si avvicendarono diverse famiglie finché, nel 1494, papa Alessandro VI diede il castello a Orsino Orsini, marito di Giulia Farnese (tanto che la Rocca è anche nota come il “Castello di Giulia Farnese”). Proprio Giulia Farnese lo elesse a sua dimora preferita: quando la signora scomparve, la proprietà passo al genero Nicola della Rovere (marito della figlia Laura Farnese), e rimase un possedimento roveresco fino al 1570, quando diventò proprietà dei Colonna. All’interno (visitabile su prenotazione, rivolgersi alla Pro Loco locale) si possono vedere gli ambienti decorati a inizio Cinquecento.