Il Sacro Bosco di Bomarzo, un viaggio iniziatico tra le meraviglie del parco dei “mostri”


A Bomarzo, nella metà del Cinquecento, un nobile, Pier Francesco Orsini, decise di dar forma a un incredibile viaggio iniziatico tra bizzarre meraviglie: è il Sacro Bosco di Bomarzo, uno dei luoghi più straordinari del nostro paese.

“Tu ch’entri qua pon mente parte a parte e dimmi poi se tante meraviglie sien fatte per inganno o pur per arte”, sentenzia una sfinge, e l’altra: “Chi con ciglia inarcate et labra strette non va per questo loco manco ammira le famose del mondo moli sette”, ovvero le sette meraviglie del mondo. Entrambe accolgono con queste parole chiunque entri e inizi a percorrere uno dei parchi più suggestivi d’Italia, il Sacro Bosco di Bomarzo, poiché qui s’incontrano natura e arte, o meglio, meraviglie che incantano il visitatore in un’escalation di figure strane e maestose. In effetti, come suggerisce una delle sfingi all’ingresso del parco, è impossibile incamminarsi per i suoi sentieri e inoltrarsi nella lussureggiante vegetazione senza fermarsi, con gli occhi spalancati di meraviglia e con la bocca che emette un’espressione di sorpresa, ogni volta che s’incontra una delle sculture disseminate lungo l’intero percorso. Ovvero ogni poco, perché le monumentali statue sono davvero tante, e ognuna risponde con grande varietà e fantasia all’inevitabile necessità di sorprendere. Probabilmente intento del committente Pier Francesco Orsini, detto Vicino (Roma, 1523 – Bomarzo, 1585), era proprio questo, anche se il significato alla base dell’intero percorso rimane ancora oggi ignoto: creare un luogo di meraviglia, nel quale, una volta entrati, ci si lasci abbandonare senza più pensare a niente, lasciando la mente libera d’incantarsi trasportata in un mondo unicamente costituito da creature fantastiche e da edifici strani. Il tutto immerso in una fitta vegetazione che contribuisce alla percezione di trovarsi racchiuso in un luogo magico, estraneo alla realtà. Non è un caso se fulcro centrale dell’intero percorso di liberazione della mente sia proprio il volto di un grande orco che si presenta ai visitatori con occhi sgranati, narici dilatate e bocca spalancata, dalla quale spuntano due denti appuntiti, e sul cui labbro superiore è incisa la scritta “Ogni pensiero vola”: lo spaventoso orco (nell’immaginario collettivo, mostro gigante caratterizzato da un’enorme bocca, poiché era solito cibarsi di umani, specialmente di bambini) mostra la grande bocca aperta come per voler inghiottire avidamente qualcuno, ma allo stesso tempo invita a entrare, salendo una serie di gradini, per liberarsi totalmente di ogni pensiero.

L’iscrizione che si legge su un obelisco “Sol per sfogare il core” potrebbe riferirsi alla prematura scomparsa dell’amata moglie di Vicino, Giulia Farnese, avvenuta nel 1560, leggendo in questo modo l’intero parco come un luogo volto solo a trovare serenità, lasciando fuori il dolore. In realtà il progetto di costruzione del giardino era iniziato tempo prima, circa negli anni Quaranta, ed era stato definito semplicemente “boschetto”, quando ancora la consorte era in vita, ma pare che lo completò e lo ridefinì dopo la scomparsa di Giulia, dedicandoglielo.

Secondo il critico d’arte Maurizio Calvesi, il Sacro Bosco fu realizzato almeno in tre fasi, ma i due obelischi e la casa pendente, quest’ultima straordinario esempio di costruzione dalla pendenza irregolare che causa smarrimento una volta entrati, furono compiuti prima: forse la casa intorno alla metà degli anni Cinquanta del Cinquecento, quando Orsini era occupato nella carriera militare ed era stato fatto prigioniero, e su uno degli obelischi è scritto “Vicino Orsino nel MDLII”. Si dice che la casa pendente sia stata fatta costruire dalla donna a seguito del fallimento della missione militare di Vicino: in essa è infatti visibile lo stemma degli Orsini e l’iscrizione “Animus quiescendo fit prudentior ergo” (“Prova ad acquietarti in questa dimora”), dedica al cardinal Madruzzo che intercedette per liberarlo.

Il Bosco di Bomarzo
Il Bosco di Bomarzo


Il Bosco di Bomarzo
Il Bosco di Bomarzo


La sfinge di sinistra
La sfinge di sinistra


La sfinge di destra
La sfinge di destra


La panca etrusca
La panca etrusca


La casa pendente
La casa pendente


La dedica al cardinal Madruzzo
La dedica al cardinal Madruzzo

Per quanto riguarda la citata scritta “Sol per sfogare il core”, si è visto invece un legame con un verso di una poesia di Vittoria Colonna, che recita “Scrivo sol per sfogar l’interna doglia/di che si pasce il cor”, o con il sonetto CCXCIIII del Canzoniere di Petrarca (“E certo ogni mio studio in quel tempo era / pur d’isfogare il doloroso core / in qualche modo, non d’acquistar fama”).

Vicino Orsini era figlio di un condottiero nella signoria feudale di Bomarzo e qui risiedette spesso, poiché il padre aveva fatto erigere in questo luogo, poco lontano da Viterbo, il palazzo baronale.

Proprio a Viterbo, intorno al 1540, era stata rappresentata la commedia La Cangiaria che racconta di un’erma che causa nei personaggi delle metamorfosi: ciò probabilmente influenzò il progetto di realizzazione delle statue che Vicino pensò di far collocare lungo i sentieri del celebre parco. Una delle passioni del signore era la letteratura e spesso partecipava agli incontri letterari che si tenevano presso il cardinale Alessandro Farnese, dove ebbe occasione di accrescere la sua formazione intellettuale e di venire a contatto con Annibal Caro, tra i principali letterati del circolo, con cui strinse una forte amicizia. Il suo rapporto con il ramo dei Farnese si consolidò con l’unione a Giulia Farnese, che sposò nel 1544. Inoltre Ottavio Farnese lo inviò due anni dopo nella spedizione pontificia in Germania e in questa sede, insieme al cardinal Farnese come legato apostolico, si trovava il cardinal Madruzzo, a cui Orsini rimase legato. Al suo ritorno a Bomarzo nel 1547, trovò eretta la chiesa di Santa Maria della Valle che sua moglie Giulia aveva fatto costruire in sua assenza. Tra le spedizioni a cui partecipò per i Farnese, si ricorda in particolare quella nelle Fiandre a fianco delle truppe francesi, poiché la battaglia di Hesdin venne vinta dagli imperiali e Vicino fu fatto prigioniero: era il 1553 e fu liberato due anni dopo, nel 1555. Fu in questo periodo, come precedentemente detto, che probabilmente Giulia fece costruire la casa pendente. Dopo varie battaglie dall’esito deludente e la scomparsa prematura dell’amata moglie, non prese più parte ad azioni militari, ma venne comunque celebrato come buon condottiero, quale era considerato, nel poema Amadigi di Gaula di Bernardo Tasso (Venezia, 1493 – Ostiglia, 1569), scritto nel 1560. Si ritirò quindi nella sua Bomarzo, dove ispirato dagli influssi letterari progettò il compimento definitivo del Bosco Sacro: sebbene l’inizio dei lavori del giardino vengano fatti risalire al 1552 per poi venire interrotti a seguito dell’attività militare, fu infatti dal 1560 che il progetto prese forma, grazie all’architetto Pirro Ligorio (Napoli, 1513 – Ferrara, 1583), uno dei più grandi architetti manieristi. Si ha testimonianza da Annibal Caro, in due lettere del 1564, che i lavori del parco ripresero con la realizzazione di nuove opere, quali il tempietto che si trova al termine del percorso, le fontane e la loro loggia, le sfingi, le enormi statue. In un susseguirsi di nuove idee e di nuove creazioni, senza interruzioni, il progetto proseguì fino alla morte di Vicino. Vennero fatti scolpire nei massi di peperino e di basalto, che affioravano dal terreno, grandi figure di mostri, animali, personaggi mitologici, che rendono ancora oggi il parco un significativo esempio di giardino barocco, molto lontano dai tipici giardini all’italiana e rinascimentali dove tutto aveva forma regolare e simmetrica. Vicino Orsini e Pirro Ligorio diedero vita, al contrario, a un bosco unico nella sua irregolarità, nella sensazione di meraviglioso e di magico che faceva provare e nella generale iconografia tuttora enigmatica.

La struttura del Parco di Bomarzo, alle falde del Monte Cimino, ha fatto pensare a un percorso iniziatico da intraprendere partendo dal punto più basso, ovvero dall’ingresso dove sono collocate le sfingi, al punto più alto, dove si trova il tempietto. La presenza delle sfingi, sulle quali sono state apposte anche iscrizioni, proprio all’accesso del percorso ricorda in effetti il famoso enigma della Sfinge che veniva rivolto ai passanti all’ingresso della città di Tebe; la sfinge è comunque una figura mitologica strettamente legata al mistero e all’indecifrabilità, come indecifrabile è ancora il senso complessivo del parco. Mentre il tempio, generalmente situato alla sommità, può significare il raggiungimento di un obiettivo, in questo caso probabilmente di un percorso interiore.

Partendo dalle Sfingi s’incontrano, come si legge nell’iscrizione della Panca etrusca, “facce horrende, elefanti, leoni, orchi et draghi” e l’invito a venire nel Parco dei Mostri è rivolto a “Voi che pel mondo gite errando vaghi di veder meraviglie alte et stupende”. Innanzitutto ci si trova a tu per tu con il Proteo-Glauco, essere acquatico della mitologia greca associato alla sua capacità di mutare forma. Sorregge sul capo un globo terrestre che sembra ruotare, al di sopra del quale si erige il modello di un castello. Due giganti, Ercole e Caco, lottano poi davanti ai nostri occhi con l’evidente e ben nota vittoria del primo sul secondo. Secondo alcune testimonianze scritte, Vicino Orsini aveva un certo interesse per i giganti, tanto che avrebbe voluto far decorare il suo palazzo di Bomarzo con la Gigantomachia, ispirato probabilmente dal capolavoro di Giulio Romano che è possibile ammirare a Palazzo Te di Mantova, la Sala dei Giganti. Inoltre il cardinale Madruzzo aveva iniziato a collezionare “ossa di giganti”, forse appartenenti ad animali preistorici. In uno spazio leggermente sottostante, scendendo da scale di pietra, si raggiunge un particolare gruppo costituito da un’enorme tartaruga, sopra al cui carapace si trova la figura di una donna in piedi su un globo, una Nike o Vittoria alata. Tra le simbologie della tartaruga, quali saggezza e potere, è l’attaccamento alla terra: l’animale di terra fissa una balena dalla bocca spalancata che spunta dal fossato davanti alla tartaruga. Orsini progettò il movimento dell’acqua attorno alla balena per evidenziare un pericolo da cui proteggersi: un’immagine che rimandava all’illustrazione di un’edizione del 1563 dell’Orlando Furioso di Ariosto, la cui redazione era stata curata da un originario di Sutri, vicino a Bomarzo. All’Orlando rimanda anche la già citata Lotta tra Giganti, presumibilmente a rappresentare il protagonista impazzito per amore. Lì accanto è incisa anche l’iscrizione “Se Rodi altier già fu del suo colosso / pur di quest il mio bosco ancho si gloria / e per più non poter fo quant io posso”.

Nei pressi del gruppo della tartaruga, Nike e Balena, è la fontana del Pegaso, tra i più noti cavalli alati: secondo la leggenda mitologica, nel punto dove batteva il suo zoccolo sul terreno nasceva una sorgente. Il cavallo è in posizione inclinata, con le zampe anteriori su una roccia, e sembra stia per spiccare il volo. Dopo un tronco d’albero scultura e falsi ruderi con colonne spezzate, si giunge alla Fontana dei Delfini e al Ninfeo dove sono raffigurate abbracciate Tre Grazie, Aglaia, Eufrosine e Talia, legate al culto della natura e della vegetazione, e anche qui si legge ancora la scritta “L’antro, la fonte / d’ogni oscur pensiero...”. Seguendo il tema del ninfeo e delle vasche, s’incontrano poi una Venere, nuda nella parte superiore del corpo, su una conchiglia e il Teatro con una struttura a gradini, di fronte al quale sfilano una vicina all’altra colonne con teste scolpite sormontate da canestri. Poco più avanti, lo strano edificio della casa pendente, di cui si è parlato precedentemente, al cui interno vale la pena entrare per avere la sensazione di trovarsi come in una navicella spaziale per il disorientamento provocato dalla forte pendenza (gira veramente la testa...). Attraversando una piazza che presenta su entrambi i lati alti vasi, ci si trova al cospetto del dio Nettuno accompagnato da attributi che richiamano il mare, quali un mostro marino con la bocca spalancata e un delfino che la divinità accarezza. In realtà la statua può rappresentare Plutone, dio dell’abbondanza (è infatti visibile una cornucopia) e dell’oltretomba (le file di vasi che conducono alla monumentale scultura richiamano urne funerarie). Su uno di quei grandi vasi si legge “Notte et giorno noi siam vigili et pronte a guardar d’ogni ingiuria questa fonte”, facendo riferimento alle “strane belve” che popolano il parco. Il mondo dell’aldilà è inoltre impersonato da Proserpina (dea degli inferi e figlia di Cerere, quest’ultima anch’essa rappresentata nella figura femminile che anticipa il piazzale dei vasi), da Cerbero (il mostro a tre teste che stava all’ingresso degli Inferi), nonché rappresentato dal Cantaro con Medusa. Dalla statua di Nettuno/Plutone, proseguendo verso sinistra, è distesa la Ninfa dormiente, appoggiata sui gomiti e con la testa reclinata all’indietro, mentre camminando verso destra ci s’imbatte in un simpatico drago alato attaccato da un leone. Tra le statue più grandi del Sacro Bosco è inoltre l’Elefante sul cui dorso porta una torre da combattimento, mentre stritola con la proboscide un soldato. La scena allude probabilmente alla morte del figlio Orazio, caduto nella battaglia di Lepanto. Poco distante dal Cantaro con l’effige di Medusa alla base, sono collocati distanziati l’Ariete e la Panca etrusca, sulla quale si legge la lunga iscrizione che elenca i soggetti del parco. L’ultimo tratto di percorso del Sacro Bosco accoglie Echidna, mostro con corpo di donna e coda di serpente, leoni e due orsi che mostrano rispettivamente lo stemma degli Orsini e la rosa romana. Non resta a questo punto che salire al tempietto circondato dal verde di un giardino più regolare e ordinato per concludere così la visita.

Complessivamente è ben evidente l’influsso dei poemi cavallereschi in Vicino Orsini: spesso questi erano ambientati in un bosco incantato e la stessa denominazione di Sacro Bosco di Bomarzo è da intendersi con ogni probabilità in questo senso: in particolare si è vista la maggior ispirazione dall’Amadigi di Bernardo Tasso, dove la selva popolata da creature fantastiche ha un ruolo centrale.

Proteo-Glauco
Proteo-Glauco


Ercole e Caco
Ercole e Caco


La Tartaruga
La Tartaruga


La fontana dei Delfini
La fontana dei Delfini


La fontana dei Delfini
La fontana dei Delfini


Il teatro
Il teatro


Venere
Venere


La casa pendente
La casa pendente


Nettuno
Nettuno


Cerere
Cerere


Il drago
Il drago


Medusa
Medusa


Ninfa dormiente
Ninfa dormiente


L'elefante
L’elefante


L'ariete
L’ariete


Uno degli orsi
Uno degli orsi


Lo stemma degli Orsini
Lo stemma degli Orsini


Echidna
Echidna


Il tempietto
Il tempietto

Dopo secoli di abbandono, il Parco dei Mostri venne acquistato negli anni Cinquanta del Novecento dai coniugi Bettini, che lo risistemarono e lo aprirono al pubblico. È quindi grazie a loro se il bosco incantato continua ad accogliere ancora oggi i numerosi visitatori che, con occhi pieni di sorpresa e di meraviglia, lo percorrono.

Tuttavia, il Sacro Bosco affascinò celebri personaggi come Goethe e Dalí. Quest’ultimo visitò il parco nel 1938 e vi girò un cortometraggio, ma ne rimase piacevolmente influenzato per la realizzazione di suoi dipinti, primo su tutti La tentazione di sant’Antonio del 1946. Da pittore surrealista qual era, non poteva non essere colpito dalle strane creature di pietra del parco. L’Istituto Luce testimonia con un video del 10 novembre 1948 la visita che Dalí compì dieci anni prima proprio a Bomarzo: lo si vede ammirare le monumentali sculture, entrare nella bocca dell’Orco, salire al tempietto; all’inizio del filmato, mentre l’artista esce dalla casa pendente, si afferma che “la fantasia del Vignola si prese queste licenze architettoniche” (riguardo al progettista, erano stati avanzati in passato alcuni nomi, tra cui il Vignola e l’Ammannati, ma il nome più probabile risulta ad oggi Pirro Ligorio).

Sebbene aspetti del Parco rimangano tuttora ignoti, questo luogo costituisce un’esperienza unica, dove a sorprendersi non saranno solo i bambini. Anche gli adulti scopriranno il piacere di incantarsi ancora.


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Ilaria Baratta

L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta

Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.






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