“Con quella faccia un po’ così, con quell’espressione un po’ così che abbiano noi prima di andare a Genova...”: così cantava Bruno Lauzi (o Paolo Conte, a seconda della versione preferita) in quel tango habanera dal ritmo travolgente di Genova per noi dando l’essenza del rapporto intrinseco dei genovesi con il mare. Un popolo di marinai, il piccolo pescatore o il mozzo di una nave ma anche la magnificenza e lo splendore della Repubblica, segno di una civiltà già progredita nelle vicende politiche della Storia, che con Dogi, classe nobiliare e militare, scienza e tecnica fece crescere la città anche dal punto di vista artistico e culturale. Pragmatici, attenti al dettaglio ma anche sognatori e intraprendenti (un nome su tutti: Cristoforo Colombo) hanno fatto di Genova crocevia di mercanti e artisti in cerca di mecenati per sperimentare ed esprimersi. Sette secoli di storia che hanno definito Genova come sinonimo di supremazia sui mari: la Superba, la Dominante Genova, come la definì Petrarca, con il porto più grande d’Italia e tra i maggiori del Mediterraneo ha contribuito alla ricchezza della città e al suo sviluppo.
Uno sviluppo urbanistico conquistato spanna dopo spanna su quella striscia di costa, che poi sale fino a oltre mille metri ripidissimamente del monte Reixa, il cui centro storico è racchiuso dalle mura seicentesche, la Genova del Palazzo Ducale, la Lanterna, Palazzo Reale, i Musei e le Ville, la cattedrale di San Lorenzo e lo sfarzoso interno della Basilica della Santissima Annunziata del Vastato, le strade nuove e i Palazzi dei Rolli, che rivestono il punto focale nel quale si mostrò la grandezza della città. Patrimonio dell’Umanità dal 2006, sono l’elenco dei Palazzi in cui si sceglieva di ospitare i dignitari stranieri in visita di Stato a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento. Strade e Palazzi nobiliari da tre o quattro piani scaloni monumentali, cortili e loggiati che si affacciano su giardini fatti costruire tra Rinascimento e Barocco, decantati da Rubens, per rappresentare lo splendore della Repubblica di Genova quando era al massimo del suo splendore e potere militare, commerciale ed economico, primeggiando quindi anche dal punto di vista artistico. Genova è ricca di luoghi splendidi anche fuori dai circuiti classici del turismo, ed è piena di perle che spesso si trovano dentro luoghi del tutto inaspettati. Vediamone dieci.
Nel gruppo dei 42 palazzi dei Rolli inseriti nel sito Unesco, che danno avvio all’architettura urbana moderna, c’è Palazzo Tobia Pallavicino che attualmente è sede degli uffici della Camera di Commercio, ma vale la pena entrarci anche se non avete bisogno di fare una visura camerale per la vostra azienda. Siamo in via Garibaldi, e la per la costruzione ci vollero pochi anni attorno al 1560 per volere del marchese Tobia Pallavicino che affidò la direzione al Bergamasco, l’architetto, stuccatore e decoratore Giovanbattista Castello. L’edificio fu realizzato su due piani dalle proporzioni cubiche, con giardino sul retro ma dopo 150 anni fu ingrandito dal nuovo proprietario Giacomo Filippo Carrega nella struttura rimasta quella oggi visibile: fu modificata la facciata nella decorazione e nell’inserimento di balconi al primo piano, venne alzato di un ulteriore piano e il giardino divenne un cortile interno essendo circondato ai lati da nuove ali del palazzo. Già dall’atrio a tre arcate emerge la forza innovativa della soluzione artistica: lo scalone monumentale che ci si trova davanti a doppia rampa in realtà ne ha una finta e solo una conduce al primo piano. Affreschi, stucchi, statue, lampadari, specchi affollano il ricco allestimento decorativo interno il cui culmine è rappresentato dalla Galleria Dorata di Lorenzo De Ferrari (progettista, pittore e decoratore), massima espressione del rococò genovese. Conclusa nel 1744 divenne il nuovo luogo di rappresentanza del Palazzo e rappresenta la summa della concezione decorativa di questo artista, con una variegata e ricca policromia fatta da oro, stucchi ornamenti in rilievo che grazie a giochi con le luci e specchi genera alterazione della percezione dimensionale. Da non perdere nella Cappella del piano nobile con il calco della celebre Vergine di Pierre Puget.
La chiesa di San Matteo e l’omonima piazza sono il cuore del quartiere dei Doria. Nata come chiesa gentilizia nel 1125 per volere di Martino Doria, frate benedettino, in stile romanico assunse le caratteristiche del gotico con gli interventi di 150 anni più tardi. Inizialmente la piazza non esisteva, lo spazio era occupato dalla chiesa stessa che fu poi arretrata formando la piazza quadrangolare su cui vi si affacciano i palazzi della famiglia con tutti i tratti artistici distintivi (colori, materiali, forme gotiche, archi ogivali...): il Palazzo Branca Doria, attiguo al quale c’è un chiostro quandrangolare ad archi acuti su colonnine binate (del 1318) a cui si accede dal lato sinistro della chiesa, Palazzo Lamba Doria, Palazzo Domenicaccio Doria, Palazzo Giorgio Doria. l’angolo medioevale meglio conservato di Genova. La facciata di San Matteo è caratterizzata dall’alternanza orizzontale di fasce pietra nera di Promontorio e di marmo bianco dove erano incise le storie di esaltazione della Famiglia. Al centro un grande rosone e ai lati di grandi monofore. Sopra il portale di ingresso il bellissimo mosaico raffigurante il Santo gabelliere, da qui l’affinità con i Doria. A metà del Cinquecento una nuova ristrutturazione in stile rinascimentale ad opera del Montorsoli: sue le decorazioni di grande pregio del presbitero, della cupola e della cripta dove è sepolto Andrea Doria, e Giovanni Battista Castello (Il Bergamasco). L’interno è diviso in tre navate e sotto l’altare è conservata la spada di Andrea Doria donatagli da Papa Paolo III. Affreschi, tele, stucchi ne arricchiscono la decorazione: il Miracolo del dragone d’Etiopia di Luca Cambiaso, la Vocazione di San Matteo del Bergamasco; la Sacra Famiglia con Sant’Anna di Bernardo Castello; Cristo tra i santi e i donatori di Andrea Semino; una scultura lignea policroma di Anton Maria Maragliano raffigurante la Deposizione di Gesù nel sepolcro
Il Museo di Sant’Agostino è il “Museo di Architettura e Scultura Ligure” di Genova, e si trova all’interno del complesso dell’ex convento dei frati Eremitani di Sant’Agostino (del XII secolo), la cui chiesta annessa è sconsacrata e funge da auditorium. La struttura si segnala per la peculiarità del doppio chiostro di cui uno a forma triangolare e il campanile con l’utilizzo di mattoni e rivestimento in in piastrelle policrome. Il museo invece nasce e si realizza raccogliendo sculture, affreschi staccati, reperti lapidei, pitture su tavola e ceramica (compresa una raccolta di azulejos spagnoli) per lo più provenienti da altri edifici religiosi che nel tempo hanno dismesso la loro funzione diventando un luogo in cui scorrere nelle epoche diverse l’evoluzione artistica genovese dall’alto Medioevo all’età moderna Si conservano opere di Schiaffino, Castello, Piola, Cambiaso, Parodi, Giovanni Pisano (vi si trova uno dei suoi capolavori: il monumento funebre di Margherita di Brabante) e Pierre Puget.
La Chiesa di Santa Maria di Castello è uno dei luoghi simbolici della storia della città anche per essere stato quello del primo insediamento della futura Genova e la copiosità di preziosissime opere d’arte custodite all’interno, che come in una carrellata nel tempo si susseguono con l’evoluzione degli stili artistici una accanto all’altra, ne fa un luogo da visitare assolutamente. La chiesa con la facciata in stile romanico e la cupola rinascimentale, ha visto subito consistenti modifiche dopo il passaggio ai domenicani a metà del 1400 che hanno fatto costruire il convento (che adesso ospita il Museo), tre chiostri e un orto conventuale. Entrando abbiamo lo spazio diviso in tre navate con cinque cappelle per lato dove però solo quelle di sinistra si sviluppano effettivamente in profondità: quelle di destra infatti, confinando con il chiostro, per mancanza di spazio retrostante hanno solo l’altare. Le dieci cappelle sono di epoche diverse ed erano il punto di riferimento che usavano le famiglie per esaltare la propria importanza prima che la costruzione dei Palazzi dei Rolli fungesse a questo scopo. Le cinque cappelle di sinistra sono aperte ai lati tra una e l’altra e la vista si proietta sulla parete dove un incredibile baldacchino quattrocentesco in marmo incornicia il polittico di Giovanni Mazzone sull’Annunciazione: opera eccezionale con colori brillanti e ricco di dettagli associato allo sfumato dei paesaggi di sfondo. Una ricerca del bello che anticipa il Rinascimento. Nel loggiato del secondo chiostro torna il tema dell’Annunciazione con un capolavoro di tardo gotico fiorito di Giusto da Ravensburg del 1451. Non si può non parlare del Cristo moro del Duecento, in legno, con la particolare controtendenza rispetto all’iconografia classica di Gesù: è infatti senza barba né capelli. Nel Museo si trova la Pala di Ognissanti di Ludovico Brea del 1513, uno dei simboli di Genova. È l’incoronazione della Madonna con tutt’attorno 215 figure di Santi e gente comune descritte nei minimi dettagli, in adorazione che riempiono tutto lo spazio disponibile con gli occhi che convergono sulla Vergine Maria d’oro luccicante. La tradizione cristiana vuole che qui nel 1576 Giordano Bruno lasciò la coda dell’asino che portò Cristo dal monte degli Ulivi a Gerusalemme, conservata come reliquia.
Il ricco Tobia Pallavicini prima del Palazzo dei Rolli fece costruire una villa fuori le mura, su un colle vista mare, per l’ozio e lo svago e anche in questo caso la raffinatezza e le soluzioni artistico-architettoniche sono di altissimo livello dovendo dimostrare la potenza della famiglia. Ed è tuttora uno dei luoghi simbolici di Genova. Il progetto è attribuito all’architetto perugino Galeazzo Alessi ed il nome lo si deve alle grandi vasche di pesci usate per arredare il grande giardino che circonda la villa (un tempo molto più ampio) che si sviluppa su due livelli collegati da due scalinate monumentali a tenaglia in marmo bianco che scendono simmetriche dal centro verso i lati seguendo il naturale declivio della collina di San Bartolomeo degli Armeni sulla quale è insediata la villa. I due terrazzamenti sono su vista mare. Qui si trova un luogo unico: una grotta artificiale con ninfeo arredata con statue di divinità marine, stalattiti e mosaici realizzati con l’accostamento di moltissimi materiali diversi. Dalle conchiglie alle tessere di maiolica smaltata, dai coralli alle pietre calcaree colorate alle decorazioni in stucco. La struttura dell’edificio, rigorosa nei volumi, è a forma ad u i cui interni furono affidati per le decorazioni plastiche e pittoriche a Il Bergamasco che con un ciclo di affreschi sulle storie di Ulisse e il sapiente utilizzo della pittura per strutturare prospetticamente gli ambienti architettonici alle pareti rende il salone principale del piano nobile un luogo principesco e dalle grandi dimensioni.
Il Cimitero di Staglieno è tra i più grandi e importanti cimiteri monumentali d’Europa e per la sua estensione di oltre 330mila metri quadri e le centinaia di cappelle, mausolei, statue e ornamenti è considerato un museo a cielo aperto tanto che Ernest Hemingway lo definì una delle meraviglie del mondo e lo scrittore Mark Twain lo apprezzò più dei Rolli: “...L’ultima visita fu quella al Cimitero, e di cui continuerò a ricordarmi quando mi sarò dimenticato dei palazzi”. Aperto il 2 gennaio 1851 fu progettato dall’architetto Carlo Barabino (autore anche del Teatro Carlo Felice e Palazzo dell’Accademia) che morendo prematuramente non completò l’opera lasciandola a Giovanni Battista Resasco. L’impianto è in stile neoclassico e tra scaloni monumentali, colonne doriche, un Pantheon mastodontico, cappelle in stile gotico, bizantino, liberty si ripercorre la storia dell’arte con gli artisti genovesi che si sono avvicendati nelle varie realizzazioni per personaggi famosi come Giuseppe Mazzini e i Mille, e dove è possibile fare degli itinerari tematici. Nel mezzo del vialetto che porta alla scalinata del Pantheon la monumentale statua della Fede.
Nel quartiere ddi Castello, uno dei più antichi e caratteristici di Genova, fatto di case e strade strette, piazzette, salite e discese, accanto alla chiesa sorge un simbolo identificativo del quartiere: la Torre degli Embriaci. Il nome si riferisce a Guglielmo Embriaci che conquistò, insieme alla flotta di Primo, Gerusalemme del 1099 durante la prima crociata. Il bottino, al ritorno in patria, contribuì alla costruzione del duomo. Proprio per la sua importanza storica la Torre degli Embriaci è l’unica che non fu decurtata dopo che il regolamento cittadino del 1296 mise un limite alla costruzione delle torri che erano diventato il parametro di potenza delle famiglie medievali: più alta era e più potere si voleva esprimere.
L’amore per il mare e per la scoperta di terre lontane ha fatto accumulare al Capitano Enrico Alberto D’Albertis cimeli, cianfrusaglie, monili, strumenti musicali, attrezzi, armi, materiale archeologico, etnografico, marinaresco, oggetti sacri e di uso comune dei popoli che ha incontrato in una vita alla guida di una nave tra Ottocento e Novecento. E così nel 1932 dona tutti questi suoi tesori e la particolare casa dove dimorava alla città di Genova e oggi è il Museo delle Culture. La sede è sostanzialmente un castello che il capitano aveva costruito sui resti delle antiche fortificazioni trecentesche poi rinforzate nel XVI secolo, ma con uno stile neogotico influenzato da varie fascinazioni esotiche e coloniali che l’Africa, il Medio Oriente e le Americhe dei suoi viaggi gli avevano lasciato in corpo e nella mente. Entrare nel castello è un viaggio attraverso gli occhi di un marinaio che, quando non c’era internet o la televisione, si imbatteva in popoli strani su terre straniere facendone esperienza per la prima volta. Oggi per tutti noi anche se andassimo per la prima volta in Turchia o Colombia sarebbe comunque come un ‘già visto’, fatto di riminiscenze di scuola e sentito dire alla televisione. Quelle invece erano scoperte per davvero. E così troviamo le sale arredate a te in un percorso che va dalla Sala Colombiana a quella Gotica, o dal Salotto Turco con il soffitto a vela un po’ arabeggiante, alla Cabina Nautica costruita all’interno del bastione cinquecentesco, o allo studio rivestito di azulejos, alla biblioteca contenente gli oltre mille libri del Capitano.
Palazzo Interniano Pallavicino è uno dei Rolli, ed è una vera perla. Passato più volte di mano, fu costruito in pochi anni tra il 1565 e il 1567 dall’architetto Francesco Casella per Niccolò (che sarà Governatore della Repubblica di Genova) e Battista Interniano, e alla fine del 1600 i Vivaldi Pasqua lo ampliarono e modificarono considerevolmente. Numerosi cicli di affreschi all’interno e sulla facciata sono della famiglia Calvi. Nel retro c’è il particolare giardino a terrazzamenti con ninfeo. Dal 2019 è anche sede della Fondazione Interiano Pallavicino.
La piccola parrocchia di San Luca è un bellissimo e articolato barocco genovese facente parte delle tipiche parrocchie gentilizie di cui disponevano le grandi famiglie aristocratiche ed economicamente facoltose della città. Qui parliamo della famiglia Spinola che aveva ricevuto in giuspatronato la chiesa da papa Innocenzo VIII nel 1485. La chiesa, a croce e a navata unica, custodisce un dipinto che è il capolavoro del Grechetto (Giovanni Benedetto Castiglione), raffigurante la Natività e l’adorazione del bambinello da parte dei pastori; e sull’altare maggiore si staglia il gruppo marmoreo di Filippo Parodi di fine XVII secolo “L’immacolata con Angeli”. Da segnalare inoltre l’opera lignea di Filippo Parodi “Cristo deposto” dipinto dal Piola. Le decorazione della chiesa sono di Domenico Piola e Anton Maria Heffner grande esperto di trompe l’oeil.
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autore di questo articolo: Andrea Laratta
Giornalista. Amante della politica (militante), si interessa dei fenomeni generati dal turismo, dell’arte e della poesia. “Tutta la vita è teatro”.