Capita a volte che una selezione di opere di un famoso museo internazionale si sposti in blocco per realizzare in Italia una mostra con i capolavori provenienti da quella sola sede museale, sottolineando generalmente il concetto e la straordinarietà dell’evento già nel titolo stesso, che vede il ripetersi dell’ormai usuale formula “Capolavori da... ” seguito dal celebre museo prestatore di turno. Un’operazione condivisibile o meno che tuttavia dà la possibilità di ammirare in Italia capolavori di importanti musei stranieri senza andare all’estero. Era accaduto nel 2018 con la mostra Impressionismo e avanguardia. Capolavori dal Philadelphia Museum of Art a Palazzo Reale di Milano, o a cavallo tra il 2022 e il 2023 con la mostra Van Gogh. Capolavori dal Kröller-Müller Museum a Palazzo Bonaparte di Roma, o ancora nel 2019 con l’esposizione Preraffaelliti. Amore e desiderio sempre al Palazzo Reale di Milano (qui fa eccezione il titolo che non riporta la consueta formula) con capolavori tutti provenienti dalla Tate Britain di Londra. E ora, in maniera del tutto simile, si ripropone questo modello a Padova, con la mostra Monet. Capolavori dal Musée Marmottan Monet di Parigi, aperta al pubblico fino al 14 luglio 2024 al Centro Culturale Altinate San Gaetano, con la curatela di Sylvie Carlier, direttrice delle collezioni e conservatrice capo del patrimonio del Musée Marmottan Monet, in collaborazione con la storica dell’arte Marianne Mathieu e la conservatrice del Musée Marmottan Monet Aurélie Gavoille.
In occasione della mostra padovana sono dunque arrivati in Italia sessanta capolavori del museo che custodisce la più grande raccolta al mondo delle tele di Claude Monet per raccontare le varie tappe della ricerca artistica del pittore, dagli esordi ai suoi soggiorni in Olanda, in Norvegia e a Londra, fino a giungere alle sue grandi tele con le Ninfee e i Glicini. Il visitatore ha modo di ripercorrere, attraverso le sei sezioni espositive, i momenti fondamentali della produzione del maestro dell’Impressionismo nell’anno in cui ricorrono i 150 anni dalla nascita del movimento francese, ovvero da quella prima mostra impressionista che si tenne a Parigi, nello studio del fotografo Félix Nadar, al numero 35 del Boulevard des Capucines, il 15 aprile 1874. E di osservare da vicino molte delle opere che lo stesso Monet custodì gelosamente, senza volersene mai separare, nella sua casa di Giverny fino alla sua scomparsa, e che ora appartengono alla collezione del Musée Marmottan Monet di Parigi grazie al lascito di più di cento opere che il figlio Michel Monet, unico erede del pittore dopo la morte del fratello Jean, decise di disporre nel 1966 all’Académie des beaux-arts. Il testamento di Michel Monet designava infatti l’Accademia come erede universale della proprietà di Giverny, delle stampe giapponesi, delle opere collezionate da Claude Monet di artisti come Delacroix, Boudin, Renoir, Caillebotte, Pissarro, e delle ultime tele realizzate dal pittore nel suo atelier in Normandia. Il Musée Marmottan, che riuniva le collezioni di Paul Marmottan e che era una delle fondazioni dell’Académie des beaux-arts, diventò perciò con la donazione di Michel Monet custode del maggiore fondo al mondo di dipinti appartenenti a tutte le tappe della carriera del pittore impressionista; per accogliere questa grande raccolta di opere, l’allora direttore del museo Jacques Carlu progettò uno spazio ricavato sotto il giardino che venne inaugurato nel giugno 1971. E solo nel 1999 il nome di Monet venne aggiunto a quello del Musée Marmottan.
La mostra di Padova si apre infatti con il Ritratto di Michel Monet con un berretto a pompon, realizzato nel 1880 quando Michel aveva solo due anni e mezzo: un ritratto che non venne mai esposto e che restò in famiglia fino alla morte dello stesso nel 1966, e che grazie all’importante lascito entrò nelle collezioni del museo parigino. Accanto è invece collocato il gesso del busto che ritrae Claude Monet realizzato dal dentista Paul Paulin tra il 1908 e il 1910 e che lui stesso regalò al pittore: incoraggiato da Edgar Degas a scolpire, Paulin cominciò infatti a eseguire ritratti di personalità dell’epoca, tra cui Monet. È invece del 1867 il ritratto qui esposto di un giovane Claude Monet realizzato dal pittore Carolus-Duran, che fa parte anch’esso del lascito di Michel Monet. L’opera rientra nei doni ricevuti da Claude Monet direttamente dagli amici artisti, come anche il ritratto sempre qui esposto che Pierre-Auguste Renoir fa a Monet mentre legge il quotidiano L’Événement e fuma la pipa, come se fosse uno di famiglia, o ancora il ritratto che Gilbert Alexandre de Séverac compie di un Monet ventiquattrenne limitando la gamma cromatica ai toni del marrone su sfondo neutro. Il Monet collezionista è testimoniato poi in mostra da opere di Johan Barthold Jongkind e di Eugène Delacroix acquistate dal pittore tra il 1891 e il 1900, e da acquerelli di Eugène Boudin, come Crinoline sulla spiaggia.
Per raccontare la pittura di Claude Monet non si può non parlare della luce impressionista e della pittura en plein air, e in effetti questi due temi vengono affrontati in mostra in due sezioni distinte, una dopo l’altra, ma in realtà nei dipinti di quello che è considerato il padre dell’Impressionismo uno permea l’altro: la luce, con i suoi riflessi, che inonda i paesaggi impressionisti è insita nei quadri che il pittore realizza all’aria aperta, ed è ugualmente vero che la pittura en plein air vede sempre la presenza di quella luce unica che viene trasposta dalla natura alla tela, considerando che non vengono rappresentati i colori reali, bensì l’interpretazione di essi a seconda della luce. Un binomio che viene qui ben testimoniato nel dipinto La spiaggia di Trouville, che Monet realizzò nell’estate del 1870, quando il pittore, la moglie Camille e il loro primo figlio Jean si trovano nella stazione balneare di Trouville, in Normandia, dove incontrano Eugène Boudin, pittore che si era specializzato in scene di spiaggia. Qui Monet raffigura Camille e sua cugina sedute in primo piano, ma si concentra soprattutto sugli effetti della luce tra cielo e mare, e anche sugli abiti delle due donne, nonché sullo studio della pittura en plein air, per cui tutto ciò che è in secondo piano risulta meno definito rispetto a ciò che sta in primo piano. E anche la gamma cromatica scelta per questo dipinto, sui toni del grigio, del bianco e del marrone, rimanda al Monet degli esordi. Come pure si vede nell’accostamento di due quadri, uno dei quali molto famoso, che si basano entrambi sulle tonalità del grigio (del cielo) e del bianco (della neve): Effetto di neve, sole al tramonto e Il treno nella neve. La locomotiva, entrambi del 1875 ed entrambi realizzati ad Argenteuil. Vedute invernali che permettono al pittore di misurarsi con nuovi effetti di luce e di contrasto, evidenziando le sue doti di colorista. Nella sezione della pittura en plein air sono in particolare riunite opere che Monet ha occasione di compiere durante i suoi soggiorni sia in altre località della Francia sia all’estero, come nei Paesi Bassi, in Norvegia, a Londra. Sono per lo più opere caratterizzate da una gamma cromatica che si fa più “colorata” e più chiara rispetto ai grigi precedenti, e da una materia pittorica più densa, con pennellate ben visibili sulla tela.
Si susseguono quindi sotto gli occhi del visitatore La spiaggia di Pourville, sole al tramonto, in cui il pittore rende le variazioni della luce e del sole al tramonto che riflettono sul mare, sulla spiaggia, sulle scogliere e che creano suggestive sfumature nel cielo; Barca a vela, effetto sera, dipinto sulla spiaggia di Étretat: al centro della marina è raffigurata scura una barca a vela, in contrasto con i toni pastello che vanno dal giallo al rosa che occupano l’intera scena e che creano una soluzione di continuità tra cielo e mare; Campo di iris gialli a Giverny, in cui i fiori sono resi con tocchi gialli accostati che diventano pennellate sempre più ampie in secondo piano. L’opera ricorda i dipinti che l’artista realizzò nei Paesi Bassi, dove soggiornò due volte, come nel Campo di tulipani in Olanda qui esposto. L’uomo raffigurato a mezzo busto con cappello che ci guarda di traverso è Poly, diminutivo di Hippolyte Guillaume, un pescatore di aragoste che per due franchi al giorno diventa facchino di Monet durante il suo soggiorno da settembre a novembre 1886 a Belle-Île-en-Mer, isola francese al largo della costa della Bretagna, e che allo stesso tempo accompagna il pittore allo scoperta del carattere selvaggio dell’isola. Ci si sposta poi nella pittura en plein air nordica della Norvegia, dove Monet soggiornò tra febbraio e marzo 1895 approfittando della presenza nello stato scandinavo di Jacques Hoschedé, figlio maggiore della seconda moglie Alice. Ed ecco quindi Paesaggio norvegese. Le case blu: il pittore rimane profondamente affascinato da un piccolo villaggio con case di legno immerse nella neve: il marrone delle case è in contrasto con il bianco della neve e le sfumature cangianti del cielo sui toni del giallo e dell’arancione. E dalle case rosse di Björnegaard, case colorate che gli ricordavano i villaggi giapponesi che aveva conosciuto attraverso le stampe acquistate in Olanda e a Parigi e che custodiva nella sua casa di Giverny. E infine la pittura en plein air a Londra, dove l’artista soggiornò varie volte dal 1870 al 1901. È qui esposto, accanto a Ponte di Charing Cross. Fumo nella nebbia. Impressione (1902), il dipinto del 1905 che raffigura in controluce la silhouette del Parlamento nell’ora del tramonto, espediente che gli permette di creare scintillanti riflessi sul Tamigi. Questo è anche uno degli ambienti più suggestivi del percorso espositivo: è stata infatti collocata al centro della sala una seduta circolare sulla quale vengono proiettate immagini di alcune opere del pittore a tema. In questa sezione della pittura en plein air avrebbe trovato giusta collocazione forse l’opera più famosa di Monet, quella che ha dato probabilmente inizio all’Impressionismo, ovvero Impression, soleil levant: il celebre dipinto appartiene alla collezione del Musée Marmottan Monet ma ora è straordinariamente in prestito al Musée d’Orsay per la mostra in corso fino al 14 luglio 2024 Parigi 1874. Inventare l’Impressionismo, che celebra la prima mostra impressionista tenutasi a Parigi nel 1874, esattamente 150 anni fa.
Un altro capitolo fondamentale della vita e dell’arte di Monet è ovviamente il trasferimento nella sua proprietà di Giverny, dove trascorre gli ultimi vent’anni della sua esistenza circondato dalle sue tele, che si popolano di fiori, e soprattutto dal suo giardino. È proprio questo infatti il tema della successiva sezione: il visitatore si trova attorniato da tele con iris dai petali blu-viola, emerocallidi e ninfee, fiori che si trovavano nel suo splendido giardino acquatico di Giverny, nel quale si rispecchiavano anche i salici piangenti che il pittore aveva fatto piantare intorno allo stagno. Vi è poi un dipinto che raffigura nella parte superiore destra della tela una barca, quella su cui spesso le figlie della sua seconda moglie, Suzanne e Blanche Hoschedé, salivano per navigare come passatempo sulle acque del fiume Epte, che scorreva proprio nei pressi della casa di Giverny. In realtà, come accade in maniera simile con le ninfee, il soggetto della barca è occasione per Monet per concetrarsi sulle erbe acquatiche e sui riflessi dalle molteplici colorazioni che si andavano a creare sull’acqua, qui resi in forma di veri filamenti. Una teca inoltre racchiude in mostra la tavolozza, gli occhiali postintervento da cataratta bilaterale (che viene diagnosticata al pittore nel 1912) e la pipa di Monet, giunti dal Musée Marmottan.
E ancora, segue un ambiente quasi circolare al cui centro è collocata una seduta che mostra a rotazione immagini di ninfee: sulle pareti tornano tele con ninfee e iris, questa volta gialli. Tema sono le Grandi Decorazioni: i monumentali pannelli con le Ninfee, a cui Monet lavorò fino alla sua scomparsa, che portarono alla realizzazione delle celebri sale ovali dell’Orangerie.
L’ultima sezione documenta infine un netto cambiamento sia nei colori che nelle forme, arrivando persino quasi all’astrazione, come nel caso del dipinto Il giardino di Giverny, dove vengono eliminati i dettagli realistici mantenendo solamente ampie masse cromatiche: una modalità che influenzerà i pittori astratti americani della seconda metà del Novecento. I marroni, i rossi, i gialli dominano in queste opere, come si vede nello Stagno delle ninfee, nel Viale delle rose, nel Ponte giapponese o nel Salice piangente. Un cambiamento dettato dai problemi alla vista che gli alteravano la percezione dei colori, ma che lo conduce probabilmente in maniera inconsapevole a una pittura estremamente moderna e anche più gestuale. Il percorso espositivo si conclude con due grandi tele allungate dedicate ai glicini, piante che nella casa di Giverny si arrampicavano e ricadevano sull’arco installato sul ponte giapponese. Le grandi dimensioni e la forma allungata richiedevano una collocazione adeguata: erano infatti destinate a decorare il padiglione del giardino dell’hôtel Biron di Parigi (l’attuale Musée Rodin), ma il progetto venne abbandonato in favore dell’allestimento dell’Orangerie. Oggi conservati al Musée Marmottan Monet, questi Glicini che virano anch’essi verso l’astrazione con straordinarie evanescenze non vennero mai esposti quando il pittore era ancora in vita.
Attraverso tutte queste opere giunte in blocco da Parigi si ripercorre dunque l’intero universo artistico di Monet e i temi che hanno caratterizzato la sua produzione, dagli esordi alle Grandi Decorazioni che sfociano nell’astrazione. Un percorso cronologico scandito in modo lineare nelle diverse sezioni tematiche arricchite anche da un percorso didattico sulla luce e sui colori. Anche se essenzialmente non aggiunge nulla alla conoscenza del padre dell’Impressionismo, visitare la mostra di Padova è un’occasione da non perdere se non si è mai stati al Musée Marmottan Monet di Parigi, il museo che ogni appassionato del grande pittore dovrebbe visitare almeno una volta nella vita.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.