Attuale, accattivante e completa: è con questi tre aggettivi che definirei l’antologica che il Mudec - Museo delle Culture a Milano dedica a Niki de Saint Phalle (Neuilly-sur-Seine, 1930 – San Diego, 2002), l’artista franco-americana celebre per aver creato quel magnifico e complesso parco di sculture che è il Giardino dei Tarocchi di Capalbio, in Toscana. Attuale perché, seguendo la sua arte, si affrontano temi che, seppur esplosi in altre epoche e per merito d’altre generazioni, negli anni Sessanta e Settanta, o al contrario ancora in fase embrionale agli albori degli anni Duemila, rimangono tuttora di stringente attualità, come le disuguaglianze di genere, il razzismo e le questioni ambientali e del riscaldamento globale. Accattivante perché allestita in modo scenografico, con colori brillanti alle pareti differenziati per accogliere sotto ogni tonalità un determinato momento o aspetto, e con sculture monumentali che creano highlights all’interno del percorso espositivo per evidenziare concetti o figure fondamentali nella produzione dell’artista, come La sposa a cavallo o Le Tre Grazie. Completa perché la mostra ripercorre tutta l’arte di Niki de Saint Phalle, dagli esordi agli ultimi lavori, facendo contestualmente comprendere anche le riflessioni sociali che stanno dietro alla sua evoluzione artistica. Una mostra dalla quale si esce con un ritratto esaustivo della Niki de Saint Phalle donna e artista, del suo forte impegno nelle lotte femministe ante litteram, del suo anticonformismo nell’andare contro le convenzioni sociali, della sua grande empatia per chi era vittima di discriminazioni sociali e razziste, della sua ribellione contro ogni forma di potere e di violenza, del suo impegno nella difesa dei diritti, nel combattere certi pregiudizi e nel promuovere una sessualità protetta.
Niki de Saint Phalle era estremamente moderna dal punto di vista ideologico e questa modernità la riversava tutta nella sua arte, nella sua continua voglia di creare, di sperimentare, di far riflettere, di innovare, di condividere valori universali. Se ci si ferma all’apparenza, il suo universo artistico ultracolorato, gioioso e giocoso potrebbe sembrare superficiale, ma in realtà è espressione di profonde riflessioni sociali e culturali sull’essere donna, sull’essere madre, sull’essere vittima di violenza ed espressione anche di fragilità fisica che lei affronta attraverso l’arte, la creazione. Si pensi che il suo più grande capolavoro, che costituì il suo progetto più ambizioso e più complesso sia da concepire che da realizzare, ovvero il Giardino dei Tarocchi di Capalbio, voleva essere un luogo migliore rispetto alla società in cui lei viveva, dove non vi fosse alcuna forma di sopraffazione e dove fossero concentrati tutti i valori fondamentali del vivere comune, dunque l’inclusione, la collaborazione, la partecipazione, l’amicizia, l’empatia, la difesa dei diritti. Un’opera d’arte totale in cui entrare per compiere un viaggio iniziatico che conducesse a un cambiamento interiore, o meglio a una pace interiore, attraverso il superamento degli ostacoli e delle difficoltà che si incontrano nel corso della vita.
Tutto quanto detto finora viene ben espresso e raccontato nella mostra al Mudec di Milano, che accoglie i visitatori con Nightscape, un grande paesaggio notturno realizzato da Niki del 1959 dipingendo su un pannello di legno e incollando su di esso oggetti vari, tra cui sassi e chicchi di caffè: un’opera collage che probabilmente vuole evocare le colline toscane che lei aveva conosciuto due anni prima in un soggiorno estivo in Val d’Orcia ed è un’opera che lei realizza da autodidatta. Si avvicina infatti all’arte come terapia alla depressione e agli esaurimenti nervosi (viene persino ricoverata e sottoposta a elettroshock) di cui inizia a soffrire dopo il trasferimento nel 1952 con il suo primo marito dagli Stati Uniti a Parigi. In dialogo con Nightscape sono poste due tempere su tavola, attribuite al Sassetta, provenienti dalla Pinacoteca Nazionale di Siena: Un castello in riva a un lago e Una città sul mare; lo schema compositivo di quest’ultima è simile a quello del paesaggio notturno e raffigura la vista del borgo arroccato di Talamone. Saint Phalle avrebbe scelto vent’anni dopo i dintorni marittimi di quest’area della Toscana raffigurata dal Sassetta per costruire il suo Giardino: una coincidenza?
Negli anni Sessanta Niki comincia letteralmente a sparare alla pittura: tra il 1961 e il 1962 esegue una serie di Spari, opere che intrecciano pittura, scultura e performance. A una tela venivano fissati oggetti e tra questi venivano incorporate sacche riempite di colore. Questi elementi erano poi ricoperti da uno strato uniforme di gesso bianco, per creare una superficie neutra. A questo punto ecco la performance: colpi di arma da fuoco venivano sparati verso la tela, colpendo le sacche di colore. Quando queste si rompevano, la pittura contenuta al loro interno colava, creando macchie fluide che interagivano con gli oggetti e con la superficie della tela, trasformando il momento distruttivo in un gesto creativo. Ne risultava un’opera che era la traccia visibile del processo performativo, ma che rappresentava anche una guerra senza vittime in un’epoca storica di dilagante violenza. Ne sono chiari esempi in mostra la Piccola cattedrale del 1962 e l’Altare Tosi del 1970-1972. Spesso Saint Phalle dava a queste opere la forma di “cattedrali” o di “altari”, poiché così facendo manifestava la sua lotta, la sua rabbia, contro il potere della chiesa. Insieme a Piccola cattedrale sono esposti esempi di assemblage, di altre cattedrali e di altari (di forte impatto il dorato e mostrificato Altare O.A.S., in cui al centro è rappresentato un grande pipistrello con la bocca aperta; la sigla farebbe riferimento al gruppo insurrezionale paramilitare che si oppone con azioni terroristiche all’autodeterminazione dell’Algeria). C’è anche Composizione con monopattino (Tiro con carabina) del 1961, opera che Saint Phalle presentava in una mostra collettiva alla Rotonda della Besana in occasione del decimo anniversario del Nouveau Réalisme, gruppo in cui era entrata a far parte su invito del critico d’arte Pierre Restany, ma famosa rimane soprattutto la sua performance nella Galleria Vittorio Emanuele di Milano (un’immagine la ricorda), dove l’artista spara contro un tabernacolo composto da animali impagliati, sculture di santi, madonne e crocifissi e la pittura rossa esplosa va a colpire i poliziotti che assistono alla performance.
Il ruolo imposto alle donne, dalla società patriarcale, di moglie, madre e sposa le sta stretto (è moglie a soli 19 anni e madre di due figli a soli 24 anni): attraverso una serie di opere dedicate comincia a fare le sue battaglie femministe contro il potere degli uomini. Fulcro di questa sala dedicata è l’inquietante sposa a cavallo posta al centro dell’ambiente: una sorta di sposa cadavere interamente coperta da un velo bianco che si lascia trascinare a cavallo verso la vita matrimoniale. “Il matrimonio è la morte dell’individuo, è la morte dell’amore. Essere una sposa è una sorta di travestimento”, diceva. Vi sono anche assemblage a forma di cuore con intento di denuncia di queste imposizioni sociali. Con un insieme di 28 litografie arriva a criticare anche le madri cosiddette “coccodrillo”, compresa la sua, quelle che non hanno saputo ribellarsi alla falsità del matrimonio e ai tradimenti del marito per dare l’apparenza che andasse tutto bene e per non far parlare di sé. Critica anche se stessa per aver messo la sua carriera artistica al primo posto rispetto ai suoi figli, e dichiara anche che esistono le cattive madri, rompendo un tabù. Si schiera inoltre a favore dell’aborto in una litografia con scritte e disegni nel suo stile per affermare l’importanza della libertà di scelta per una donna. In contrasto a una società di tipo patriarcale, dà quindi vita alle sue Nana, che diventeranno una delle sue figure principali nella sua produzione e che continuerà a realizzare per tutta la vita: sono sculture coloratissime di donne prosperose, gioiose e danzanti, libere da qualsiasi stereotipo di bellezza, che vogliono rivendicare il loro potere, il potere delle donne, in una nuova società matriarcale. Eccole danzare festose avvolte nei riflessi specchianti dei loro stessi materiali nel percorso espositivo milanese: sono Le Tre Grazie, tra i punti focali della mostra. Ne è stata creata anche una monumentale, lunga ventotto metri, sdraiata a gambe aperte e accessibile attraverso la vagina, come si vede dall’immagine in mostra e dal catalogo dell’evento in cui Hon (Lei in svedese), titolo dato a questa gigantesca Nana, fu protagonista: era stato Pontus Hultén, direttore del Moderna Museet di Stoccolma, a lanciare l’idea, che venne accolta e quindi resa concreta dalla stessa Niki aiutata dall’artista e scultore svizzero, estremamente innovativo, Jean Tinguely (Friburgo, 1925 – Berna, 1991) che conobbe a Parigi e che nel 1971 sposò in seconde nozze, e da Per Olof Ultvedt. Smantellata dopo tre mesi, suscitò subito un grande successo di pubblico, anche perché al suo interno i visitatori potevano trovare un parco divertimenti, un planetario, una mostra di quadri falsi, un cinema e un milk bar. E ne realizza anche una serie black, per schierarsi in difesa dei diritti civili degli afroamericani e per denunciare una società razzista. Significativa, oltre al pugno chiuso appeso alla parete a significare il Black power, è The Lady sings the Blues del 1965, opera che raffigura il corpo amputato di una donna nera, per denunciare come quel corpo sociale fosse emarginato.
Proseguendo il visitatore viene accolto, attraverso litografie e modelli in resina, nel mondo creativo del Giardino dei Tarocchi, il parco di sculture che Niki de Saint Phalle comincia a costruire nel 1978 a Garavicchio, su un terreno donatole dai fratelli Caracciolo, e che si ispira al Parc Güell di Barcellona e al Sacro Bosco di Bomarzo. Ventidue sculture ispirate agli arcani maggiori dei Tarocchi, realizzate con l’aiuto di Jean Tinguely con strutture d’acciaio ricoperte di ceramiche cotte e invetriate e pezzetti di specchio disposti a mosaico. Il cantiere durò vent’anni e Niki visse per molto tempo all’interno di una delle monumentali sculture del parco, quella dell’Imperatrice, dove aveva creato un vero appartamento.
La sezione successiva testimonia l’impegno dell’artista nell’informazione e quindi nella prevenzione circa l’AIDS che in quegli anni rappresenta una vera piaga nella società. Intento di Niki è ribaltare il discorso moralizzante sulla malattia e sulla sessualità, in una società che giudicava ed emarginava le persone che ne erano affette. Suo contributo è il libro AIDS: You Can’t Catch It Holding Hands, presente in mostra, scritto nel 1986 per spiegare alle persone che cosa è, come ci si protegge e come si può aiutare chi ne è malato; il libro viene distribuito nel 1990 in tutti i licei francesi, anticipando anche il lancio di famose campagne sull’argomento. Al centro della sala si notano invece diversi Obelischi, opere che l’artista realizza per invitare al sesso protetto e che per questo ricordano grandi e colorati preservativi. Altra sezione delicata quella successiva in cui sono protagonisti un film e un libro: si tratta di Daddy, pellicola del 1973 diretta insieme a Peter Whitehead nella quale Niki esplicita il predominio del padre sia sulla figlia che sulla moglie e che si conclude con l’uccisione simbolica a fucilate della figura del padre, e di Mon Secret, il libro scritto dall’artista nel 1994 dove rivela alla figlia l’abuso subito da parte del padre quando aveva appena undici anni. Un libro che ha un forte potere terapeutico e salvifico per lei, dovuto proprio all’atto della scrittura, quasi come il suo rapporto con la figura del serpente (tra gli elementi più ricorrenti nella sua arte) che è allo stesso tempo simbolo di peccato e di rinnovamento.
Il percorso espositivo si conclude con un ambiente molto scenografico al cui centro sono collocati tre alti totem: il Totem Testa d’uccello, il Totem Testa di gatto e il Totem Martin Pescatore che risalgono al 2000; a catturare prima l’attenzione è tuttavia un grande teschio ricoperto di specchi. Perché questi elementi finora mai incontrati nella produzione di Niki de Saint Phalle? Nel 1993 l’artista si trasferisce da Parigi a San Diego, in America, su consiglio dei medici, e in questo contesto si avvicina alla spiritualità messicana, scoprendo e approfondendo i miti dei popoli nativi che vivevano nel sud della California, in cui era centrale il concetto di fertilità e il rapporto con la Terra (è esposta in questa sala anche una litografia del 2001 dove Saint Phalle tratta la questione del riscaldamento globale, oggi tema di stretta urgenza). Da questa nuova influenza, decide di realizzare un altro parco di sculture, il Queen Califia’s Magical Circle, l’ultimo suo grande progetto: il parco è dedicato alla regina Califia, mitica fondatrice della California a capo di un gruppo di donne guerriere. I totem a forma di animale circondano la regina simboleggiando la cosmogonia mesoamericana e il muro che circonda il parco ha la forma di serpente. Anche i Teschi derivano dall’influenza del mondo mesoamericano, in questo caso però legato alla morte, che nella cultura messicana non incute paura e timore, ma al contrario è un momento positivo, da festeggiare. Per Niki rappresentare un teschio scintillante di specchi è un modo per affrontare l’avanzare dell’età, per esorcizzare le sue paure attraverso l’arte. Un approccio che ha sempre avuto in tutto l’arco della sua carriera, fin da quando si è avvicinata da autodidatta al mondo artistico per superare la depressione e gli esaurimenti nervosi; per lei l’arte ha sempre avuto un potere terapeutico e consolatorio.
A Niki de Saint Phalle era già stata dedicata una mostra nell’estate del 2021, in Toscana, in due sedi nel borgo di Capalbio, poco distante quindi dal suo Giardino capolavoro (inevitabile una visita in occasione dell’evento espositivo). Ora la stessa curatrice, Lucia Pesapane, ha portato nelle sale del Mudec di Milano il racconto affascinante di questa donna e artista, realizzando una retrospettiva antologica che omaggia tutta la sua arte in dialogo con l’aspetto introspettivo, dunque con il suo lato umano e impegnato, che a quanto ricordi non era stato posto così tanto all’attenzione nella mostra toscana, così come l’allestimento che non era di forte impatto come quella attuale. Dimenticavo: la visita al Giardino dei Tarocchi è altamente suggerita non appena il parco delle sculture riapre al pubblico, da marzo a ottobre.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.