Se protagonista della grande mostra romana dedicata a Gustav Klimt (Baumgarten, 1862 – Vienna, 1918), che si è tenuta fino al 27 marzo 2022 al Museo di Roma di Palazzo Braschi, era senza dubbio la Giuditta I proveniente dal Museo Belvedere di Vienna, tra i capolavori klimtiani maggiormente carichi di erotismo, protagonista della rassegna dedicata allo stesso artista ma allestita presso la Galleria Ricci Oddi di Piacenza e l’XNL – Piacenza Contemporanea è di certo il Ritratto di signora. L’esposizione piacentina, a cura di Gabriella Belli ed Elena Pontiggia, intende infatti celebrare il definitivo ritorno a casa del dipinto, con cui la mostra romana si concludeva. Il percorso espositivo ideato dalla Galleria attorno a quest’opera la colloca invece all’interno di una sorta di nicchia isolata su sfondo completamente scuro per darle ancora più risalto, circa a metà del secondo piano espositivo, in cui il visitatore si trova in un’atmosfera raccolta faccia a faccia con il capolavoro maturo di Klimt. Lo precede un video che racconta la travagliata vicenda legata al quadro che sconvolse per parecchi anni il mondo dell’arte e non solo. Una storia di un furto e di un insolito ritrovamento che avvenne dopo oltre vent’anni e che oggi si traduce in una grande gioia per il ritorno dell’opera nella sua sede originaria.
È storia di cronaca recente infatti il ritrovamento del Ritratto di signora in un sacco nero all’interno di un piccolo vano chiuso da uno sportello senza serratura nel cortile del museo, a cui seguirono le indagini per verificarne l’autenticità: era il 10 dicembre 2019, erano in corso lavori di giardinaggio lungo il muro esterno del museo ed erano trascorsi ventidue anni da quell’incredibile furto che si verificò nel febbraio 1997, quando durante le fasi di imballo delle opere per la preparazione della mostra Da Hayez a Klimt. Maestri dell’Ottocento e Novecento della Galleria Ricci Oddi, curata dall’allora direttore Stefano Fugazza e allestita al Palazzo Gotico di Piacenza, il dipinto di Klimt sparì, non si sa ancora come. Ma la vicenda legata al dipinto, ripercorsa in maniera molto chiara nei due saggi del catalogo scritti da Franz Smola e da Lucia Pini, ha ancora più dell’incredibile se si pensa che fu una studendessa liceale di Piacenza, Claudia Maga, a scoprire nel 1996 che sotto il Ritratto di signora vi era un altro ritratto, che si credeva perduto e che invece su di esso Klimt dipinse la versione della Ricci Oddi (ipotesi confermata dalle indagini che presero il via grazie al confronto con Ferdinando Arisi e Stefano Fugazza, rispettivamente presidente e direttore della Ricci Oddi): denominato Backfisch, ovvero “giovane ragazza” nel linguaggio corrente austriaco del 1910, il perduto ritratto raffigurava una giovane donna identica nel volto e nella posa a quello attuale, ma abbigliata e acconciata in modo diverso, caratterizzata soprattutto da un grande cappello nero. Un elemento che divenne frequente nei ritratti di Klimt in due particolari momenti della sua carriera, ovvero alla fine dell’Ottocento, come si nota nella Dama con mantello e cappello su sfondo rosso, presente in mostra e proveniente dalla Klimt Foundation, e tra il 1907 e il 1910, quando la moda di ampi cappelli si accompagnava alla presenza di un vistoso boa di piume o di una grande stola. L’unica riproduzione di Backfisch è visibile in un saggio di Franz Servaes sull’artista pubblicato nella rivista Velhagen & Klasings Monatshefte che probabilmente risale al 1918: Klimt ridipinse presumibilmente Backfisch tra la fine del 1916 e il 1917, facendo scomparire il cappello e liberando il collo dalla sciarpa, e infine cambiò il titolo in Ritratto di signora. Per quanto riguarda la posa risulta molto simile al dipinto il Ritratto di signora in bianco, anch’esso in mostra: il corpo leggermente proteso in avanti, il volto che guarda l’osservatore col sorriso sulle labbra e la stoffa a fiori che le ricade sulle spalle.
Data la vicinanza temporale tra la mostra romana e quella piacentina e la somiglianza dei temi affrontati attraverso i momenti più salienti della carriera dell’artista, dalla Secessione viennese alla produzione matura, e gli eredi italiani della sua arte, Klimt. L’uomo, l’artista, il suo mondo, questo il titolo della rassegna alla Galleria Ricci Oddi, avrebbe potuto essere una copia in forma ridotta della mostra del Museo di Roma, e invece regala al pubblico alcune sorprese. Molte delle opere esposte a Palazzo Braschi si ritrovano anche qui, rimescolate e accostate in modo differente; le dimensioni dell’esposizione sono di molto ridotte e la presenza della Giuditta I non è stata bissata (i grandi capolavori sono presentati tutti insieme al termine del percorso espositivo in un portfolio), ma tra le aggiunte si contano, per esempio, varie acqueforti di Max Klinger della serie Il guanto, litografie di Edvard Munch, un’intera sezione dedicata ai manifesti pubblicitari per le mostre della Secessione viennese, disegni di Oskar Kokoschka insieme a disegni di Egon Schiele, quest’ultimo già presente ma in misura minore, e tutti e quattro i pannelli de Le mille e una notte di Vittorio Zecchin.
Si ritrova tuttavia l’ambiente con Il Fregio di Beethoven ispirato all’interpretazione che Wagner aveva dato della Nona Sinfonia, che Klimt aveva presentato alla XIV Mostra della Secessione nel 1902, e che oggi è visibile a Vienna nel Palazzo della Secessione (quella esposta è la copia integrale dell’opera realizzata nel 2019), nonché vari oggetti delle Wiener Werkstätte, la cui produzione guidata da Josef Hoffmann e Koloman Moser intendeva portare il design nella vita quotidiana. Mancano poi le cartoline che testimoniano i viaggi di Klimt in Italia e il suo rapporto con il Bel Paese non viene praticamente affrontato (nella mostra romana tre sezioni analizzavano la sua partecipazione alla Biennale di Venezia del 1899 e del 1910, all’Esposizione Internazionale di Roma del 1911 e alla II Secessione romana del 1914), tranne che per quanto riguarda la sua eredità in alcuni artisti italiani, come Vittorio Zecchin, Felice Casorati, Galileo Chini, Adolfo Wildt e Luigi Bonazza.
Il percorso espositivo si apre con opere del Simbolismo europeo, contesto in cui Klimt si formò e che dominava la scena artistica europea dopo e in contrapposizione all’Impressionismo. Sono opere popolate di elementi demoniaci, personaggi mitologici, forze oscure, e che rimandano alla sfera onirica, alla visione, alla fantasia. Vediamo quindi come anticipato la serie de Il guanto del tedesco Max Klinger (Lipsia, 1857 - Grossjena, 1920), in cui l’artista immagina una storia che comincia con una giovane donna che perde il suo guanto mentre pattina fino al rapimento dello stesso guanto da parte di un mostro che esce velocemente da una finestra; sono esposte poi incisioni del norvegese Edvard Munch raffiguranti un mondo popolato da fantasmi, una misteriosa figura femminile del belga Fernand Khnopff, un’interpretazione del mito antico di Medusa ad opera del tedesco Franz von Stuck.
Dopo questa sezione introduttiva, vengono poi presentati gli esordi di Klimt con schizzi a matita di nudi maschili ancora accademici e bozzetti per ambienti teatrali, come il Bozzetto per sipario del Teatro comunale di Karlsbad. Insieme al fratello Ernst e all’amico Franz Matsch (Vienna, 1861 - 1942), l’artista fondò infatti nel 1879 la Compagnia degli Artisti: è esposto in mostra il bozzetto per i soffitti dello scalone del Burgtheater di Vienna realizzato da Matsch. Con la terza sezione, la mostra presenta Klimt all’interno della Secessione viennese che l’artista fondò nell’aprile 1897 con un gruppo di artisti che si erano staccati come lui dalla Wiener Künstlerhaus, l’associazione ufficiale degli artisti viennesi. La Secessione viennese contava ventitré membri, di cui Klimt fu presidente per il primo anno, e intendeva essere un’arte che corrispondeva alle esigenze del tempo in Austria. Insieme al Ritratto di Joseph Pembauer, al Ritratto di donna, alla Dama con mantello e cappello su sfondo rosso e alla Signora davanti al camino di Klimt, sono esposte opere di altri membri della Secessione, quali Carl Moll e Koloman Moser.
Da qui ha inizio una interessante sezione interamente dedicata ai manifesti pubblicitari per le mostre della Secessione viennese, tra cui le due versioni di Klimt del manifesto per la prima Mostra della Secessione, che illustra Teseo che lotta con il Minotauro: la prima versione con l’eroe greco completamente nudo, che però venne ritenuta scandolosa e immorale perché mostrava le nudità, e la seconda versione censurata con un espediente; nel manifesto per la seconda Mostra della Secessione del 1898 Joseph Maria Olbrich illustra invece il Palazzo della Secessione che aveva progettato con la famosa cupola di foglie dorate di alloro. Seguono le riviste secessioniste, prima su tutte il Ver Sacrum il cui nome “Primavera sacra” si riferisce a una tradizione mitologica dell’antica Roma secondo cui chi nasceva in primavera, una volta adulto veniva mandato a fondare nuovi insediamenti, e oggetti decorativi e componenti d’arredo appartenenti alle Wiener Werkstätte, fondate nel 1903 da Josef Hoffmann e Koloman Moser con l’indutriale Fritz Wärndorfer su modello del movimento britannico dell’Arts and Crafts.
Dopo la sezione con i disegni erotici di Egon Schiele che si collocano con un tratto più drammatico, nevrotico e più spinto sulla linea delle opere ricche di erotismo e di sensualità di Klimt, e le litografie intrise di reminiscenze d’arte popolare di Oskar Kokoschka, chiude il primo piano espositivo la sezione dedicata a una serie di ritratti di Klimt, come la giovane donna con ampia camicetta bianca e cappello raffigurata in Ragazza nel verde del 1898, il di poco successivo Vecchio sul letto di morte (1900), alcuni studi di ritratti di donna, ma a spiccare sono Le amiche I dalla Klimt Foundation(1907), il Ritratto di Amalia Zuckerkandl (1913-1917) e il Ritratto di signora in bianco dal Museo Belvedere (1917-1918), tre capolavori klimtiani.
Al secondo piano uno spazio è stato adibito alla ricostruzione del Fregio di Beethoven che si snoda lungo tre pareti, affrontando temi che possono essere sintetizzati come il desiderio di felicità dell’uomo, la felicità contrastata da forze ostili e il desiderio di felicità che si placa nelle Arti. È l’Arte infatti, come spiega il catalogo della XIV Mostra della Secessione del 1902 dedicata a Beethoven, che “ci guida nel regno dell’Ideale, il solo ove ci sia dato di conoscere la pura gioia, il puro amore, la pura felicità”. Manca però nella mostra di Piacenza il bozzetto di una scultura di Max Klinger che ritraeva il compositore, esposta invece al centro della sala ricostruita alla mostra del Museo di Roma, a ricordare l’originale statua marmorea compiuta da Klinger che all’Esposizione del 1902 era stata collocata proprio al centro della sala del Fregio.
I visitatori entrano poi nella nicchia dedicata al Ritratto di signora di cui si è parlato precedentemente e infine hanno la possibilità di confrontarsi con gli esiti dell’eredità klimtiana, rappresentata da alcuni seguaci italiani che influenzati dalle opere di Klimt che videro alla Biennale di Venezia del 1910 e all’Esposizione Internazionale d’Arte di Roma del 1911 ripensarono la loro arte in un’ottica più moderna e internazionale. Ne danno un assaggio, accogliendo il pubblico all’ingresso del secondo piano espositivo, le quattro tele del ciclo Le Mille e una notte di Vittorio Zecchin, che ricordano la composizione mosaicata tipica di Klimt; fanno poi parte di quest’ultima sezione alcuni vasi di Galileo Chini decorati come raffinati oggetti artigianali di design e alcune opere di Felice Casorati che inserì elementi klimtiani in un’arte più formale e primitiva.
A differenza della rassegna di Palazzo Braschi che ricostruiva in una sala, per la prima volta, grazie all’intelligenza artificiale e al machine learning, i colori originari dei cosiddetti Quadri delle Facoltà, le allegorie per il salone delle feste dell’Università che il Ministero dell’Istruzione di Vienna commissionò nel 1894 a Klimt e a Franz Matsch, la rassegna di Piacenza propone nell’ex chiesa del Carmine la ricostruzione digitale della Medicina, uno dei tre dipinti insieme alla Filosofia e alla Giurisprudenza che Klimt realizzò per il soffitto dell’Aula Magna. I Quadri, e in particolare la Medicina, furono rifiutati dall’Università perché troppo scandalosi, sensuali e troppo pessimistici nei confronti della scienza. Nel suo saggio dedicato ai dipinti per l’Università, Elena Pontiggia riporta alcune delle critiche mosse dopo che la Medicina fu esposta per la prima volta ancora incompiuta nel 1901 in occasione della X Mostra della Secessione. Sul quotidiano viennese Deutsches Volkblatt, il pittore Karl Schreder scrisse: "Sembrava impossibile superare la Filosofia e invece è successo. Klimt è riuscito a superare se stesso. La sua ultima creazione […] è la cosa più volgare in campo artistico che si sia vista a Vienna. Per chi ha studiato e ammirato le sublimi creazioni dell’arte, le migliaia di opere dei maestri più famosi di tutti i tempi e di tutti i paesi, questa roba grottesca, che compare sotto il sacro nome di ’arte’, è una vera presa in giro". Stanco delle critiche, Klimt rinunciò all’incarico restituendo il compenso. Le opere vennero quindi restituite all’artista che le vendette a diversi acquirenti: la Filosofofia e la Giurisprudenza furono vendute al collezionista August Lederer, ma vennero sequestrate nel 1938 dai nazisti, mentre la Medicina fu acquistata dal Museo del Belvedere nel 1919. Nel 1944 furono poi portate tutte e tre nel castello di Immendorf, dove a causa dell’incendio dell’anno dopo finirono distrutte.
L’esposizione piacentina ha, per chi aveva già visitato l’attesissima mostra romana, molte affinità con quest’ultima, ma chi scrive non l’ha colta comunque come una ripetizione o come una copia di una cosa già vista. Anzi, è occasione per ammirare opere, in particolare grafiche, di altissimo valore. Per chi invece non aveva visitato la mostra romana, quella di Piacenza è un’esposizione coerente e ben allestita che offre la possibilità di vedere opere di Klimt e del suo contesto provenienti da importanti istituzioni italiane e internazionali, attraverso cui si comprende pienamente l’ambiente in cui si mosse uno dei più grandi artisti della Secessione viennese.
Una volta usciti dalla mostra, merita poi un’attenta visita la collezione della Galleria Ricci Oddi, al termine della quale potete chiedere di farvi accompagnare nel luogo del ritrovamento del Ritratto di signora di Klimt, di fronte a quel piccolo vano dove rimase per oltre vent’anni senza che nessuno lo sapesse.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.