Se l’arte di Gustav Klimt (Baumgarten, 1862 – Vienna, 1918) vi appassiona e non avete avuto ancora la possibilità di visitare a Vienna il Museo Belvedere e la Klimt Foundation, allora la mostra romana di Palazzo Braschi a lui dedicata, in corso fino al 27 marzo 2022, fa veramente al caso vostro: sarà come immergersi totalmente nel mondo klimtiano, un vero paradiso per gli occhi e per la mente, o almeno questa è stata la sensazione di chi scrive. Innanzitutto perché la maggior parte delle oltre duecento opere esposte provengono proprio da queste due sedi museali viennesi, che custodiscono il non plus ultra dell’arte del maestro della Secessione (la rassegna è nata infatti dalla collaborazione tra il Belvedere di Vienna, la Klimt Foundation e la Sovrintendenza ai beni culturali di Roma Capitale), e inoltre il progetto espositivo gode della curatela di massimi esperti dell’artista (Franz Smola, curatore del Museo Belvedere, Maria Vittoria Marini Clarelli, Sovrintendente Capitolina ai Beni Culturali, e Sandra Tretter, vicedirettore della Klimt Foundation di Vienna) che hanno così ideato un percorso piacevole e di notevole chiarezza, con opere ben selezionate e ben disposte negli allestimenti, e ricco di spunti per comprendere l’intera produzione di Klimt e la sua parabola artistica, tra celeberrimi capolavori come ad esempio la Giuditta I e temi di cui finora si è trattato in misura minore, come il rapporto dell’artista con l’Italia.
Titolo della mostra è Klimt. La Secessione e l’Italia attraverso cui si anticipano i punti cardine dell’esposizione stessa: da una parte Klimt come fondatore e principale esponente della Secessione, dall’altra il suo legame con il Bel Paese e con Roma in particolare. Si pensi infatti al padiglione austriaco progettato da Josef Hoffmann dove vennero proposti otto dipinti di Klimt e che costituì uno dei principali luoghi visitati all’interno dell’Esposizione internazionale di Roma del 1911, o alle due Biennali di Venezia del 1899 e del 1910; la mostra ha infatti il merito di riportare nella Capitale, a distanza di 110 anni, un’esposizione su Klimt. Tuttavia, al di là dei progetti espositivi, durante la sua vita ebbe modo di viaggiare in Italia e si hanno testimonianze dei suoi soggiorni grazie alle lettere e alle cartoline che l’artista scriveva e inviava dalle diverse città ad amici e soprattutto a Emilie Flöge (Vienna, 1874 – 1952), sua musa e amica intima (o forse anche più) di una vita che probabilmente è ritratta in uno dei suoi capolavori, Il Bacio, purtroppo assente in mostra. Si pensi ancora all’influenza che ebbe la vista dei mosaici bizantini durante il suo soggiorno a Ravenna sulla sua arte, in particolare per l’ampio utilizzo della foglia oro applicata sulla tela, nel pieno del suo periodo aureo, di cui si parla dettagliatamente nei due saggi del catalogo dedicati alla “visione musiva” di Klimt scritto da Maria Vittoria Marini Clarelli e ai due capolavori klimtiani a confronto, ovvero Il Bacio e Le tre età della donna, scritto da Franz Smola. E infine l’acquisto di tre dipinti dell’artista da parte di tre diverse istituzioni museali italiane, vale a dire Le tre età della donna della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, la Giuditta II della Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro di Venezia e il ritrovato Ritratto di signora della Galleria Ricci Oddi di Piacenza. Tutti aspetti affrontati nel catalogo e che trovano chiaro riscontro nel percorso espositivo.
L’Italia fu il paese che Klimt visitò più spesso, qui espose la maggior parte dei suoi capolavori in occasione di eventi di fondamentale importanza anche per l’influsso che lui stesso esercitò su artisti italiani quali Vittorio Zecchin, Galileo Chini, Felice Casorati, nonché sullo scultore Giovanni Prini. La critica italiana dedicò inoltre molta attenzione ai Quadri delle Facoltà a lui commissionati dall’Università di Vienna e infine ritirati dopo le critiche ricevute. L’intero percorso espositivo di Palazzo Braschi accompagna quindi il visitatore, come era nell’intento dei curatori, alla scoperta della vita e della produzione del celebre artista attraverso una prospettiva inedita, quella del rapporto con l’Italia.
Il pubblico viene introdotto nella Vienna dell’epoca da una grande mappa datata 1895, anno in cui venne inaugurato il Venedig in Wien, uno dei primi parchi a tema del mondo, come viene definito nel saggio di Sandra Tretter e Peter Weinhäupl, allestito secondo il gusto veneziano con tanto di riproduzioni di palazzi storici, un canale artificiale e giro in gondola compreso. La mappa presenta l’aspetto di una città moderna e cosmopolita grazie alla costruzione nel 1865 di una doppia strada ad anello alberata, la Ringstraße, lungo la quale si trovano giardini, caffè ed edifici di rappresentanza. Anche Klimt, insieme all’architetto Otto Wagner, si dedicò alla costruzione e alla decorazione degli edifici del Ring negli ultimi decenni dell’Ottocento. Gustav e suo fratello Ernst avevano infatti frequentato la Scuola di arti e mestieri di Vienna che aveva dato loro le basi, poi perfezionate, per fondare attorno al 1879 ancora da studenti, insieme a Franz Matsch, la Künstler-Compagnie specializzata nella decorazione di pareti e soffitti e, su commissione dello studio di architettura Fellner & Helmer, realizzava anche dipinti per sipari e soffitti di teatri (in mostra alcune opere e bozzetti testimoniano il lavoro della Compagnia, la quale si sciolse a causa della morte improvvisa di Ernst nel 1892). Tra le più importanti commissioni, la realizzazione degli affreschi del soffitto dei due scaloni del nuovo Burgtheater. Nel frattempo Gustav era entrato nella Wiener Künstlerhaus, l’associazione ufficiale degli artisti viennesi, all’interno della quale poco prima del 1900 si creò una scissione dovuta alle crescenti pressioni da parte dei membri più giovani volte alla modernizzazione dell’attività espositiva: nacque così nel 1897 la Secessione - Associazione degli artisti figurativi austriaci che contava ventitré membri tra pittori, scultori e architetti, di cui per il primo anno fu presidente Klimt. Nella terza sezione della mostra vengono esposte alcune opere di vari secessionisti, tra cui Carl Moll, Friedrich König, Koloman Moser, Wilhelm List, Vlastimil Hofman, raffiguranti principalmente ritratti, paesaggi o scene di vita popolare, tutti comunque differenti dallo stile di Klimt caratterizzato da una pittura più evanescente e sfumata come si nota nella Signora davanti al camino (1897-98). Per la nuova sede, conosciuta ancora oggi come Palazzo della Secessione e capolavoro dell’architettura Jugendstil viennese, Gustav disegnò una costruzione cubica sormontata da un frontone simile a quello di un tempio che poi Joseph Maria Olbrich rielaborò aggiungendo una cupola ricoperta di foglie di alloro dorate e sul portone d’ingresso il motto Der Zeit ihre Kunst. Der Kunst ihre Freiheit (Al tempo la sua arte, all’arte la sua libertà). Un motto in linea con ciò che Wagner aveva scritto nella sua Moderne Architektur: “Tutto ciò che è creato con criteri moderni deve corrispondere ai nuovi materiali e alle esigenze del presente, se vuole adattarsi all’umanità moderna”. Principio comune della Secessione viennese era un’opera d’arte totale dove arte, architettura e design si fondessero insieme. In quest’ambito, Vienna diventò poi il centro del design moderno grazie alla fondazione nel 1903 della Wiener Werkstätte da parte di Koloman Moser e di Josef Hoffmann, con la produzione di oggetti, gioielli, argenti, componenti d’arredo dalle forme geometriche puristiche (sono qui esposti perlopiù vasi e coppe).
Gustav Klimt disegnò anche il manifesto per la prima mostra della Secessione che si tenne nella primavera del 1898: raffigurava nella parte superiore un Teseo combattente nudo come si confaceva all’arte antica, ma ritenuto troppo offensivo venne censurato, coprendo con un espediente le parti intime del personaggio eroico. Sono presenti infine illustrazioni per le copertine della rivista d’arte della Secessione, Ver Sacrum, il cui titolo faceva riferimento a una tradizione mitologica dell’antica Roma in base alla quale chi nasceva in primavera, quando diventava adulto veniva mandato a fondare nuovi insediamenti: venne pubblicata dal 1898 al 1903, poi si arrestò poiché successivamente si crearono conflitti al suo interno che sfociarono nell’abbandono del dell’associazione da parte di Klimt e di altri diciassette artisti due anni più tardi; tuttavia questi ultimi rimasero attivi anche dal punto di vista espositivo riuniti nel cosiddetto Klimt Gruppe. Viene così affrontato il macrotema di Klimt come fondatore della Secessione, con la presenza come si è detto di dipinti, disegni e oggetti realizzati da Klimt e dalla sua cerchia per far comprendere, con buon esito, come si è venuto a creare e le tappe fondamentali di un movimento artistico che ancora oggi affascina per il suo carattere decorativo. A partire da qui viene esplicitamente introdotto l’altro macrotema della rassegna, ovvero il rapporto di Klimt con l’Italia, attraverso testimonianze documentarie dei suoi primi viaggi nel Bel Paese tra il 1890 e il 1913: in questo periodo si reca almeno otto volte in Italia.
Nella stessa grande sala dove al centro sono collocati gli oggetti di design sono infatti esposte alcune delle cartoline che Klimt inviava a Emilie Flöge quasi quotidianamente per raccontarle dove si trovasse. Grazie a questi straordinari documenti è possibile ricostruire oggi tutti gli spostamenti dell’artista da una città all’altra: Trieste, Venezia, Padova, Ravenna, Firenze, Pisa, La Spezia, Verona, Riva del Garda. Klimt non amava particolarmente viaggiare ad eccezione di quando si recava ogni anno in compagnia di Emilie sul lago Attersee nella regione del Salzkammergut. Su biglietti e lettere scriveva inoltre i suoi resoconti di viaggio e questo ci dà oggi la possibilità di conoscere le sue impressioni, come la “vita di bagordi” condotta a Venezia, che “l’arte fiorentina non è superiore a quella veneziana”, e “i mosaici di inaudito splendore” che aveva visto a Ravenna.
È inevitabile poi rimanere catturati da una delle opere più iconiche e più sensuali dell’artista: la Giuditta del 1901, tra i più riusciti esempi di femme fatale che il pittore realizzò lungo tutta la sua produzione, grazie all’unione di seduzione, sensualità e allo stesso tempo di creatura pericolosa per l’assassinio di Oloferne. Nel dipinto fa inoltre un notevole uso della foglia d’oro applicata sulla tela insieme alla pittura a olio: una tecnica che lo ha reso celebre e riconoscibile in tutto il mondo e che conferisce all’opera un aspetto scintillante che attrae su di essa lo sguardo. Completano la sala opere, tra cui sculture, di grande sensualità compiute da artisti che furono influenzati da Klimt, come la struggente Amanti del genovese Giovanni Prini, o opere che esprimono il forte erotismo della donna in linea con disegni di nudi eseguiti da Gustav all’inizio del Novecento: le Due figure distese, studio per Serpenti d’acqua II, sono qui in dialogo ad esempio con Alla fonte della vita di Karl Borschke o con la Medea di Hugo Künhelt.
Si entra poi in un ambiente “immersivo”, in cui è stato ricreato il Fregio di Beethoven su tre pareti di una sala: in occasione della XIV Mostra della Secessione viennese che si tenne da aprile a giugno 1902, dedicata a Ludwig van Beethoven, era stata collocata al centro della sala una scultura marmorea realizzata da Max Klinger che ritraeva il compositore (qui in mostra esposto il bozzetto), gli altri artisti avevano compiuto diversi contributi, mentre Klimt aveva creato lungo tre pareti di una sala laterale un fregio murale di oltre trentaquattro metri di lunghezza e due di altezza. Con il suo Fregio, Gustav intendeva interpretare la Nona sinfonia, partendo da un gruppo di figure femminili con le braccia tese in avanti che fluttuano nell’acqua; queste incontrano prima figure nude con una giovane in piedi e una coppia in ginocchio, la quale si rivolge a un cavaliere, il quale a sua volta guarda verso la parete più scenografica in cui si riconoscono un mostro dalle sembianze di scimmia, tre Gorgoni, la Morte, altre figure femminili figlie del gigante Tifeo; più distante è accovacciata una figura di donna quasi scheletrica davanti al corpo di serpente del mostro. Il fregio prosegue con la Poesia solitaria, mentre le Arti, le figure di donna accovacciate conducono al coro di angeli paradisiaco, che simboleggia la felicità e l’amore assoluto. Al termine della XIV Mostra il fregio non venne distrutto e tuttora è visibile in modo permanente al piano interrato del Palazzo della Secessione. È davvero emozionante trovarsi al centro di una sala che è visibile solo a Vienna, circondati da uno dei capolavori più suggestivi dell’artista grazie alla sua riproduzione.
Un altro merito della rassegna di Palazzo Braschi è quello di aver ricostruito per la prima volta, grazie al machine learning e all’intelligenza artificiale, i colori originari dei Quadri delle Facoltà, nell’ambito di un progetto digitale di Google Arts & Culture. Il Ministero dell’Istruzione di Vienna commissionò a Klimt e a Franz Matsch di eseguire nel 1894 allegorie monumentali per il soffitto del salone delle feste dell’Università: una al centro e altre quattro allegorie delle Facoltà. Dividendosi i compiti, Gustav scelse di realizzare la Filosofia, la Medicina e la Giurisprudenza. Cominciò a realizzarli quattro anni più tardi e nel 1900 presentò per la prima volta la Filosofia in occasione della VII Mostra della Secessione. Sia questa che ancora in maggior misura la Medicina esposta nel 1901 scatenarono molte critiche poiché troppo sensuali ed erotiche e troppo pessimistiche, mentre al contrario avrebbero dovuto comunicare una visione positiva e idealizzata delle scienze. L’Università si rifiutò di collocarle nel salone delle feste e Klimt rinunciò all’incarico restituendo il compenso. A seguito di peripezie, i quadri vennero trasportati nel castello di Immendorf, che nel 1945 venne incendiato con la conseguente perdita dei tre dipinti. Si avevano testimonianze di queste opere solo attraverso fotografie in bianco e nero, ad eccezione della figura di Igea nel dipinto della Medicina di cui si conosceva un dettaglio a colori, nonché attraverso i dettagliati resoconti sui colori dei quadri scritti dai critici per parlarne aspramente. Dunque grazie a questi documenti un team di ricerca è riuscito a risalire ai veri colori e in mostra è possibile vederli nel loro originario aspetto.
Altro tema dell’artista largamente affrontato è il ritratto femminile, la cui tecnica cambia nel tempo come si vede nel Ritratto femminile del 1894 di grande formato dall’aspetto quasi fotorealistico molto diverso dalla Signora con mantello e cappello su sfondo rosso del 1897-98 realizzata con una pittura quasi impressionista. Klimt eseguì molti studi a matita per trovare la posa ottimale della sua modella. E ancora, la pittura di paesaggio a cui Klimt si dedicò intorno al 1900 e che risente indubbiamente dei panorami e dei luoghi che vide tutte le estati nella regione dei laghi del Salzkammergut, in cui il paesaggio si fa sfumato e armonico per rappresentare un mondo sereno e paradisiaco, e del suo soggiorno sul lago di Garda.
Il rapporto con l’Italia viene ulteriormente analizzato in tre sezioni: la sua prima Biennale di Venezia del 1899 e la seconda del 1910, la più importante, in occasione della quale ebbe a disposizione un’intera sala per presentare ventidue dipinti che ripercorressero i suoi ultimi dieci anni di attività nei tre filoni dei ritratti, delle figure allegoriche e dei paesaggi. Tra questi, Le tre età della donna, Ritratto di Adele Bloch-Bauer, Bisce d’acqua II, Le amiche (Le sorelle), Ritratto di signora in rosso e nero, Castello di Kammer II, il Bosco di betulle. All’Esposizione internazionale di Roma del 1911 portò otto dipinti e quattro disegni del periodo compreso tra il 1902 e il 1911 che furono collocati lungo le pareti di un’ambiente bianco a forma semicircolare simile a un’abside in modo da conferire all’intera sala un’aura sacrale. Tra le opere, Bisce d’acqua I, La Morte e la Vita, il Ritratto di Emilie Flöge. Infine la presenza di un solo dipinto di Klimt alla II Secessione romana del 1914, il Ritratto di Mäda Primavesi, in occasione della quale furono esposte anche opere di artisti quali Vittorio Zecchin, Felice Casorati, Galileo Chini, nelle quali è notevole l’influsso dell’arte di Klimt, in particolare nel Corteo delle principesse e in Principesse nel giardino di Zecchin e ne La preghiera di Casorati, dove gli abiti e il paesaggio circostante sono costituiti da motivi a mosaico.
Le ultime due sezioni sono dedicate a due vere perle, ovvero La sposa, monumentale capolavoro incompiuto a cui Klimt stava lavorando quando lo sorprese la morte, avvenuta nel 1918. Si tratta di uno dei più grandi dipinti dell’intera sua produzione in cui affronta il tema dell’amore e del desiderio sensuale. Anche in questo caso la sensualità dei corpi nudi si alterna al forte cromatismo e ai motivi ornamentali delle vesti: spicca tra tutte la sposa al centro vestita con un abito blu intenso, addormentata, con il volto vicino a quello di suo marito, tra figure femminili che fluttuano nello spazio in varie posizioni a rappresentare il totale appagamento sessuale. E infine, il ritrovato Ritratto di signora della Galleria Ricci Oddi di Piacenza. Compiuto nell’ultima fase di attività dell’artista, tra il 1916 e il 1917, il dipinto venne acquistato nel 1925 da Giuseppe Ricci Oddi, unico collezionista privato in Italia a possedere un dipinto di Klimt. Nel 1997 il quadro venne rubato e venne ritrovato dopo oltre venti anni, nel 2019, in un sacco nero all’interno di una nicchia del cortile del museo. È la prima volta che l’opera esce dalla Ricci Oddi dopo il suo ritorno nella sua sede e si ha dunque occasione di ammirarla qui a Palazzo Braschi dopo tanti anni.
Il dipinto ritrovato chiude così una mostra che è stata tanto attesa, su cui ci sono state tante aspettative e che alla fine della visita vengono pienamente soddisfatte. Non solo per la presenza di un così grande nucleo di opere provenienti da Vienna, ma anche per il percorso comprensibile e ben suddiviso tra le varie tappe e tematiche, per l’allestimento a tratti suggestivo, per l’esposizione di opere poco conosciute come La sposa che per la prima volta ha lasciato la Klimt Foundation, e di capolavori che lasciano a bocca aperta come la Giuditta I. E ancora, per il progetto innovativo che ha permesso di ricostruire i colori originari dei Quadri delle Facoltà, ma soprattutto per aver raccontato un aspetto finora poco studiato come il rapporto con l’Italia a cui la mostra dedica, come si è detto, vari passaggi e intere sezioni. Per tutte queste ragioni, nonché per il catalogo che l’accompagna con contributi di esperti (un difetto la mancanza di schede delle opere), la rassegna romana di Palazzo Braschi merita di essere visitata con tutta calma per gustarsela pienamente. Un consiglio: preparatevi tuttavia ad armarvi di pazienza se volete rimanere davanti alla vostra opera preferita per qualche momento in più... è un’esposizione in cui difficilmente troverete poche persone, dato il grande afflusso di visitatori che richiama ogni giorno.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.