Il liberty di Galileo Chini torna alle terme. Com'è la mostra di Montecatini


Recensione della mostra “Galileo Chini – Opere nelle collezioni pubbliche e private di Montecatini Terme”, a cura di Paolo Bellucci (a Montecatini Terme, MO.C.A., dal 15 luglio 2023 al 7 gennaio 2024)

Non s’è sentito parlare granché delle tante iniziative organizzate per i centocinquant’anni dalla nascita di Galileo Chini, e non è difficile comprenderne i motivi: si tratta soprattutto di situazioni legate alle città più marcate dalla sua arte, non ci sono state mostre d’enorme portata, e lo stesso nome dell’artista, malgrado le crescenti attenzioni della critica nei suoi riguardi, che seguono un interesse maturato negli ultimi vent’anni dopo un lungo periodo in cui Chini è rimasto in disparte (veniva considerato un artista minore, poco più che un imitatore dei secessionisti viennesi), non è tra quelli in grado di muovere le masse. Eppure, per questo anniversario c’è tanto in giro per conoscere l’arte di Chini, specialmente sul territorio, soprattutto in Toscana, nei luoghi che più furono recettivi al suo linguaggio. Per dare un’idea, a Montecatini un’associazione di guide turistiche s’è inventata una passeggiata di due ore tra i luoghi di Galileo Chini: le Terme Tamerici, le Terme Tettuccio, il Palazzo Comunale, il Grand Hotel La Pace. E poi, il Palazzo Comunale, nelle sale in cui è stato allestito lo spazio “MO.C.A.” (“Montecatini Contemporary Art”, la galleria civica della città), gli dedica una mostra, cominciata a luglio e in programma fino al 7 gennaio, che raduna un buon numero di sue opere, selezionate da Paolo Bellucci, storico dell’arte, conoscitore dell’artista, curatore del repertorio Galileo Chini.

Come suggerisce il titolo (Galileo Chini – Opere nelle collezioni pubbliche e private di Montecatini Terme), è una mostra strettamente legata al luogo che la ospita. La selezione, una cinquantina di opere in tutto, riesce però a trasmettere con precisione la rilevanza di Galileo Chini nel contesto italiano e internazionale della sua epoca. L’Italia della Belle Époque si riflette nelle opere di Galileo Chini. Un caso pressoché unico in Europa: probabilmente nessun altro artista riuscì, al pari del fiorentino, a farsi interprete, e pure nello spazio d’un ristretto torno d’anni, del gusto, delle aspettative, degli umori di quell’epoca. Una società che cominciava a scoprire il benessere, il turismo, le vacanze, il superfluo. E Chini era l’artista perfetto per quella società: perché era il più versatile (sapeva vestire alternamente gli abiti del pittore, del ceramista, del decoratore, dello scenografo), perché era sempre presente alle grandi mostre internazionali e sapeva intercettare le mode prima di tutti gli altri (ed era pure in grado di reinterpretarle secondo la propria, originalissima sensibilità), perché ogni volta che esponeva riceveva consensi. Era l’artista preferito dell’Italia altoborghese del primo Novecento. Sorprendeva, ha scritto Filippo Bacci di Capaci, per la sua “incessante ricerca di fonti d’ispirazione (dall’antico alla tradizione, dalle ricerche estetiche contemporanee ai patrimoni culturali e linguistici di altre etnie, fino ai più varî manufatti artigianali)”, per “la prontezza nell’apprendere e il consequenziale estro inventivo”, per la sua “naturalezza nel muoversi instancabilmente da una città all’altra, quando gli spostamenti non erano semplici e rapidi come oggi”.

Allestimenti della mostra Galileo Chini – Opere nelle collezioni pubbliche e private di Montecatini Terme
Allestimenti della mostra Galileo Chini – Opere nelle collezioni pubbliche e private di Montecatini Terme
Allestimenti della mostra Galileo Chini – Opere nelle collezioni pubbliche e private di Montecatini Terme
Allestimenti della mostra Galileo Chini – Opere nelle collezioni pubbliche e private di Montecatini Terme
Allestimenti della mostra Galileo Chini – Opere nelle collezioni pubbliche e private di Montecatini Terme
Allestimenti della mostra Galileo Chini – Opere nelle collezioni pubbliche e private di Montecatini Terme
Allestimenti della mostra Galileo Chini – Opere nelle collezioni pubbliche e private di Montecatini Terme
Allestimenti della mostra Galileo Chini – Opere nelle collezioni pubbliche e private di Montecatini Terme

La mostra di Montecatini Terme riesce, con chiarezza e leggerezza, a far emergere il carattere vario e multiforme dell’arte di Galileo Chini. È una rassegna dall’impianto piuttosto consueto, simile a quello di diverse esposizioni che negli ultimi anni son state dedicate al versatile artista toscano: non c’è d’aspettarsi grosse novità dalla mostra, specialmente se si conosce già la produzione chiniana (chi invece non ha mai visto una mostra su Chini, vada senza indugiare). Un classico percorso tematico con la sala dedicata alla pittura decorativa, quella sul soggiorno in Thailandia, la sezione sui paesaggi (e in particolare sui paesaggi dell’amata Versilia), l’affondo sulla grafica e via dicendo. Tuttavia, la rassegna del Palazzo Comunale di Montecatini merita attenzione, per almeno tre buoni motivi (al di là, naturalmente, del forte legame che c’è tra l’artista e la città, dove Chini si recò per la prima volta nel 1904). Il primo lo s’incontra subito in avvio di percorso: è la sontuosa Primavera classica, una grande tela di quattro metri d’altezza per più di tre di larghezza, che l’artista dipinse nel 1914 per la sala dello scultore croato Ivan Meštrović alla Biennale di Venezia di quell’anno, parte d’un ciclo di quattordici pannelli, alcuni dei quali in origine abbinati, tutti dedicati alla primavera. Un dipinto dove la stagione più colorata assume le sembianze di cinque figure femminili che incedono, quasi a passo di danza, sopra un prato di fiori squillanti, scintillanti, chiuso sulla destra dal profilo di una colonna con la maschera del dio Hypnos: i riferimenti, ovvî, sono a Klimt, allo Jugendstil e al simbolismo europeo, che Chini rilegge filtrando le suggestioni provenienti dal nord Europa attraverso il calore della Toscana, l’aria di Venezia, il vitalismo della letteratura italiana del tempo, ma anche attraverso la semplicità e la tendenza all’astrazione dell’arte orientale conosciuta in prima persona durante il soggiorno in Siam. Lo stesso Chini ebbe a scrivere che, nel dipingere questo caposaldo della sua produzione, aveva pensato “alla primavera che allieta questa dolce Venezia quando accoglie gli artisti di tutto il mondo, all’arte, primavera spirituale che eternamente rispunta”, e che desiderava evitare “soggetti ardui e astrusi” per concentrarsi soltanto su “gamme e forme di colore e composte tonalità gradevoli”. La Primavera classica, dipinto radioso ma anche solenne e misticheggiante (la maschera del dio del sonno rimanda al pensiero teosofico che all’inizio del Novecento affascinò folte schiere d’artisti), oggi proprietà di Fondazione ViVal Banca, era peraltro presente anche alla mostra su Galileo Chini che fu allestita a fine 2021 nelle sale di Villa Bardini a Firenze, dov’era al centro d’una sezione dedicata all’apporto che Chini garantì alle Biennali di Venezia: a Montecatini è invece il fulcro, nella sala centrale del Palazzo Comunale, anch’essa con ornamenti del primo Novecento, della parte dedicata alla decorazione. Nel catalogo leggiamo che alla Biennale del 2014, quando i pannelli vennero esposti, non ci furono “occhi che per i dipinti dell’artista fiorentino, che inaspettatamente diventano i protagonisti dell’intera manifestazione”. Forse l’entusiasmo della mostra di Montecatini è troppo alto, ma è vero che ci furono molti commenti positivi sui suoi pannelli, e il fatto che dopo la mostra vennero venduti è un’ulteriore attestazione del loro successo, dacché nascevano come paramenti effimeri: la Primavera classica, rimasta nelle disponibilità della famiglia dell’artista, fu poi da quest’ultima destinata all’Accademia d’Arte di Montecatini, la cui raccolta, nel 2011, diventò proprietà della Fondazione della banca di credito della Valdinievole.

Il secondo motivo è la sezione dedicata a Firenze dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale, argomento tragico che spesso nelle rassegne su Chini non viene neppure sfiorato, anche perché non sono molte le opere che l’artista dedicò a questo tema: malgrado Chini avesse aderito al fascismo, poco prima dell’emanazione delle leggi razziali cominciò a maturare un sempre più crescente senso di disillusione, sfociato poi in aperta critica con un coraggioso dipinto, oggi noto come Il dittatore folle (oltre che come Il triste folle), che l’artista immaginò nel maggio del 1938, in occasione della visita a Firenze di Adolf Hitler. Il dipinto (attualmente alla Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna, mentre il bozzetto preparatorio è alla Galleria d’Arte Moderna di Firenze: è stato acquistato dalle Gallerie degli Uffizi nel 2019) avrebbe preso forma solo l’anno successivo, quando la Germania invase la Polonia e Chini volle denunciare col suo dipinto la follia della guerra, ma nel frattempo l’artista aveva subito la revoca della sua cattedra all’Accademia di Belle Arti e il ritiro della tessera del PNF proprio per le sue posizioni di dissenso: manifesto contro la follia e gli orrori della guerra, è stato esposto per la prima volta nel 2019. La rassegna di Montecatini racconta questa storia e lancia peraltro la proposta di cambiare nome al dipinto, intitolandolo Il veggente, dal momento che il folle assume le sembianze di un Laocoonte, già stretto tra le spire del serpente fatale, che vaga inascoltato mentre dietro di lui assistiamo a una scena di devastazione, giacciono corpi di uomini e donne morti, il paesaggio è devastato: è uno dei più brutali dipinti di quegli anni.

Galileo Chini, La Primavera Classica (1914; tecnica mista su tela, 400 x 330 cm; Montecatini Terme, Raccolta Fondazione ViValBanca)
Galileo Chini, La Primavera Classica (1914; tecnica mista su tela, 400 x 330 cm; Montecatini Terme, Fondazione ViVal Banca - Accademia d’Arte D. Scalabrino)
Galileo Chini, Rovine di Por Santa Maria (1944; olio su compensato, 60 x 45 cm; Montecatini Terme, Fondazione ViVal Banca - Accademia d’Arte D. Scalabrino)
Galileo Chini, Rovine di Por Santa Maria (1944; olio su compensato, 60 x 45 cm; Montecatini Terme, Fondazione ViVal Banca - Accademia d’Arte D. Scalabrino)
Galileo Chini, Rovine di Firenze (1944-1945; matita su carta, 265 x 205 mm; Collezione privata)
Galileo Chini, Rovine di Firenze (1944-1945; matita su carta, 265 x 205 mm; Collezione privata)
Galileo Chini, Ponte Vecchio, Rovine di Firenze (1944–1945; matita su carta, 265 x 203 mm; Montecatini Terme, Fondazione ViVal Banca - Accademia d’Arte D. Scalabrino)
Galileo Chini, Ponte Vecchio, Rovine di Firenze (1944–1945; matita su carta, 265 x 203 mm; Montecatini Terme, Fondazione ViVal Banca - Accademia d’Arte D. Scalabrino)
Galileo Chini, Rovine di Firenze (1944–1945; olio su compensato, 81 x 65 cm; Montecatini Terme, Fondazione ViVal Banca - Accademia d’Arte D. Scalabrino)
Galileo Chini, Rovine di Firenze (1944–1945; olio su compensato, 81 x 65 cm; Montecatini Terme, Fondazione ViVal Banca - Accademia d’Arte D. Scalabrino)

Se Il dittatore folle è solo evocato, in quanto l’opera non è presente in mostra, è tuttavia possibile osservare alcuni lavori che testimoniano le condizioni in cui versava Firenze dopo i bombardamenti del 1943. La famiglia di Chini subì direttamente le conseguenze della guerra, dal momento che nel 1943 fu costretta a sfollare a Montale, cittadina tra Prato e Pistoia, e il dramma personale dell’artista si riflette nei dipinti e nei disegni che raffigurano le distruzioni del centro storico di Firenze. L’artista poté tornare in città dopo la liberazione, nel settembre del 1944: ai suoi occhi s’apriva una città in macerie. Chini, all’epoca uomo di settantun anni, “sente la necessità e l’obbligo morale”, si legge nel catalogo della mostra, “di recarsi giornalmente sui luoghi della distruzione della sua amata Firenze per testimoniare con la sua pittura gli orrori della guerra e le sue conseguenze”. Ci rimane oggi una ventina di quadri, quasi tutti donati in seguito al Comune di Firenze, che serbano memoria di come fosse ridotta Firenze: il taglio paesaggistico, i toni cupi e terrosi dei dipinti di Chini, la scelta d’includere anche piccoli gruppi di abitanti che vagano tra le rovine della città ci restituiscono non soltanto un’immagine tristemente vivida delle condizioni del centro di Firenze a guerra finita, ma ci consentono di entrare nell’animo del pittore, comprendere il suo dolore, quasi di soffrire assieme a lui nel vedere come la guerra finì per abbattersi con tutta la sua violenza sulla sua città, la città che aveva sempre amato, una delle città più belle del mondo. È un Galileo Chini che non capita di veder spesso nelle mostre a lui dedicate.

Infine, terzo motivo d’interesse è la sala dedicata all’ultimo Galileo Chini, alla parte della sua produzione tendenzialmente più trascurata, eppure coerente, straordinaria e drammatica conclusione d’una delle vicende più originali dell’arte italiana del primo scorcio di Novecento. Dopo le fatiche della guerra, Chini è un artista incupito, gravato da una malattia agli occhi che lo condurrà alla cecità, un artista che soffre: le sue opere perdono la luce, perdono i colori, perdono la freschezza vitale degli anni passati e si fanno fosche, dense, materiche, più vicine all’espressionismo d’un Lorenzo Viani che alle fioriture del liberty verso cui s’era sempre rivolto il suo sguardo. Cambiano, poi, i soggetti: Galileo avverte la vicinanza della fine, e la morte diventa un tema ricorrente nella sua produzione. S’impossessa di lui uno spirito tragico, responsabile della produzione di opere che, ha scritto Fabio Benzi, “significano anche l’impossibilità di una generazione, quella decadente nata nell’ultimo quarto del secolo precedente, di adeguarsi al rivolgimento storico, sociale e culturale causato dalla seconda guerra mondiale”. Prima dell’addio, Chini fa in tempo a dipingere una tetra opera finale, L’ultimo amplesso, che chiude icasticamente il percorso della mostra di Montecatini: in questo dipinto aspro, sofferto, graffiante, arido, dai toni terrosi, l’artista raffigura se stesso, nudo, tra le braccia della morte che lo avvolge col suo manto nero e lo accoglie sullo sfondo d’un paesaggio deserto, con soltanto un ulivo spoglio come unica presenza, benché s’intraveda, in lontananza, un barlume d’azzurro nel cielo, flebile segno di speranza. Questa è l’immagine con cui Chini decide di consegnarsi alla storia, e questa è anche l’immagine con cui la mostra si chiude, imbastendo un parallelo, nella stessa sala, con la Donna avvolta da un volo d’uccello di Joan Miró, una delle più significative opere dell’artista catalano che si conservino in una raccolta pubblica italiana, dal momento che il dipinto è proprietà del Comune di Montecatini Terme.

Galileo Chini, L'ultimo amplesso (1953; olio su compensato, 100 x 84 cm; Montecatini Terme, Fondazione ViVal Banca - Accademia d’Arte D. Scalabrino)
Galileo Chini, L’ultimo amplesso (1953; olio su compensato, 100 x 84 cm; Montecatini Terme, Fondazione ViVal Banca - Accademia d’Arte D. Scalabrino)
Galileo Chini, Modellino scenografico per il Faust (1930-1935; tecnica mista, 60 x 30 x 38 cm; Montecatini Terme, Fondazione ViVal Banca - Accademia d’Arte D. Scalabrino)
Galileo Chini, Modellino scenografico per il Faust (1930-1935; tecnica mista, 60 x 30 x 38 cm; Montecatini Terme, Fondazione ViVal Banca - Accademia d’Arte D. Scalabrino)
Galileo Chini, Prime ore del mattino, la Fossa dell’Abate (1931; olio su compensato, 50 x 70 cm; Collezione privata)
Galileo Chini, Prime ore del mattino, la Fossa dell’Abate (1931; olio su compensato, 50 x 70 cm; Collezione privata)
Galileo Chini, Presso Camaiore, la casa sul canneto (1930 circa; olio su compensato, 65,5 x 80 cm; Collezione privata)
Galileo Chini, Presso Camaiore, la casa sul canneto (1930 circa; olio su compensato, 65,5 x 80 cm; Collezione privata)
Galileo Chini, Pineta piccola, Viareggio (1932 circa; plio su compensato, 36 x 44 cm; Collezione privata)
Galileo Chini, Pineta piccola, Viareggio (1932 circa; plio su compensato, 36 x 44 cm; Collezione privata)

Meritano poi una particolare menzione il piccolo focus sul Chini scenografo, con l’esposizione di un modellino tridimensionale per il Faust eseguito tra il 1917 e il 1935 e poi mai realizzato, e la sezione dedicata al paesaggio, genere cui Galileo Chini si dedicò con gran lena tra gli anni Venti e Trenta, quando vennero meno le commissioni per le grandi imprese decorative che avevano tenuto impegnato l’artista all’inizio del secolo, e occorreva dunque reinventarsi: l’artista seppe dunque continuare a essere quel prolifico e valente ceramista ch’era sempre stato, ma si propose anche come pittore da cavalletto che, seppur in ritardo, guardava alla poetica del paesaggio-stato d’animo per restituire sulle sue tavole tranquille e rasserenanti vedute della Toscana, specialmente della Versilia, terra in cui era solito trascorrere lunghi soggiorni. Ecco dunque che un quadro come le Prime ore del mattino coglie tutta la calma di un’alba rosata sulla Fossa dell’Abate, il canale che divide Lido di Camaiore da Viareggio, con le pinete ancora in ombra e la luna che inizia a cedere il passo alla luce del giorno, mentre Presso Camaiore si distingue per la sua verve quasi impressionista, con le betulle che paiono veramente agitate dal vento, e ancora la Pineta piccola pare quasi rinviare, coi suoi colori aciduli e il suo andamento regolare e ordinato, ai paesaggi di Klimt.

L’obiettivo dichiarato d’indagare la relazione tra Montecatini e le opere di Galileo Chini, artista che più d’ogni altri ha segnato la città termale, può dirsi dunque raggiunto. E operazioni come la mostra a Montecatini Terme, ovvero rassegne divulgative di buon livello, scientificamente valide, pensate per il territorio, supportate da una buona offerta didattica, vanno incoraggiate e sostenute: hanno costi contenuti (in questo caso, la rassegna è stata allestita interamente con opere conservate nella città e nei dintorni, senza quindi ricorrere a prestiti da fuori), ottime ricadute, svolgono un’azione culturale fondamentale, offrono preziose occasioni di approfondimento a tutti, abitanti e visitatori. In più, Galileo Chini – Opere nelle collezioni pubbliche e private di Montecatini Terme è anche a ingresso gratuito: una generosità che ci auguriamo venga ampiamente ripagata col successo di pubblico.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).




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