Milano riscopre Andrea Solario. Ecco com'è la bella mostra del Museo Poldi Pezzoli


Il Museo Poldi Pezzoli di Milano dedica la prima mostra di sempre ad Andrea Solario, artista leonardesco che ebbe una grande fortuna critica nell’Ottocento e poi è stato in parte dimenticato. Una delle mostre migliori dell’anno. La recensione di Federico Giannini.

Basterebbe un’opera sola, l’Ecce Homo del Poldi Pezzoli, per capire che razza d’artista è stato Andrea Solari. Basterebbe solo quel Cristo così ideale e così profondamente umano, a metà tra Antonello e Leonardo, tra l’esattezza lenticolare del siciliano e la morbidezza sfumata del toscano. Basterebbe quella cascata di riccioli castani che si perde sfumando nel fondo cupo, basterebbero le spine conficcate con ferina brutalità nella pelle, quella che penetra dall’arcata sopracciliare, buca l’epidermide e sfiora la palpebra, basterebbero le lacrime di vetro, la delicatezza del modellato che dà corpo al pettorale, al bicipite, alle mani legate da una corda che par quasi uscire dalla superficie, farsi incontro al riguardante. Parlava d’un Ecce Homo, nel Seicento, lo storiografo francese André Felibien, e lo riteneva financo migliore rispetto ai prodotti della mano di Leonardo da Vinci: “Avete visto”, scriveva, “questo Ecce Homo di Andrea Solario che è nel cabinet del signor duca di Liancourt: anche se è di un discepolo di Leonardo, nondimeno vale più di tanti altri dipinti di mano di Leonardo”. Non sappiamo quale sia questo Ecce Homo menzionato nella fonte secentesca. Ma non doveva esser così lontano da quello del Poldi Pezzoli.

È qui, nelle sale del pianterreno del museo milanese, che da qualche giorno s’è aperta la prima monografica di sempre dedicata ad Andrea Solari (o, alla latina, Andrea Solario, come s’è preferito chiamarlo in quest’occasione), troppo a lungo sbrigativamente derubricato come un leonardesco tra i tanti, malgrado anche lui abbia conosciuto momenti di fortuna critica esaltanti, forse anche oltre l’ordinario. Fin dalla presentazione della mostra, ch’è curata da Lavinia Galli e Antonio Mazzotta, son state messe in forte evidenza le stime economiche dei lavori di Solario registrati nell’inventario giudiziale, datato 1879, delle opere di Gian Giacomo Poldi Pezzoli, che del milanese acquistò cinque opere: si scopre allora che il Riposo durante la fuga in Egitto dell’artista milanese, che il pubblico trova in chiusura di percorso, era valutato 45mila lire (sarebbero 210mila euro di oggi), mentre la Madonna del libro di Botticelli meno della metà (20mila lire, 93mila euro attuali), e il Ritratto di dama del Pollaiolo (all’epoca però attribuito a Piero della Francesca) sole 7mila lire (32mila euro). Cinque dipinti di Andrea Solari nella collezione di Giacomo Poldi Pezzoli, e oggi vanto del museo, rimasti da allora nella raccolta di via Manzoni. Soltanto il Louvre ha un nucleo paragonabile. Ecco allora perché non poteva esistere un luogo migliore di questo ad accogliere la prima mostra su Solario. La sua città, il suo museo.

Nell’Ottocento, dunque, Solario valeva il doppio di Botticelli. Del milanese, scrive Lavinia Galli nel catalogo della mostra, affascinano all’epoca “la qualità raffinata e la ricchezza culturale, che spazia da Bellini a Leonardo, elevandolo ben al di sopra dei semplici seguaci del maestro toscano. Al contrario, Bernardino Luini, in passato esaltato dalla letteratura artistica milanese come genius loci, viene ora criticato dai conoscitori ottocenteschi per una certa ripetitività e una sacra indipendenza stilistica”. Andrea Solari, per Gustavo Frizzoni ch’è stato uno dei maggiori critici di fine Ottocento, è “il più raffinato fra quanti abbia prodotto la scuola lombarda dell’età d’oro”. Poi, nel Novecento, ci s’è un po’ dimenticati di lui. Ha smesso d’essere una figura che spiccava sulle altre ed è rientrato nel rango generico dei leonardeschi. E la rarità dei suoi lavori ha fatto il resto: si conoscono poche cose di Andrea Solari, non ci sono importanti imprese pubbliche a sua firma (l’unico ambiente che ebbe modo d’affrescare fu la cappella del castello di Gaillon in Normandia, distrutto però durante la rivoluzione francese: Solario lavorò quasi esclusivamente come pittore di tavole), nessuna sua opera è assurta all’empireo delle icone popolari, pochi sono i grandi musei che hanno in collezione i suoi lavori e la più parte della sua produzione si trova ancor oggi a Milano. Non aveva dunque le credenziali per esser considerato un artista di grossa caratura. La mostra La seduzione del colore. Andrea Solario e il Rinascimento tra Italia e Francia giunge pertanto a sanare una lacuna. Fin dal titolo, per dar conto che Solario è stato artista internazionale, artista che s’è mosso tra culture differenti, tra quella veneta nella quale s’è formato, quella milanese dalla quale proveniva e nella quale poi ha lavorato, e quella francese: in Francia, peraltro, Solario arrivò prima di Leonardo da Vinci. Si potrebbe dire che Andrea Solari è stato l’artista che ha portato il Rinascimento italiano in Francia. E i suoi spostamenti sono la chiave di lettura che i curatori della mostra offrono al pubblico per entrare nella sua produzione, con una suddivisione dell’itinerario espositivo che segue dapprima i suoi inizî in laguna, dopodiché si sposta in Francia e poi termina con Milano, seppur con una leggera sfasatura cronologica, dal momento che tra Venezia e la Francia si registra un nuovo passaggio milanese, di cui la mostra del Poldi Pezzoli dà conto nella sezione conclusiva. Ma non importa: il salto contribuisce a rendere più leggibile il percorso di visita.

Allestimenti della mostra La seduzione del colore. Andrea Solario e il Rinascimento tra Italia e Francia
Allestimenti della mostra La seduzione del colore. Andrea Solario e il Rinascimento tra Italia e Francia
Allestimenti della mostra La seduzione del colore. Andrea Solario e il Rinascimento tra Italia e Francia
Allestimenti della mostra La seduzione del colore. Andrea Solario e il Rinascimento tra Italia e Francia
Allestimenti della mostra La seduzione del colore. Andrea Solario e il Rinascimento tra Italia e Francia
Allestimenti della mostra La seduzione del colore. Andrea Solario e il Rinascimento tra Italia e Francia
Allestimenti della mostra La seduzione del colore. Andrea Solario e il Rinascimento tra Italia e Francia
Allestimenti della mostra La seduzione del colore. Andrea Solario e il Rinascimento tra Italia e Francia

Frizzoni riteneva che Solario fosse un “anello di congiunzione” tra la scuola veneta e quella lombarda. L’avvio della mostra, effettivamente, ce lo presenta come un artista che sembrerebbe già nuotare nelle acque della Venezia di Antonello da Messina: a lui guarda inevitabilmente il Ritratto di giovane prestato dalla Pinacoteca di Brera, prima opera che il visitatore incontra nel percorso di visita. Andrea Solari nasce a Milano, verso il 1470, da una famiglia di tradizione artistica, anche se le prime tracce della sua attività portano in laguna, quando doveva già esser maggiorenne da qualche anno. Eppure, suggerisce Federico Maria Giani in catalogo, anche questa prova precoce dell’estro di Andrea, da collocare nei primi anni Novanta del Quattrocento, si misura con Leonardo da Vinci e in particolare col Ritratto di musico senza il quale difficilmente si potrebbe spiegare il taglio del ritratto, col mezzo busto che lascia intravedere la mano, e financo “l’accentuata struttura ossea dello zigomo”, scrive lo studioso. È evidentemente un’opera prodotta a Milano, perché forte è il debito nei riguardi del Musico di Leonardo, ma chiara è anche la componente antonellesca (peccato non averli entrambi in mostra): come spiegare questa precoce convergenza? In un modo solo: Solario s’era interessato alle ricerche d’Antonello prima di trasferirsi a Venezia, aveva meditato su quello che di lui era disponibile a Milano, e poi se n’era andato in laguna per approfondire quelle ricerche, tant’è che la ritrattistica successiva è pienamente calata in questo contesto: si osservi allora il Ritratto d’uomo, prestito eccellente dalla National Gallery di Londra, in dialogo col ritratto braidense. Via il fondo cupo, subentra un paesaggio verdicante, terso, irrorato di luce cristallina, spiegabile solo per effetto d’un’attenta lettura (colta per la prima volta nel 1965 da Luisa Cogliati Arano) del Ritratto di Francesco delle Opere del Perugino, eseguito con tutta probabilità a Venezia dove il Perugino soggiornò diverse volte tra il 1494 e il 1497, dove il fiorentino Francesco delle Opere venne a mancare nel 1496, e dove lo stesso Solario lavorava proprio in quel torno d’anni. La somiglianza del paesaggio è impressionante, e la mostra del Poldi Pezzoli offre, per la prima volta, la rara possibilità di veder le due opere, una da Londra e l’altra dagli Uffizi, appaiata sulla stessa parete: una delle migliori qualità della mostra è la puntualità millimetrica dei prestiti. Tra i due dipinti, rileva Mazzotta, “sono numerosissimi i punti di contatto compositivi: il taglio all’altezza della vita, il rapporto figura-paesaggio, gli alberelli a fare da quinte, e persino la mano destra nell’angolo e appoggiata su un parapetto (nel caso del Perugino se ne intravede una sottile striscia)”.

Sulla parete opposta è invece nell’ambito del sacro che si consuma un altro confronto diretto, quello tra Andrea Solari e un altro leonardesco, Giovanni Antonio Boltraffio, l’artista che ha spesso fatto da mediatore tra Leonardo e Solario, “garantendo una distanza”, scrive Mazzotta, “che forse ha permesso a Solario di non bruciarsi, da giovane, avvicinandosi troppo alla luce del maestro (cosa che invece è successa ad altri: vedere Marco d’Oggiono)”. La Madonna tra san Giuseppe e san Simeone della Pinacoteca di Brera è la prima opera firmata e datata di Andrea Solari ed è anche ritenuta l’ultima sua opera veneziana: l’artista si firma “Andreas Mediolanensis”, ovvero “Andrea milanese”, segno che all’epoca (l’opera riporta la data 1495) era ancora operativo fuori dalla sua città natale (ma al di là di questo elemento, sappiamo che in antico la chiesa si trovava nella chiesa domenicana di San Pietro Martire a Murano): è dipinto che rilegge la tradizione delle sacre conversazioni veneziane, che ragiona sulle opere di Giovanni Bellini, di Cima da Conegliano, del Carpaccio, sulla base però d’un sostrato lombardo che riaffiora dopo che pareva quasi esser stato riposto nel ritratto londinese: il confronto con la Madonna di Boltraffio è per dimostrare oltre ogni dubbio che i riferimenti, nel modellare i corpi e nel comporre le pose dei due protagonisti principali, della Madonna seduta sul parapetto mentre regge tra le mani un bambinello biondo e paffuto, sono robustamente leonardeschi. In tutto questo, rimarrebbe da collocare la Madonna dei garofani, opera anch’essa lombarda e veneziana, opera di spirito leonardesco ma intrisa di sentori belliniani (il paesaggio oltre la finestra, anzitutto, che niente ha a che vedere coi paesaggi di Leonardo, e che anzi ha un sapore profondamente giorgionesco, come argomenta in maniera convincente Mazzotta accostandolo, in catalogo, all’Idillio campestre dei Musei Civici di Padova) e che però guarda anche a Dürer dacché la posa è la controparte esatta della Madonna della scimmia del tedesco (in mostra gli viene esposta accanto). Opera difficile da posizionare nel cursus di Andrea Solari perché più rigida rispetto anche al Ritratto di giovane che, pure, dovrebbe essere una delle sue prime cose. Opera che però si può immaginare eseguita a Venezia, in un momento in cui Solario forse tendeva più a riflettere sui suoi riferimenti lagunari che su quelli di casa.

Andrea Solario, Ritratto di giovane (1490-1494 circa; tavola; Milano, Pinacoteca di Brera) © Pinacoteca di Brera, Milano - MiC
Andrea Solario, Ritratto di giovane (1490-1494 circa; tavola; Milano, Pinacoteca di Brera) © Pinacoteca di Brera, Milano - MiC
Andrea Solario, Ritratto di uomo (1495 circa; tavola; Londra, The National Gallery) © The National Gallery, London
Andrea Solario, Ritratto di uomo (1495 circa; tavola; Londra, The National Gallery) © The National Gallery, London
Perugino, Ritratto di Francesco delle Opere (1494; tavola, 52 x 44 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Perugino, Ritratto di Francesco delle Opere (1494; tavola, 52 x 44 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Andrea Solario, Madonna tra san Giuseppe e san Simeone (1495; tavola trasportata su tela, 102,5 x 87 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)
Andrea Solario, Madonna tra san Giuseppe e san Simeone (1495; tavola trasportata su tela, 102,5 x 87 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)
Giovanni Boltraffio, Madonna col Bambino (1487-1490 circa; tavola, 45,5 x 35,6 cm; Milano, Museo Poldi Pezzoli)
Giovanni Boltraffio, Madonna col Bambino (1487-1490 circa; tavola, 45,5 x 35,6 cm; Milano, Museo Poldi Pezzoli)
Andrea Solario, Madonna dei garofani (1493-1494 circa; tavola, 77 x 64 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)
Andrea Solario, Madonna dei garofani (1493-1494 circa; tavola, 77 x 64 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)
Albrecht Dürer, Madonna della scimmia (1498 circa, tiratura moderna; bulino, 187 x 122 mm; Milano, Castello Sforzesco, Raccolta delle Stampe &lquo;Achille Bertarelli”)
Albrecht Dürer, Madonna della scimmia (1498 circa, tiratura moderna; bulino, 187 x 122 mm; Milano, Castello Sforzesco, Raccolta delle Stampe &lquo;Achille Bertarelli”)

E poi, con un salto, ecco nel 1507 la chiamata in Normandia. Quando, nel 1500, Ludovico il Moro viene deposto dai francesi, Andrea Solari è tra i pochi artisti che non abbandonano Milano: lo sappiamo dai documenti. Anzi, è tra gli artisti che si legano ai nuovi dominatori della città, e probabilmente per tre anni, dal 1507 al 1510, la sua attività si sposta in Francia benché, come detto, non rimanga niente della sua maggiore impresa, la decorazione della cappella del castello di Gaillon, distrutto nel 1799. Rimane però molto altro. Intanto, il ritratto del suo committente, Charles d’Amboise, governatore francese di Milano, che l’aveva chiamato in Normandia. È una sorta di versione maschile della Gioconda, si potrebbe dire (c’è comunque da evidenziare che in mostra è esposto col punto interrogativo vicino al nome di Solario: molti i dubbi sull’attribuzione, anche se il nome del protagonista dell’esposizione pare ai curatori e ai loro collaboratori il più probabile). E poi, alcuni dei frutti più pregiati della sua mano: in mostra si comincia con la Testa del Battista, esposta assieme al suo disegno ed eseguita nel 1507, probabilmente per Charles d’Amboise, magistrale per la resa della superficie metallica dell’alzata su cui poggia la testa del santo, per la precisione di quei riflessi tra i quali s’ha modo d’osservare, se si fa attenzione, persino un volto umano, probabilmente l’autoritratto di Solario. Opera fortunatissima, della quale si conoscono numerose copie e derivazioni: significa che anche in antico esisteva per Solario una forte considerazione. Anche lo stesso Solario avrebbe sperimentato sul tema, come attesta la Salomè che riceve la testa di san Giovanni Battista in arrivo dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, dipinto intriso di cultura milanese (sono stati avanzati anche confronti col Bramantino), ma aperto anche ad altre suggestioni, “con la sua minuzia decorativa e preziosa di sapore fiammingo e la stesura compatta e smaltata” (così Giovanni Renzi). E poi, l’opera forse più famosa di Andrea Solari, la Madonna del cuscino verde appena restaurata: tolta la patina gialla che la offuscava (e che la rendeva così simile alla Gioconda), è tornata a mostrarsi con cromie compatibili con quelle che il dipinto doveva avere in origine. Opera firmata “Andrea de Solario”, copiatissima fin dal Cinquecento, quasi venerata tre secoli più tardi, dipinto fondamentale per ricostruire l’intera attività del pittore milanese (non lo s’è detto, ma il dibattito attributivo su alcune sue opere, che adesso s’è assestato, ha conosciuto in passato momenti d’intensa vivacità), la Madonna del cuscino verde è attestata in Francia fin dal 1617, anno a cui risale la notizia del dono con cui i minori conventuali di Blois omaggiano la Maria de’ Medici, regalandole proprio la tavola di Solario. La Vergine, colta mentre allatta il Bambino, s’appoggia sul parapetto che torna spesso nell’arte di Solario, anche se paradossalmente la scena è ambientata in un esterno, come se la Madonna si sia fermata sopra un muretto mentre si trovava in un giardino, in quel prato che s’apre verso il fiume in lontananza. L’enorme cuscino verde allude alla Passione di Cristo, poiché rimando simbolico al sonno, quindi alla morte. L’opera è esemplata sul modello della Madonna Litta tradizionalmente attribuita a Leonardo da Vinci (in catalogo però si propende per l’assegnazione a Boltraffio) ed è una delle più “leonardesche” delle composizioni di Solario, che al candore un poco algido della Vergine oppone il gesto naturale, reso con somma grazia, della mano che offre il seno al Bambino (la testa girata verso la mammella è, notano i curatori, un sommo brano di virtuosismo), e soprattutto la spontaneità del bambino che si prende il piede con la manina. Una composizione che rielabora i risultati raggiunti da Solario con l’altra bella Madonna col bimbo poggiato sul cuscino verde, quella del Poldi Pezzoli, a sua volta dimostrazione d’una lettura attenta e originale della Madonna Litta, più coerente rispetto a quella della Madonna del cuscino verde (quella del Poldi Pezzoli è ambientata in un interno), ma anche meno rivoluzionaria, se così si può dire.

La conclusione, nella terza sala, è per gli ultimi anni milanesi: Andrea Solari scompare infatti nel 1524, assieme al fratello Cristoforo (di cui in mostra, nella prima sala, è presente una scultura raffigurante le Tre Grazie). Al ritorno dalla Normandia, s’aggiornano di nuovo i riferimenti di Andrea: la Cleopatra, unica sua opera di soggetto mitologico che si conosca (e opera sofferente, specialmente dopo aver subito il trasporto da tavola su tela), pur senza rinunciare all’impianto leonardesco, rilegge il paesaggio sulla base di quel che s’andava producendo nella Venezia del primo Cinquecento (difficile non pensare, per esempio, alle pareti rocciose dei Filosofi o dell’Omaggio a un poeta di Giorgione), ma anche alla luce delle novità della scena milanese, a cominciare dalle proporzioni statuarie che fanno pensare, per esempio, a un Bramantino. C’è spazio poi per presentare nuovamente Andrea Solario come virtuoso della ritrattistica, oltre che come pittore apprezzato dalle istituzioni (il ritratto del cancelliere ducale Gerolamo Morone, diverso rispetto a quelli dei primi anni perché mediato dal contatto con Lorenzo Lotto, può esser considerato un apice della ritrattistica lombarda del primo Cinquecento). C’è spazio, inoltre, per un ulteriore confronto con Leonardo (seppur col tramite d’un seguace, Cesare da Sesto, di cui è esposta una copia del gruppo della Sant’Anna, senza però sant’Anna): il Riposo durante la fuga in Egitto, ultima opera firmata di Andrea Solari a oggi nota, datata 1515, reinterpreta con delicata compostezza, ammantata di toni nordici, le invenzioni di Leonardo da Vinci e viene detto da Lavinia Galli il “capolavoro della maturità dell’autore” che giunge qui a “elaborare un personale e lirico stile” forse capace, secondo la curatrice, d’aver attirato il Correggio impegnato a dipingere la pala un tempo nella chiesa di San Francesco a Parma e oggi agli Uffizi. E poi, prima del congedo, ecco il Ritratto di dama e l’Ecce homo a dialogare su due pareti contigue. Dell’Ecce Homo, s’è detto in apertura: mirabile campione delle migliori doti di Andrea Solario, esempio di modellazione perfetta, fusione d’intensità drammatica e studio anatomico, summa dell’esperienze del pittore in viaggio tra il Veneto e la Lombardia mentre sul piano padano spira il vento delle Fiandre. Opera che non ha tema di rivaleggiare coi migliori Ecce homo di Antonello da Messina, più famosi di quello di Andrea Solari. Opera che invoglia a indugiare su ogni dettaglio, sulle spine, sulle stille di sangue, sui riccioli della barba, sulle palpebre arrossate dalle lacrime. Opera che introduce, infine, al Ritratto di dama che chiude la rassegna, a lungo attribuito a Boltraffio. Al pari della Madonna del cuscino verde è stata sottoposta a un restauro in occasione di questa mostra, che ha restituito nuova leggibilità alla tavola, ma niente ha potuto contro le ingiurie del tempo che hanno compromesso alcuni elementi (su tutti il tessuto rosso sul petto). Il restauro ha però consentito di donare nuovamente rilievo agli elementi che non hanno sofferto per l’indebolimento della pellicola, a cominciare dalla parte bassa delle maniche: è qui, in questo damascato cangiante di blu oltremare ch’è da osservare l’ultimo, irrinunciabile brano di virtuosismo di questa mostra.

Andrea Solario (?), Ritratto di Charles d’Amboise (1510 circa; tavola; Parigi, Museo del Louvre, Département des Peintures) © GrandPalaisRmn (musée du Louvre) / Franck Raux
Andrea Solario (?), Ritratto di Charles d’Amboise (1510 circa; tavola; Parigi, Museo del Louvre, Département des Peintures) © GrandPalaisRmn (musée du Louvre) / Franck Raux
Andrea Solario, Testa di San Giovanni Battista (1507; tavola, tela incorporata nella preparazione; Parigi, Museo del Louvre, Département des Peintures) © GrandPalaisRmn (musée du Louvre) / Franck Raux
Andrea Solario, Testa di San Giovanni Battista (1507; tavola, tela incorporata nella preparazione; Parigi, Museo del Louvre, Département des Peintures) © GrandPalaisRmn (musée du Louvre) / Franck Raux
Andrea Solario, Madonna con il Bambino (Madonna del cuscino verde) (1510 circa; tavola, tela incorporata nella preparazione; Parigi, Museo del Louvre, Département des Peintures) © GrandPalaisRmn (musée du Louvre) / Michel Urtado
Andrea Solario, Madonna con il Bambino (Madonna del cuscino verde) (1510 circa; tavola, tela incorporata nella preparazione; Parigi, Museo del Louvre, Département des Peintures) © GrandPalaisRmn (musée du Louvre) / Michel Urtado
Andrea Solario, Madonna col Bambino (1505-1510 circa; tavola, 37,4 x 27,7 cm; Milano, Museo Poldi Pezzoli)
Andrea Solario, Madonna col Bambino (1505-1510 circa; tavola, 37,4 x 27,7 cm; Milano, Museo Poldi Pezzoli)
Andrea Solario, Ritratto di Gerolamo Morone (1522 circa; tavola; Collezione privata). Foto: fotodarte
Andrea Solario, Ritratto di Gerolamo Morone (1522 circa; tavola; Collezione privata). Foto: fotodarte
Andrea Solario, Cleopatra (1515 circa; tavola trasportata su tela; Collezione privata). Foto: fotodarte
Andrea Solario, Cleopatra (1515 circa; tavola trasportata su tela; Collezione privata). Foto: fotodarte
Andrea Solario, Riposo durante la fuga in Egitto (1515; tavola; Milano, Museo Poldi Pezzoli)
Andrea Solario, Riposo durante la fuga in Egitto (1515; tavola; Milano, Museo Poldi Pezzoli)
Cesare da Sesto, Madonna con il Bambino e l'agnello (1515 circa; tavola, 37 x 30 cm; Milano, Museo Poldi Pezzoli)
Cesare da Sesto, Madonna con il Bambino e l’agnello (1515 circa; tavola, 37 x 30 cm; Milano, Museo Poldi Pezzoli)
Andrea Solario, Ecce Homo (1500-1505 circa; tavola; Milano, Museo Poldi Pezzoli)
Andrea Solario, Ecce Homo (1500-1505 circa; tavola; Milano, Museo Poldi Pezzoli)
Andrea Solario, Ritratto di donna (1500-1505 circa; tavola; Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco) © Comune di Milano/AlephComo 2024
Andrea Solario, Ritratto di donna (1500-1505 circa; tavola; Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco) © Comune di Milano/AlephComo 2024

Finale magnetico, dunque, per una mostra intelligente, dalle dimensioni contenute, e che pertanto non conosce momenti per cali d’attenzione. Al Poldi Pezzoli è radunata quasi tutta l’opera di Andrea Solari, fatta eccezione per quel che non s’è potuto spostare, come la Crocifissione del Louvre, rimasta in Francia per motivi legati al suo stato di conservazione, o come la grande pala dell’Assunzione della Vergine della Certosa di Pavia ch’è stata giustamente lasciata sull’altare che la ospita. È questa, peraltro, l’unica opera di Solario citata da Giorgio Vasari, che si riferisce al pittore milanese chiamandolo “Andrea del Gobbo”, dal soprannome del fratello Cristoforo ch’era noto, appunto, come “il Gobbo”. Anche la confusione sulla sua identificazione, peraltro aggravata dai nomi con cui lo stesso artista si firmava (alternamente “Andrea de Solario” e “Andrea Mediolanensis”, come s’è visto sopra), ha contribuito in parte a offuscare la sua fama. Una fama che il Poldi Pezzoli adesso sta sapientemente rilanciando, rispondendo a una “sfida”, come l’ha chiamata la direttrice Alessandra Quarto, perché non è facile allestire una mostra del genere, frutto d’impegno e lunghe ricerche, con una campagna di restauri debitamente calibrata, su di un artista poco noto al pubblico, quando la tendenza volge in altra direzione e i progetti anche di musei più noti e visitati tendono a convergere su mostre dedicate ai nomi da hit parade, con progetti di livello tutt’altro che eccelso. Qui, invece, accade il contrario. La mostra su Andrea Solario è coinvolgente, invitante, seducente come da titolo, corretta nelle sue dimensioni, forte di una selezione di opere ben mirata, disposta lungo una scansione accorta, magistrale, puntuale nei raffronti, precisa negli apparati che non sommergono le opere come spesso accade, ma esortano anzi il pubblico a indugiare sulle immagini. Una mostra che offre al pubblico la possibilità di riscoprire davvero nei dettagli Andrea Solario, un maestro poco conosciuto, un grande pittore milanese, un virtuoso del colore, l’artista ch’è stato il ponte tra la Lombardia e il Veneto agl’inizî del Cinquecento. Una mostra che, senza dubbio, si candida a essere ritenuta una delle migliori di questo 2025.

La stessa precisione della mostra è da rinvenire poi nell’ottimo catalogo edito da Dario Cimorelli, che di fatto si configura come una monografia sull’artista, coi due piacevoli saggi introduttivi dei curatori, e con le dettagliate schede dedicate alle opere, per ognuna delle quali viene minutamente precisata l’intera storia critica. Curiosa, infine, l’appendice dedicata a Robert Wilson, il regista teatrale americano che peraltro, nei giorni scorsi, ha inaugurato l’edizione di quest’anno del Salone del Mobile con un’illuminazione (piuttosto discutibile, in tutta franchezza) della Pietà Rondanini: uscendo dalla mostra, dopo aver superato la tenda che, a mo’ di sipario, divide gli spazi dell’esposizioni temporanee da quelli della raccolta permanente, ci s’imbatte subito nei tre Lady Gaga Portraits che Wilson ha concesso per la mostra: sono i video ritratti della cantante americana in cui il volto di Stefani Germanotta si fonde con la Testa del Battista di Solario che il pubblico ha visto in mostra. Wilson li realizzò per una sua mostra personale del 2013 al Louvre. Rilettura pop di un capolavoro di Solario per una chiusura di mostra inattesa e gradevolmente anticonvenzionale.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Al suo attivo anche docenze in materia di giornalismo culturale (presso Università di Genova e Ordine dei Giornalisti), inoltre partecipa regolarmente come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).




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