La più monumentale pala d’altare di Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino venne commissionata al pittore centese nel 1621 da papa Gregorio XV, al secolo Alessandro Ludovisi, per l’altare di testa della navata settentrionale della Basilica di San Pietro, dove nel 1606 erano state poste le spoglie di santa Petronilla, santa molto venerata dalla chiesa cattolica, martirizzata a Roma proprio per aver abbracciato la fede cristiana e considerata secondo la tradizione figlia naturale o spirituale dell’apostolo Pietro. Il capolavoro oggi custodito ai Musei Capitolini (dal 1818, da quando venne riportata in Italia da Antonio Canova poiché requisita dalle truppe napoleoniche, e già nel 1730 trasferita al Palazzo del Quirinale e sostituita da una riproduzione in mosaico di Pietro Paolo Cristofari) raffigura su due livelli, per il suo assetto verticale, proprio il Seppellimento e la gloria di santa Petronilla: la vediamo in primo piano in basso con il capo ornato da una coroncina di fiori freschi mentre due uomini stanno calando il suo corpo nel sepolcro (quello vestito di azzurro è stato peraltro identificato da parte di due critici con Michelangelo Buonarroti), più uno di cui si vedono solo le mani, tra alcuni astanti che la indicano e altri che osservano la scena, al di sopra della quale si assiste invece all’ammissione della santa in paradiso, con Cristo che si alza dal trono di nuvole circondato da angeli. Un capolavoro che si distingue per il suo dinamismo, per i contrasti cromatici e soprattutto per una profonda umanità e naturalezza.
Prende il via proprio da questa monumentale opera, con un suo fac-simile a dimensione naturale, la grande mostra che fino al 26 gennaio 2025 si snoda negli spazi espositivi delle Scuderie del Quirinale a Roma, dal titolo Guercino. L’era Ludovisi a Roma, a cura di Raffaella Morselli e Caterina Volpi. L’esposizione, come si potrebbe pensare dal titolo, non è una mostra monografica dedicata all’arte di Guercino negli anni del papato Ludovisi, ma una mostra sull’era Ludovisi dove il Guercino è tra i suoi protagonisti principali. Attraverso il percorso espositivo infatti il pubblico ha occasione di ripercorrere il breve ma influente pontificato di Gregorio XV Ludovisi, durato appena due anni (fu tra i più brevi del Seicento, dal 1621 al 1623), che si caratterizzò per importanti iniziative sia sul piano politico che culturale. Da un lato, il papa rafforzò il ruolo universale della Chiesa cattolica attraverso l’istituzione della Congregazione di Propaganda Fide e il supporto alla missione globale della Compagnia di Gesù; dall’altro, con il supporto del cardinale Ludovico suo nipote, mecenate illuminato, diede avvio a un periodo di straordinaria fioritura artistica e culturale, con la promozione di grandi artisti e la creazione di una delle più celebri collezioni d’arte del tempo. Per far comprendere la ricchezza artistica di questo periodo, le opere del Guercino sono accompagnate, e talvolta poste a confronto, nelle sezioni di cui si compone la mostra, con le opere dei migliori artisti che resero Roma in quegli anni centro propulsore dell’attività artistica: Guido Reni in particolare, ma anche Domenichino, Giovanni Lanfranco, Annibale e Ludovico Carracci, Pietro da Cortona, Nicolas Poussin, Gian Lorenzo Bernini.
Protagonisti della prima sezione sono tuttavia Guercino e papa Gregorio XV Ludovisi: il primo raffigurato nell’Autoritratto a mezzo busto della Schoeppler Collection di Londra, tra i pochissimi autoritratti della sua produzione, e il secondo rappresentato dal busto in bronzo realizzato da Gian Lorenzo Bernini che figurava nella sala d’onore del Casino Ludovisi, sotto l’affresco della Fama eseguito dal Guercino. Ecco quindi che prende il via così, insieme alla citata Pala di santa Petronilla e una veduta dell’interno della Basilica di San Pietro realizzata da Pietro Francesco Garola nella quale è inclusa la pala, il racconto del pontificato Ludovisi intrecciato con la pittura del giovane artista che a Roma visse uno dei momenti più significativi della sua carriera.
Sebbene Guercino sia spesso considerato un autodidatta, la sua formazione è stata profondamente influenzata dai Carracci, in particolare dalla cosiddetta Carraccina, esposta in mostra, dipinta da Ludovico Carracci nel 1591 per la chiesa annessa al convento dei cappuccini di Cento, paese natale del Guercino. L’artista ebbe quindi modo di studiare il naturalismo espressivo tipico della pittura emiliana su questa Sacra Famiglia con san Francesco e donatori. E nel 1617 ebbe occasione di vedere a Bologna le grandi pale d’altare di Annibale e Ludovico Carracci dalle quali assimilò la capacità di creare composizioni sacre teatrali e coinvolgenti, come si vede ad esempio nel dipinto, anch’esso qui esposto, uno dei primi firmati dall’artista, raffigurante San Bernardino da Siena e san Francesco da Assisi che pregano la Madonna di Loreto eseguito per la chiesa di San Pietro a Cento.
A questi dipinti seguono nel percorso espositivo quattro tele di forte impatto teatrale realizzate nel 1618 che costituiscono le prime prove commissionate al pittore centese da Alessandro e Ludovico Ludovisi nel periodo precedente a quello romano. Il legame tra Alessandro Ludovisi e Giovan Francesco Barbieri si sviluppò infatti inizialmente a Bologna, dove il futuro papa aveva ricoperto la carica di cardinal legato. Sebbene Ludovisi avesse contatti con importanti artisti dell’epoca, come Ludovico Carracci e Guido Reni, il suo interesse principale si concentrò sul giovane Guercino. Fu grazie al canonico Antonio Mirandola che Guercino ricevette le sue prime commissioni pubbliche, poiché questi, nel 1612, rimase colpito dalla capacità creativa del pittore tanto che ne divenne agente e, nel 1615, gli fece esporre a Bologna un San Mattia che attrasse l’attenzione di Ludovico Ludovisi, nipote del futuro papa. L’artista venne poi invitato a pranzo a palazzo Ludovisi, dove incontrò Lavinia Albergati, moglie di Orazio Ludovisi, fratello di Alessandro. Questo incontro segnò l’inizio della relazione del pittore con i Ludovisi, che si sarebbe consolidata successivamente a Roma. Due anni più tardi, nel 1617, Guercino si trasferì a Bologna, dove la sua pittura fu notata da Ludovico Carracci, che in due lettere datate dello stesso anno elogiò il modus pingendi del giovane centese, descrivendolo come un “mostro di natura” per la sua straordinaria abilità pittorica.
L’inizio di un rapporto di committenza che avrebbe avuto un forte impatto sulla carriera di Guercino fu segnato dunque dalle quattro opere menzionate, raffiguranti Il ritorno del figliol prodigo, Lot e le figlie, Susanna e i vecchioni, e San Pietro resuscita Tabita, riunite qui in questa occasione grazie ai prestiti da Madrid, dalle Gallerie degli Uffizi e dai Musei Reali di Torino. Tuttavia l’attenzione per il pittore centese si era diffusa a Roma ancora prima del suo arrivo nella Capitale grazie a opere come Erminia ritrova Tancredi ferito, anch’essa presente in mostra, commissionata da Marcello Provenzale, mosaicista centese, e inviata in dono nel 1621 a Roma a Stefano Pignatelli per la sua nomina a cardinale.
Lo sguardo viene catturato a questo punto dalla grande tela, esposta per la prima volta al pubblico, del Peccato originale del Domenichino eseguita in collaborazione con Giovan Battista Viola ed Elia Maurizio. Il dipinto, che immortala l’istante in cui Eva scopre di essere nuda e si accovaccia permettendo ad Adamo di assumere una posa da Adamo michelangiolesco, è un trionfo della natura esotica lussureggiante e della ricca varietà di specie animali. Un’opera-manifesto dell’arte promossa da Ludovico Ludovisi e dall’Accademia dei Lincei che coniuga riferimenti all’antico, pittura moderna e il repertorio naturalistico e zoologico, e che in mostra introduce gli ambienti espositivi dedicati alla Villa Ludovisi, la sontuosa dimora che aveva il compito di dichiarare pubblicamente il ruolo di prestigio della famiglia del nuovo pontefice. Costruita sui resti degli antichi Orti di Sallustio a partire dal 1621 con l’acquisizione della vigna e del Casino già appartenuto al Cardinal Del Monte, la Villa comprendeva il palazzo di rappresentanza, dove era custodita la collezione Ludovisi composta da statue antiche e moderne e dai dipinti dei grandi maestri del Rinascimento e dei pittori moderni, e il Casino, dove erano riuniti i preziosi e le opere di dimensioni ridotte e dove tuttora si può ammirare nella volta della sala centrale al pian terreno uno dei capolavori più celebri del Guercino: l’affresco dell’Aurora sul carro all’interno di una quadratura illusionistica ad opera di Agostino Tassi, con le figure della Notte e del Giorno. Il capolavoro, esempio magistrale della capacità di Guercino di combinare elementi mitologici e naturali in una composizione che celebra il tempo e l’armonia universale, viene qui ricreato attraverso proiezioni sul soffitto e sulle pareti, seguito poi nella sala successiva da studi e disegni del Guercino per l’affresco e disegni di altri artisti a testimoniare la fortuna che ebbe questo soggetto. Presenti anche l’Ares Ludovisi, rinvenuto nel rione Campitelli, nell’area di Palazzo Santacroce, acquistato da Ludovico Ludovisi nel 1622 e restaurato nello stesso anno da Gian Lorenzo Bernini, che intervenne in modo ossequioso per alcuni particolari anatomici e con estrema libertà in corrispondenza dell’elsa della spada e nel Cupido, e il Carro di Venere realizzato a tempera da Pietro da Cortona.
Uno degli aspetti più interessanti della mostra è il confronto tra Guercino e Guido Reni, due dei più grandi pittori del Seicento italiano che ebbero un ruolo privilegiato nell’era Ludovisi. Questo confronto conclude il percorso espositivo del primo piano con la presentazione di due straordinarie pale d’altare: la Crocifissione con la Vergine e i santi Giovanni Evangelista, Maria Maddalena e Prospero patrono di Reggio realizzata da Guercino tra il 1624 e il 1625 per la Basilica della Ghiara a Reggio Emilia, seconda per grandezza solo alla Pala di santa Petronilla, e la Trinità dei Pellegrini realizzata da Guido Reni tra il 1625 e il 1626, commissionata dal cardinale Ludovisi per la chiesa della Santissima Trinità dei Pellegrini a Roma in occasione del Giubileo indetto da papa Urbano VIII il 29 aprile 1624. La Crocifissione di Guercino, con il suo chiaroscuro drammatico e la tensione emotiva, rappresenta un esempio perfetto del pathos e del realismo che caratterizzano la sua opera. Al contrario, la Trinità dei Pellegrini di Guido Reni è un capolavoro di classicismo luminoso e di simmetria. Un confronto tra i due artisti che offre una visione unica delle diverse sensibilità artistiche dell’epoca, come si può notare anche nelle differenti raffigurazioni di san Filippo Neri dell’uno e dell’altro pittore e nelle Teste di Cristo coronato di spine. Vale da solo la mostra inoltre il Mosè entrato recentemente nel catalogo del Guercino: un ritratto in primo piano del profeta colto nel pieno di una visione estatica e illuminato sulla testa da due raggi di luce.
Il secondo piano si apre con dipinti che testimoniano come la fama di Guercino si diffuse rapidamente negli ambienti aristocratici della Capitale: il periodo romano rappresentò per lui un vero punto di svolta per la sua carriera e la sua pittura conquistò il favore dell’élite romana per la sua forza espressiva, l’innovazione prospettica e i dettagli realistici. Vediamo quindi il San Girolamo conservato a Palazzo Barberini, dove il pittore rappresenta il santo in un momento di profonda umanità, intento a sigillare una lettera. La torsione del corpo, i dettagli realistici e l’intimità domestica della scena sono caratteristiche distintive dello stile del pittore, che coniugava naturalismo e coinvolgimento emotivo. Il dipinto è attestato nell’inventario post mortem dei beni del marchese Valerio Santacroce. Vediamo La cattura di Cristo, proveniente da Cambridge, dipinta poco prima del trasferimento dell’artista a Roma, che si caratterizza per il grande impatto teatrale e il realismo drammatico, evidente nei gesti e nelle espressioni dei personaggi. Venne eseguito con l’Incredulità di san Tommaso della National Gallery di Londra per Bartolomeo Fabri, proprietario dei locali dove Guercino aveva installato l’Accademia del Nudo a Cento dal 1618. E ancora, San Matteo e l’angelo, documentato nella ricca collezione del cardinale Carlo Emanuele Pio di Savoia; e il Ritorno del figliol prodigo, attestata di proprietà della famiglia Lancellotti, tra le più importanti famiglie romane.
Guercino ottenne un posto privilegiato anche tra i protetti di Scipione Borghese, che dopo aver ammirato alcune sue opere da cavalletto decise di affidargli una delle più importanti commissioni pubbliche del momento: il monumentale San Crisogono in gloria (esposto in fac-simile), destinato al soffitto della chiesa di San Crisogono a Trastevere. L’opera, completata nel 1622, è un esempio straordinario di pittura barocca da soffitto, con forme ben definite e una prospettiva audace (si notino in particolare le ginocchia del santo poste in scorcio all’osservatore). Rimosso dalla chiesa nell’Ottocento e sostituito con una copia, il dipinto originale si trova oggi a Lancaster House a Londra.
Come detto sopra e come abbiamo già potuto notare nel corso dell’itinerario espositivo, in mostra sono presenti altri artisti oltre a Guercino: se finora abbiamo incontrato in particolare Domenichino, Guido Reni e Gian Lorenzo Bernini, ora in questa successiva sala troviamo esposti pittori che vennero influenzati dalla pittura veneta. Durante il pontificato di Gregorio XV, l’acquisizione da parte di Ludovico Ludovisi dei celebri Baccanali di Tiziano, ovvero L’Offerta a Venere e il Baccanale degli Andrii (qui presenti in copie di Padovanino e Scarsellino), originariamente realizzati per Alfonso d’Este e ora conservati al Museo del Prado, segnò un evento straordinario per l’arte a Roma. Questi capolavori, provenienti dalla collezione del cardinale Pietro Aldobrandini e poi acquistati da Ludovico Ludovisi, ispirarono profondamente la nascita della corrente artistica “neo-veneta”, che influenzò la pittura europea per lungo tempo. I temi di Marte, Venere e Cupido, ricorrenti nella collezione Ludovisi e rappresentati nelle opere di Tiziano, generarono una forte ispirazione che si riflette nei dipinti con amorini e puttini di Poussin (Il baccanale di putti), Domenichino (Allegoria dell’Agricoltura, dell’Astronomia e dell’Architettura), Guido Reni (Lotta di amorini e baccarini) e Francesco Albani (Danza di amorini), oltre che nelle sculture di Bernini, Algardi e Duquesnoy. Un esempio significativo dell’influenza esercitata da questa collezione è il dipinto Venere, Marte e Amore di Guercino, realizzato nel 1633 per Francesco I d’Este, che possiamo ammirare al centro di questa sala (da notare come la freccia di Cupido e l’indice di Venere puntino sempre verso l’osservatore). Un’opera intrisa di richiami alla scultura classica e alla pittura veneta che dimostra quanto il soggiorno romano avesse permeato lo stile dell’artista. Anche altre opere del periodo, come Il trionfo di Bacco di Pietro da Cortona e Amarilli e Mirtillo di Antoon van Dyck qui esposte, mostrano un legame con il Baccanale degli Andrii e una particolare influenza dell’Aurora di Guercino.
È inoltre qui presente uno dei capolavori del Guercino, Et in Arcadia Ego, citato per la prima volta di sua mano nell’inventario di Antonio Barberini del 1644 e realizzato dal pittore dopo il suo ritorno da Venezia. E proprio all’Arcadia e alla pittura di paesaggio è dedicata la penultima sezione. Ludovico Ludovisi, inizialmente interessato a paesaggi di scuola veneta e ferrarese, come quelli di Jacopo Bassano, Palma il Vecchio e Dosso Dossi, favorì un’evoluzione verso una rappresentazione idealizzata della natura ispirata all’Arcadia classica. Questo approccio è evidente nelle commissioni per il fregio della Stanza dei Paesi nel Casino Pinciano, dove Guercino, Domenichino, Giovan Battista Viola e Paul Bril contribuirono con scene che celebrano una natura ordinata e calma, influenzata dalla scuola carraccesca. In mostra, la nuova tipologia del paesaggio ideale è rappresentata dal Paesaggio con Ercole e Caco di Domenichino (1621-1622) realizzato per Ludovico Ludovisi; una composizione monumentale che unisce una veduta ideale e una rappresentazione naturale, con l’introduzione di soggetti mitologici. Una visione della natura che continuò a ispirare anche artisti successivi come Pietro Paolo Bonzi, Pietro da Cortona e Agostino Tassi, il quale, come si vede nelle sue opere esposte, risente sia dell’influenza dei marmi Ludovisi sia della pittura dello stesso Guercino. Di quest’ultimo sono inoltre visibili alcuni paesaggi, tra cui il Paesaggio al chiaro di luna con carrozza proveniente da Stoccolma con il suo pendant Paesaggio con cavaliere e viandanti nei pressi di un fiume da collezione privata, riuniti dopo oltre cinquant’anni per questa mostra, realizzati tra il 1616 e il 1617 e che risentono entrambi delle atmosfere crepuscolari di Ludovico Carracci. O il Paesaggio con Tobiolo e l’angelo, l’unico paesaggio del pittore, insieme a Et in Arcadia Ego, ad aver riscontro nelle collezioni seicentesche e come quest’ultimo a vantare una provenienza Barberini.
La mostra si conclude ancora una volta con confronti, parallelamente alla conclusione del primo piano espositivo: un trittico di ritratti che raffigurano papa Gregorio XV e il cardinale suo nipote Ludovico Ludovisi per rimarcare ulteriormente i due protagonisti dell’era Ludovisi. Al centro il Ritratto di papa Gregorio XV e del suo nuovo cardinale Ludovico Ludovisi realizzato da Domenichino e proveniente da Béziers; a destra il Ritratto di papa Gregorio XV realizzato da Guercino e proveniente dal J. Paul Getty Museum di Los Angeles; a sinistra il Ritratto del cardinale Ludovico Ludovisi realizzato da Ottavio Leoni e proveniente dal Szépművészeti Múzeum di Budapest. Ben si nota la differenza d’approccio nella rappresentazione del pontefice da parte di Domenichino e Guercino: il primo è ufficiale e raffinato, in linea con la grande tradizione ritrattistica di Raffaello e Tiziano, mentre il secondo si distingue per il suo carattere intimo e diretto, che offre un’immagine privata del pontefice destinata a un coinvolgimento immediato con lo spettatore. Domenichino raffigura il pontefice seduto di tre quarti su una sedia camerale rivestita da broccato d’oro con accanto, in piedi, il nipote che probabilmente tiene nella mano destra la lettera della nomina cardinalizia; Guercino rappresenta invece papa Gregorio XV seduto da solo mentre guarda l’osservatore e con alcun oggetto che tende a esaltarne il ruolo e lo sfarzo, al contrario del ritratto del Domenichino dove elementi alludono a una maggiore ricercatezza dei particolari, come la campanella finemente cesellata, il panno ricamato nella mano sinistra del cardinale, la pantofola rossa che si scorge sotto la veste bianca del papa. Anche il ritratto eseguito da Ottavio Leoni del cardinale presenta dettagli che alludono alla ricchezza e al prestigio, quali la sedia intarsiata rivestita di velluto rosso, la veste ricamata e l’anello d’oro con diamante sfaccettato nell’anulare destro.
Si chiude così una mostra che ha riunito insieme dipinti dopo molti anni, che ha portato opere finora mai esposte, che ha incluso nel suo percorso non pochi confronti tra i maggiori artisti del Seicento, oltre allo straordinario Mosè entrato recentemente nel catalogo del Guercino. Il tutto in un percorso espositivo ben costruito e ben spiegato dai pannelli di sezione e dalle brevi ma chiare descrizioni che accompagnano le opere più significative. Utile anche il catalogo che include le schede di tutte le opere e saggi dedicati a Guercino nella Roma dei Ludovisi. Una mostra che a ragione si è meritata di essere tra le più apprezzate e visitate del 2024.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.