Tutti (o quasi) contro la proposta di Calenda sui musei. Cosa ne pensano gli addetti ai lavori


Cosa ne pensano gli addetti ai lavori della proposta di Calenda sui musei? Tutti contrari (tranne uno) sull’idea di accorpare fisicamente le collezioni. Alcuni però gli riconoscono il merito di aver sollevato alcuni problemi.

In attesa di ricevere da Carlo Calenda le sue osservazioni, annunciate già lo scorso 20 agosto ma al momento non ancora pervenute, sull’articolo con cui il nostro direttore Federico Giannini commentava la sua proposta per i Musei Capitolini, oggi facciamo il punto della situazione: cosa pensa il settore dei beni culturali sulle idee del candidato sindaco per Roma? Riassumendo (la proposta integrale si trova sul sito di Calenda), il leader di Azione ha ideato un piano in 4 fasi: “Spostare gli uffici del comune dal Campidoglio per creare un unico spazio espositivo dove concentrare le collezioni che permettono di ricostruire la Storia di Roma, oggi frammentate in più musei sparsi”, con l’obiettivo di far diventare il Campidoglio il più grande museo di Roma; “Creare una vera sinergia tra il Museo di Roma e l’Area Archeologica dei fori Imperiali, rendendo tutto il Campidoglio un’unica grande area museale che presenti una narrazione continua e suggestiva della storia della Città”; “Riorganizzare il percorso espositivo interno con l’aiuto di esperti, per accompagnare al meglio il visitatore e ricostruire più fedelmente possibile i periodi storici e le età di Roma”; “Utilizzare la multimedialità di ultima generazione”.

Abbiamo raccolto i pareri di addetti ai lavori (storici dell’arte, curatori, critici, giornalisti che si occupano di cultura) che sono usciti, con firma, sulla stampa nazionale. I pareri si sono concentrati soprattutto sull’idea di accorpare le collezioni di arte romana di diversi musei (Museo Nazionale Romano, Museo di Roma, Museo della Civiltà, Centrale Montemartini) ai Capitolini. Li presentiamo in ordine di come sono usciti.

Lo storico dell’arte Tomaso Montanari, su Il Fatto Quotidiano (21 agosto), ha sonoramente bocciato l’idea di Calenda. “Dopo una deludente visita ai Musei Capitolini in cui non ha capito una mazza”, scrive beffardo lo studioso, “ecco l’illuminazione: accorpiamoli alle troppe (!) sedi del Museo Nazionale Romano e al Museo di Roma, e facciamo un unico enorme manuale di storia romana [...]: come dire che per risolvere i problemi del bilancio del Comune, basta stampare gli euro in Campidoglio. Proprio come per l’emissione di carta moneta, però, non si può fare: perché anche la storia ha le sue regole. Ha un senso, un significato, una profondità: le raccolte dei cittadini di Roma sono diverse da quello dello Stato [...], che sono poi altre ancora da quella rimaste al papa. Raccontano la stessa storia, da punti di vista diversi: in un intreccio di voci che è precisamente la ricchezza del palinsesto romano, una polifonia senza pari al mondo”.

Dalle colonne de Il Giornale (22 agosto), Vittorio Sgarbi, che alle elezioni sostiene il candidato sindaco del centrodestra, Enrico Michetti, e si è dichiarato a esser pronto a diventare il suo assessore alla cultura in caso di vittoria, critica quanti si sono schierati contro Calenda (in ordine: Federico Giannini, Tomaso Montanari, Rita Borioni, Ilaria Miarelli Mariani e Flaminia Gennari Santori, con queste ultime tre che si sono espresse in merito dai loro profili Facebook), pur senza ritenere plausibile la proposta di Calenda per com’è stata formulata: la giudica infatti “una proposta timida, che sembra trascurare, per difetto, il nesso fra Roma antica e Roma moderna, attraverso il Rinascimento, interpretato da Raffaello, e l’età neoclassica, testimoniata da Antonio Canova”. Per lo storico dell’arte, tuttavia, la proposta di Calenda “bisogna leggerla bene, e interpretarla, magari emendandola e raddrizzandola”. Ecco dunque che Sgarbi propone di interpretarla e condividerne lo spirito: “Un solo biglietto deve offrire le chiavi di Roma, deve dar diritto, in una settimana, ad aprire ogni porta. Si deve vendere on line, come e con i soggiorni negli alberghi. Roma è un museo, miracolosamente articolato, non un accumulo di conquiste come il Louvre. [...] Tutte le grandi idee sono realizzabili da uomini capaci e convinti. Altrimenti anche il Louvre non esisterebbe. Invito Michetti e Matone a sostenere l’idea, di Calenda e mia, di un grande Museo antico e moderno che si chiama, scavi, chiese, musei, ville, palazzi, porti: Roma. Il museo di Roma” (Sgarbi alcuni giorni prima aveva lanciato la proposta di istituire un biglietto unico per tutti i musei di Roma).

Sul quotidiano Domani (23 agosto), il critico Demetrio Paparoni ritiene, in merito alla proposta di Calenda di sgombrare il Palazzo Senatorio dal municipio per trasformarlo in un museo, che “la proposta di destinare alla fruizione museale gli spazi attualmente occupati dagli uffici amministrativi sia meritoria, perché metterebbe a disposizione dei cittadini dei luoghi che il potere politico locale, notoriamente inefficiente, e non certo da ieri, ha riservato a sé”, anche se, scrive Paparoni, “più di un problema emerge invece dalla proposta di raccogliere nell’area del Campidoglio le grandi collezioni presenti nella città. Questo comporterebbe, per esempio, il trasferimento della sezione della Pinacoteca Capitolina presso palazzo Barberini, innescando una serie di conflitti tra amministrazione comunale e statale. Le competenze dei musei citati da Calenda sono infatti distribuite tra stato e amministrazione cittadina”. Ancora, “dal punto di vista museografico non è chiaro come si possa accogliere in un unico spazio, per quanto ampio questo possa essere, una raccolta esaustiva di testimonianze che sia in grado di esprimere la ricchezza e la complessità della storia di Roma”. Secondo Paparoni sarebbe anche “velleitario oltre che semplicistico e inefficace” mettere assieme in un unico luogo la “pluralità dei musei romani”: secondo il critico, è “ lo stesso Calenda non creda realizzabile – quantomeno non in tempi brevi – la sua proposta, e che con la sua dichiarazione abbia voluto gettare un sasso in piccionaia per sollevare, in campagna elettorale, un dibattito su un tema particolarmente sentito a Roma”. Nota positiva, l’aver dedicato attenzione al “ruolo didattico che il museo può esercitare con una organizzazione diversa rispetto ai consueti orientamenti museografici”.

Sul Corriere della Sera (23 agosto), Andrea Carandini boccia l’idea di fondere le collezioni di arte romana antica al Campidoglio (Carandini lo definisce “un progetto antistorico, che dissolverebbe i Musei Capitolini e dei Conservatori proprio mentre si propone di salvare la storia perduta della città”, aggiungendo che “con materiali collezionistici, utili per la storia dell’arte antica, non si perviene a un museo della vita sacrale, politica e privata dell’urbe”), e riconosce però al candidato di Azione il merito di aver fatto bene a riprendere “l’idea del museo della storia di Roma”: tuttavia, sottolinea Carandini, “non è più questione di accumulare e ricombinare oggetti belli tratti da altri musei, quanto di usare a pieno l’informatica e la multimedialità, sole capaci di risuscitare paesaggi urbani e rurali del passato, con pochi inserimenti di oggetti significativi, tratti soprattutto dai depositi”. Infine, Carandini appoggia il progetto del candidato sindaco del centro sinistra, Roberto Gualtieri, che “Vuole risuscitare il museo della città accanto al Circo Massimo (ex pastificio Pantanella), unendolo a quello della Civiltà romana e dotandolo di un centro per aggiornare le conoscenze su Roma non per punti ma per insiemi: le scoperte sono continue ma vanno ricomposte, possibilmente ricollegando Roma al suburbio e al Lazio: affascinanti e tralasciatissimi”.

Dura bocciatura anche da parte di Stefano Mentana su TPI - The Post International (23 agosto), che parte dalla Centrale Montemartini dicendo che “spostare la collezione di questo museo in qualsiasi altro luogo le toglierebbe qualsiasi attrattività nei confronti del pubblico, ed è una delle ragioni per cui la proposta del leader di Azione nonché candidato sindaco di Roma, Carlo Calenda, di unire in un unico luogo le collezioni dei musei archeologici della Capitale è quantomeno miope, per quanto il tema non debba essere considerato un tabù. E questo senza entrare in questioni di carattere burocratico sulle competenze tra stato e comune, né sulla questione pur importante della continuità delle collezioni”. Mentana riconosce comunque a Calenda che la sua proposta abbia “colto un tema, cioè che nella culla della civiltà romana manchi un’offerta museale statale centralizzata sull’archeologia di Roma antica”, e che abbia “il merito di aprire un dibattito su un tema troppo spesso tenuto all’angolo”.

L’unico che sembrerebbe favorevole ad accorpare le collezioni anche fisicamente è Francesco Bonami, che su Il Foglio (23 agosto), ha definito “una proposta razionale” quella di Calenda e ha scritto: “Mettere sotto un solo capello [sic], al Campidoglio, un gruppo di collezioni della città adesso dislocate in varie sedi. La razionalità da noi va sempre mano nella mano con l’utopia. [...] Calenda è pratico, immagino. Si chiede ‘ma chi diavolo ha oggi il tempo e purtroppo anche la voglia di smazzarsi quattro musei diversi quando viene a Roma magari per 48 ore?’ [...] Un amministratore e un sindaco in particolare deve tutelare il patrimonio culturale della città che andrà a governare, ma anche deve tutelare la qualità del tempo dei propri clienti, cittadini e visitatori temporanei. Non farlo significa consegnare la cultura permanente di una città alla cultura impermanente, spesso simle alla spazzatura, del mordi e fuggi”.

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