Il primo era stato il Museo Nazionale di Capodimonte, che all’inizio del 2020 aveva spedito in Texas i suoi gioielli: circa quaranta sceltissimi pezzi tra cui la Flagellazione di Caravaggio, l’Antea del Parmigianino, l’Atalanta e Ippomene di Guido Reni, la Danae di Tiziano, ovvero opere per le quali spesso ci si reca appositamente a visitare il museo napoletano. Poi è stata la volta degli Uffizi, che nell’autunno dello stesso anno ha inviato a Hong Kong 22 opere, ma almeno ha avuto cura di comunicare l’assenza con largo anticipo (l’annuncio è stato dato un anno prima), di non depauperare troppo la raccolta pur avendo rinunciato ad alcuni capolavori come l’Adorazione dei Magi di Botticelli e la Maddalena del Perugino, e di rivelare in maniera trasparente quale sia stata la contropartita (600.000 euro). Adesso ci si è messa pure la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, che però è andata oltre: non solo, infatti, ha mandato in Cina alcuni capolavori fondamentali di artisti che nei musei italiani sono poco rappresentati (Van Gogh, Monet, Cézanne, Klimt, Modigliani), ma ha fatto segnare il record di maggior assenza dalla sede, dal momento che il tour cinese ha fatto segnare la durata, a meno di proroghe, di ben otto mesi, da luglio 2022 a febbraio 2023.
Appare ormai chiaro che toccherà abituarsi all’idea che i nostri musei pubblici spediscano blocchi di opere all’estero in cambio di sostegno economico, dal momento che quest’antipatica consuetudine pare diffondersi con sempre maggior consistenza. Però c’è modo e modo di comunicare l’assenza di un nucleo rilevante di capolavori dalla propria sede, e la Galleria Nazionale di Roma ha probabilmente scelto le modalità più sbagliate. La notizia della partenza per la Cina è passata in sordina (se n’è parlato solo su queste pagine e su poche altre testate: forse si contano sulle dita d’una mano), e della mostra s’è saputo solo quando, ormai, le opere erano già in viaggio per l’Oriente.
Inoltre, sembrava che inizialmente la mostra fosse una soltanto, e che le opere sarebbero state via dall’Italia solo da luglio a ottobre, per tre mesi: solo in seguito, a mostra ultimata, il pubblico ha avuto modo di sapere che ci sarebbe stata un’altra mostra, a Chengdu, da novembre fino al 26 febbraio. Speriamo allora che finita la seconda tappa non ne venga annunciata a sorpresa una terza. Della mostra di Chengdu, peraltro, si trovano poche tracce in giro: un lancio dell’agenzia cinese Xinhua, tradotto in italiano da Agenzia Nova, un articolo sul Global Times, un trafiletto sul sito del consolato italiano di Chongqing, un altro sul sito dell’Agenzia Italiana Stampa Estera. Insomma, in Italia praticamente nessuno ha dato la notizia. Ma non è tutto: se si va in visita alla Galleria Nazionale e si volessero cercare, per esempio, il Giardiniere e l’Arlesiana di Van Gogh o le Tre età di Klimt, che sono tra le rarissime loro opere presenti nei musei pubblici italiani (ce ne sono sei in tutto, tre di Van Gogh e tre di Klimt), non si troverà nessun cartello che informi i visitatori dell’assenza, come sarebbe buon uso fare in queste situazioni, almeno per i capolavori fondamentali. O se c’è, è ben nascosto. È vero, c’è una risicata spiegazione sul sito della Galleria Nazionale, ma non le viene data alcuna evidenza (non è in home né la si trova linkato nella sezione What’s on: insomma, la si trova arrivandoci da Google e mettendo le parole chiave adatte, quindi in pratica ci si arriva se già si sa che le opere sono partite), e poi trasmette informazioni contraddittorie.
Vi si legge infatti che “a settembre 2022 è partita per la Cina una selezione di capolavori della Galleria Nazionale che saranno esposti in due mostre temporanee a Pechino e Shanghai”. Intanto, le opere sono partite a luglio: le date corrette si trovano sul sito italiano dell’organizzatore cinese della rassegna, mentre su alcuni siti cinesi si possono reperire le foto dell’inaugurazione del 24 luglio. Inoltre, il sito ricorda quand’è che le opere sono partite (seppur fornendo una data in ritardo di due mesi), ma non dice quando torneranno. Poi, la seconda tappa della mostra è a Chengdu e non a Shanghai. Ancora, sul sito dell’organizzatore si legge che le opere in mostra sono 62, appartenenti a 47 artisti, mentre l’avviso sul sito della GNAM ne elenca la metà esatta (non avendo visitato la mostra in Cina non possiamo dire chi abbia ragione). Muove infine a simpatia l’idea per cui “l’intensa attività di prestiti in uscita verso l’Italia e l’estero [...] ha permesso le sostituzioni in sala e le 65 mostre temporanee della Galleria Nazionale dal 2015/2016 a oggi, di esporre al museo circa 2000 opere della collezione, tra cui alcune mai esposte prima e le nuove acquisizioni”. Insomma, in futuro dovremo auspicare che la GNAM mandi di nuovo in Cina una delle uniche tre opere di Klimt che abbiamo nei nostri musei pubblici se questo è l’unico modo per tirare fuori dai depositi un’altra natura morta di De Pisis. Peraltro occorre registrare che le due opere di Van Gogh partono proprio nel momento in cui a Roma è stata allestita una mostra dedicata a Van Gogh (con un blocco di quaranta opere del Kröller-Müller Museum di Otterlo, come al solito: ma loro almeno hanno una collezione di quasi trecento Van Gogh, quindi non hanno problemi a rimpiazzare le assenze).
Si può anche nutrire una certa comprensione nei riguardi di un museo che si priva, in un colpo solo, di decine di opere in cambio di adeguato conguaglio (malgrado sia una pratica che non è vista proprio benissimo dall’ICOM), se però evita di rinunciare a opere fondamentali, se gli artisti che manda fuori sede non finiscono per diventare sottorappresentati, se si comunica a tutti l’assenza per tempo dandole opportuna evidenza, se i visitatori vengono adeguatamente informati (e quindi se dentro al museo, al posto del quadro assente, si inserisce un manifesto che a caratteri cubitali dica dov’è il quadro, per quale mostra, e per quanto tempo rimane fuori sede), se vige la massima trasparenza su tutta l’operazione. Se dunque c’è stata una contropartita, si faccia come hanno fatto gli Uffizi: la si comunichi a chiare lettere. Se non c’è stata e si è trattato dunque di una pura mossa diplomatica, lo si dica lo stesso con la massima chiarezza: almeno l’opinione pubblica potrà farsi un’idea completa e trarre le proprie conclusioni.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).