Perché non è una buona idea mandare l'Atlante Farnese all'Expo di Osaka 2025


L’Atlante Farnese sarà il testimonial del patrimonio culturale italiano all’Expo di Osaka 2025. Non è però una buona idea: si manda in Giappone un’opera fondamentale del MANN di Napoli impoverendo il museo e l’Italia senza che ci siano ragioni stringenti.

Il comunicato del Ministero della Cultura dice che l’Atlante Farnese avrà il compito di “rappresentare il patrimonio culturale italiano nel nostro padiglione a Expo 2025 Osaka”, e il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano aggiunge che mettere al centro del Padiglione Italia l’Atlante Farnese “significa far conoscere a tutti un’opera che rappresenta l’eredità culturale della nostra Nazione”. La notizia, dunque, è che una delle opere più pregevoli del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, l’Atlante Farnese, una scultura del II secolo dopo Cristo, andrà a fare il testimonial della cultura italiana all’esposizione universale in programma per il prossimo anno in Giappone. Gioverà ricordare che l’Atlante Farnese è un unicum, come lo definisce la relativa scheda del MANN. Una scultura unica non solo nel senso letterale del termine, dacché del marmo un tempo nelle collezioni dei Farnese non si conoscono altri esemplari (e l’Atlante dovrebbe quindi essere l’unica replica nota di un modello altrimenti sconosciuto), ma anche per quello che rappresenta: un’opera che riporta una raffigurazione della volta celeste secondo le conoscenze dell’epoca in cui venne realizzata (il marmo del MANN è del II secolo dopo Cristo, ma si pensa che l’originale possa essere un bronzo ellenistico del II secolo avanti Cristo), l’unica mappa completa del cielo del mondo classico a oggi nota, dunque un prezioso compendio di nozioni astronomiche antiche, che peraltro travalicano i secoli, dato che il globo venne presumibilmente aggiornato per adattarlo alla mutata epoca.

Parliamo, dunque, di un’opera che non ha termini di paragone. Ora, non si tratta di discutere su che cosa debba rappresentare l’Italia in una expo universale del terzo millennio, il cui tema è Designing Future Society for Our Lives (“Progettare la società futura per le nostre vite”). Anche se qualcuno potrebbe aver da ridire. Del resto, il nostro paese verrà pur sempre rappresentato all’Expo di Osaka 2025 da un marmo romano che probabilmente replicava un originale greco in un’epoca in cui la parola “Italia” era un’espressione geografica. Allora forse sarebbe auspicabile che l’Italia venisse rappresentata anzi da una qualche produzione contemporanea, possibilmente d’altissimo rilievo, per dimostrare al mondo che il nostro paese non è solo spaghetti e Rinascimento, ma ha un sistema industriale avanzato e fondato sulla ricerca, un sistema universitario tra i primi al mondo, una scena culturale vivace, un ruolo da protagonista nelle sfide che l’umanità dovrà affrontare in futuro, a cominciare da quelle della sostenibilità, del contrasto al cambiamento climatico, della giustizia sociale. Non si tratta però di discutere su questo argomento. E sorvoliamo anche sui rischi a cui si sottopone un’opera tanto preziosa per un viaggio che le poteva esser risparmiato: ogni viaggio, si sa, rappresenta un potenziale pericolo per un’opera, e se si tratta di un unicum l’attenzione andrebbe moltiplicata.

Arte romana, Atlante Farnese (II sec. d. C.; marmo, altezza 185 cm; Napoli, Museo Archeologico Nazionale)
Arte romana, Atlante Farnese (II sec. d. C.; marmo, altezza 185 cm; Napoli, Museo Archeologico Nazionale)

Ammettiamo poi di voler dimenticare i libri e gli articoli di Francis Haskell, che tollerava solo ed esclusivamente i prestiti motivati da fondate ragioni scientifiche. E ammettiamo che sia opportuna l’idea di portare un frammento del passato in un grande evento internazionale proiettato verso il futuro, e che sia legittima la presenza di un pezzo del nostro patrimonio all’esposizione universale: l’importante però, se proprio l’opera deve partire, è che la sua presenza abbia un senso, che l’opera scelta non vada in trasferta solo per diventare l’elemento di una scenografia, che non si sobbarchi una trasferta internazionale per uno sfoggio anacronistico, novecentesco, che ci sia una connessione forte tra il pezzo selezionato e il tema della manifestazione, che la presenza dell’opera serva per arricchire le conoscenze.

Il fatto è che non sembrano esserci valide ragioni per le quali a Osaka debba andare l’Atlante Farnese invece d’un’altra opera. La scultura, si apprende dal comunicato, è stata scelta anzitutto per tre ragioni: perché racconta “la ricchezza del nostro patrimonio culturale e le responsabilità che ne derivano” (così il commissario generale per l’Italia a Osaka, Mario Vattani), perché “ha contribuito a fare del MANN uno dei musei archeologici più importanti al mondo, determinando un forte impulso alla diffusione della nostra cultura e al riconoscimento dell’Italia come custode di un patrimonio unico a livello globale” (così il ministro), e perché rappresenta l’idea del viaggio e del desiderio di scoperta. L’Atlante Farnese non è l’unica opera delle collezioni statali che ha queste caratteristiche, così come il MANN non è l’unico museo che contribuisce al riconoscimento dell’Italia nel mondo: esistono sculture e dipinti d’ogni epoca, anche più in grado di rappresentare la “nostra nazione”, e che se spostati non provocherebbero lacune incolmabili nei musei d’appartenenza. Perché allora proprio l’Atlante Farnese, una di quelle opere che il pubblica del Museo Archeologico Nazionale di Napoli s’aspetterebbe di vedere al suo posto, nella sua sala, dato che è tra i pezzi più rappresentativi dell’istituto, un’opera fondamentale non soltanto del MANN?

A questa domanda, chi ritiene che la trasferta dell’Atlante Farnese sia un’operazione sensata potrebbe rispondere dicendo che altre opere, meno famose e meno importanti, potrebbero non avere la stessa riconoscibilità dell’Atlante. Bene: ma allora perché non mandare una riproduzione, anziché l’originale? Non è del resto la prima volta che un pezzo del nostro patrimonio viene scelto per un’Expo: tutti ricorderanno il David di Michelangelo interrato all’ultima esposizione universale, l’Expo di Dubai 2021. Il problema è che quel David era una riproduzione. Nessuno si sarebbe sognato di spedire negli Emirati Arabi l’originale, il marmo conservato alla Galleria dell’Accademia di Firenze, proprio perché opera fondamentale per il suo museo, proprio perché opera riconoscibile (e che quindi il pubblico s’aspetta di trovare al suo posto, e non a diecimila chilometri di distanza), proprio perché si vuole evitare di sottoporla a rischi inutili. Perché allora lo stesso principio non è valido per l’Atlante Farnese? I casi sono due: o l’Atlante Farnese viene ritenuto un’opera secondaria, un’opera che può permettersi di uscire dai confini nazionali senza impoverire il museo e l’Italia tutta, oppure, se è uno dei capolavori del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, una delle sue opere più preziose, la notizia è che da oggi anche le opere più rappresentative di un museo possono tranquillamente uscire dai confini nazionali per prender parte a fiere e manifestazioni varie, senza che ci si preoccupi dell’integrità dei fondi dei musei e del giudizio del pubblico, cittadini e turisti. Pazienza, dunque, se i visitatori del MANN dovranno fare a meno di vedere una delle opere principali della sua raccolta.

E proprio il Museo Archeologico Nazionale di Napoli ha già dato prova, negli ultimi mesi, di essere quanto meno generoso coi prestiti: molti ricorderanno i tanti viaggi della Tazza Farnese, oppure la spedizione di un nucleo di 160 reperti a Tokyo in cambio del restauro del mosaico di Alessandro, o ancora il caso mediatico dei Corridori di Ercolano prestati per una sfilata di Bottega Veneta. Adesso toccherà aggiungere, a un elenco già ben nutrito, l’Atlante Farnese convocato per fare il testimonial della cultura italiana a Osaka 2025. Il ministro, nel comunicato, dice che l’Atlante Farnese è “un capolavoro nonché icona di valore inestimabile”. E proprio per questo motivo l’opera dovrebbe rimanere in Italia.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).




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