In una lunga intervista rilasciata a Iacopo Gori e pubblicata dal Corriere della Sera il 21 ottobre 2021, il direttore degli Uffizi Eike Schmidt ha raccontato la sua idea del museo fiorentino. Ha parlato di molti aspetti, diversi dei quali discutibili come normale che sia, alcuni interessanti (“non trovo eticamente giustificabile tenere migliaia di opere di altissimo livello collezionate dai Medici in depositi dove nessuno le può vedere”), altri un poco sgradevoli (“[prima del mio arrivo] il sistema dei beni culturali era diventato sempre più incestuoso”). Un’intervista da leggere, ma qui ci soffermiamo su un punto, una risposta. Quella con cui, incalzato dall’intervistatore (“C’è molta attesa per la riapertura ma 45 euro di biglietto per visitare il Corridoio Vasariano non sono troppi?”), Eike Schmidt ha delineato la sua visione sul tema dell’ingresso al Corridoio Vasariano, spiegando (come già fatto in precedenza) che il prezzo sia molto più basso di quello che imponevano le agenzie private che si accaparravano i pochi biglietti disponibili prima della chiusura del 2016, dicendo che “nella prospettiva internazionale 45 euro sono pochi” (affermazione che, se si tiene conto dei musei pubblici paragonabili agli Uffizi, è facilmente smentita dai dati reali, tanto che Schmidt fa un confronto con l’Empire State Building, istituto privato situato in una città e in un paese con stipendi medi molto più alti di quelli italiani) e concludendo che il prezzo proposto sia “più basso del mercato” e ancora che “non volevamo andare oltre quello che si paga per una partita di calcio ad esempio”.
È una frase che sintetizza una visione, non a caso pronunciata da un direttore che, benché tedesco, ha una lunga carriera nei musei privati americani, di cui dimostra nell’intervista di avere grande stima. E che potrebbe portare a incomprensioni o sovvertimenti della funzione e delle finalità dei musei pubblici quali quello che Schmidt si trova a dirigere, il più visitato d’Italia, da poco premiato come il “più bello del mondo” da TimeOut Magazine. Nato nel XVIII secolo per la volontà di Anna Maria Medici di donare la collezione privata dei Medici alla città di Firenze, aperto al pubblico nel 1769, diventato museo statale con l’unità e rimasto tale fino a oggi. Dal 2015 poi, i musei, statali e non, sono divenuti anche “servizi pubblici essenziali”, garantiti anche in caso di sciopero, come sanità o istruzione. Né l’Empire State Building, né le “partite di calcio” hanno una storia, una funzione, una legislazione che li regola paragonabili a quella dei musei pubblici italiani. Le società di calcio professionistiche, in particolare, sono nate e cresciute come enti privati, e se è vero che hanno svolto per buona parte del secolo scorso una funzione sociale e popolare, non devono la propria esistenza a un finanziamento statale o pubblico, soprattutto ad alti livelli. In ogni caso, se Eike Schmidt avesse approfondito l’argomento, avrebbe notato che i biglietti per una partita di calcio media di serie A (per esempio Fiorentina-Spezia del 31 ottobre 2021) costano spesso molto meno di 45 euro, ancor oggi: solo alcune partite “di cartello” fanno eccezione.
Quindi perché questi paragoni? E perché parlare di prezzo “più basso del mercato” se sul mercato non c’è nessun altro Corridoio Vasariano, nel mondo? Il mercato appare materializzarsi, correttamente, come giustificazione del nuovo prezzo, pensato esattamente per esigenze di mercato. Fiorentina-Spezia costa meno di 45 euro perché la richiesta del mercato è bassa, Fiorentina-Juventus costa di più perché la richiesta è alta. Il Corridoio Vasariano, con i suoi 125 accessi permessi a volta, è chiaro che avrà in alta stagione più domanda che offerta, e che quindi potrà imporre prezzi alti (anche molto più di 45 euro): in bassa stagione il prezzo si abbasserà, a 20 euro, per essere competitivo. Ed è chiaro che quei prezzi facciano felici sia le casse del museo, sia i concessionari della biglietteria che possono chiedere un’ampia quota dei biglietti. Peccato però che gli Uffizi, come servizio pubblico, dovrebbero lavorare per la cittadinanza, e non per le proprie casse, né per i concessionari: per riaprire al pubblico il Corridoio Vasariano sono stati investiti 10 milioni di euro, pubblici. Sono stati investiti giustamente, dato che i cittadini devono poter fruire di quel patrimonio che gli appartiene. Ma, con un prezzo simile, solo alcuni potranno veramente farlo: come solo alcuni possono permettersi lo stadio.
Questo è un fattore che il direttore Schmidt, purtroppo, pare non cogliere. Nella stessa intervista, infatti, rivendica con orgoglio che l’anno scorso per la prima volta un terzo dei visitatori sia stato under 25. Peccato che, in un anno in cui i visitatori sono crollati del 75%, questo indica soprattutto una cosa: gli over 25 sono calati molto più degli under 25, che invece hanno continuato a frequentare il museo. Data l’assenza di turismo, soprattutto straniero, che ha caratterizzato il 2020, questo dato sta a significare che i locali “adulti” hanno spesso disertato il museo. Difficile non connettere questa differenza, più che con gli influencer di cui parla Schmidt nell’intervista al Corriere (Chiara Ferragni e Martina Socrate), proprio con il prezzo del biglietto. Prezzo che è di 2 euro per gli under 25, e gratis per gli under 18, mentre schizza a 24 euro (16 in bassa stagione, caso unico in Italia di diverso prezzo stagionale) al compimento del ventiseiesimo anno di età, salvo agevolazioni per diverse categorie. In un anno di ristrettezze economiche e crisi, non stupisce che in tante e tanti abbiamo rinunciato al museo, e non stupisce neppure che i più disposti a investire simili cifre per una visita siano i turisti stranieri da “una volta nella vita”.
I media come il Corriere storicamente faticano a parlare di accessibilità economica agli istituti culturali, e questa intervista non fa eccezione. Eppure sarebbe stato un argomento da sollevare, col direttore Schmidt, dato che la riforma Franceschini, trasformando i grandi musei statali in istituti autonomi con la volontà di fare in modo che si autofinanziassero il più possibile (in vista di un’auspicata trasformazione in Fondazioni?), ha avuto come conseguenza, cercata, l’aumento del prezzo dei biglietti: da 7,5 a 9 euro tra 2016 e 2019, di media, ma in casi come gli Uffizi si è registrato un raddoppio netto. Crescite che hanno portato a roboanti comunicati in sequenza, proprio dal sapore calcistico, che parlavano di “incassi record” senza mai dichiarare che questi record erano dovuti, banalmente, alla crescita dei prezzi. Tutto ciò senza intaccare, ma anzi tutelando quel sistema di concessioni e esternalizzazioni che porta ad avere gli introiti di biglietteria in parte concessi a terzi, e quelli di caffetteria, bookshop, audioguide, visite guidate e prevendite (ed ecco il Corridoio Vasariano) concessi a terzi per l’85%.
Dovremmo quindi chiederci, e chiedere al direttore degli Uffizi di chiedersi: vogliamo che il patrimonio culturale utilizzi il mercato e la domanda turistica per migliorare il servizio ai cittadini e l’indotto non solo economico, ma sociale e culturale, che si crea in città e sul territorio, o se voglia subirlo, imponendo bigliettazioni e costi pensati per finanziare investitori privati più che l’istituzione e la società che la sostiene con le proprie tasse? Perché i musei, dovremmo ricordarcelo, vengono sostenuti per gran parte con le tasse di tutte e tutti, a differenza di una partita di calcio di cartello.
L'autore di questo articolo: Leonardo Bison
Dottore di ricerca in archeologia all'Università di Bristol (Regno Unito), collabora con Il Fatto Quotidiano ed è attivista dell'associazione Mi Riconosci.