Qual è stata la parte veramente oscura del discorso di Giuli


La parte meno chiara del discorso del ministro della cultura Giuli in audizione alla Camera non era quella “un po’ teoretica” che ha catturato l’attenzione di tutti: è, semmai, quella in cui ha parlato di redistribuzione sociale degli utili dei musei. In attesa che arrivi un progetto, qualche considerazione sul tema.

No: la parte meno chiara dell’intervento che il ministro Alessandro Giuli ha tenuto alla Camera lo scorso 8 ottobre per illustrare le sue linee programmatiche non era l’introduzione “un po’ più teoretica”, non era quel preambolo sull’“apocalittismo difensivo” e sull’“infosfera globale”, non era quel minuto e mezzo che ha catturato le attenzioni di tutti oscurando un’ora intera d’audizione. Il senso di quella premessa, per quanto resa all’uditorio sulle ali d’un eloquio non esattamente familiare e quotidiano, non era così difficile da cogliere se si fossero seguite con attenzione le parole di Giuli. La parte veramente oscura, almeno per chi come noi s’occupa di musei (e almeno fino a questo momento), era un’altra, ed è utile tornarci a un mese di distanza perché, nel frattempo, non ci son stati seguiti e chiarimenti su quanto il ministro ha pronunciato nella Sala del Mappamondo di Montecitorio.

Ci si riferisce, nella fattispecie, all’idea d’introdurre un “sistema di redistribuzione sociale degli utili”, anche se non s’è ben capito di quali utili si parli, dal momento che Giuli, nel presentare questa sua idea, s’è mosso in un costante andirivieni tra generale e particolare, partendo dai dati complessivi degli introiti dei musei statali nel 2023 (313,9 milioni di euro), soffermandosi sull’esempio del Pantheon, tornando a parlare meno nello specifico di “dialettica tra gratuità e profitto” (anche se forse intendeva tra gratuità e ricavi), e di nuovo proponendo il caso del Pantheon come modello di creazione di costi (laddove prima assenti) che consentirebbero di garantire nuovi flussi monetarî alle casse del ministero. Nelle parole esatte del ministro: “L’introduzione di un biglietto per l’ingresso al Pantheon ha portato a un introito per le casse pubbliche di circa 12 milioni di euro in un anno, senza mortificare il flusso di visitatori e di fatto creando un fondo a favore del nostro patrimonio culturale. E qui mi permetto di richiamare la vostra attenzione alla necessità di superare la dialettica tra gratuità e profitto, perché è sempre stata oggetto di critica la decisione di creare dei costi per i visitatori di musei (o di luoghi che sono molto più che musei, come il Pantheon), o addirittura di innalzare il biglietto di ingresso per altri luoghi della cultura. Il punto centrale è che in un sistema in cui la gratuità assoluta, al di là della possibilità che finisca per deprezzare la qualità dell’offerta, è comunque impossibile da un punto di vista oggettivo, perché i soldi dei contribuenti sono sacri e la gratuità comunque genererebbe delle voragini nei conti del ministero, non si tratta di mirare al profitto per il profitto. Il punto vero è identificare un sistema di redistribuzione sociale degli utili lì dove si decide di creare dei costi d’ingresso, e su questo vi assicuro che lavoreremo, a cominciare dal Pantheon e dalla destinazione dei soldi, che non sono pochi, ricavati dall’introduzione del biglietto. Bisogna concepire il ricavo della cultura come qualcosa che viene redistribuito con una destinazione identificata a monte, quasi fosse una tassa di scopo”.

Alessandro Giuli
Alessandro Giuli

Servirebbero, in sostanza, delucidazioni su cosa s’intenda per “redistribuzione sociale degli utili”, e servirebbe capire se s’intende applicare questa “redistribuzione” a tutti i musei statali (come l’hanno intesa molte testate che hanno riportato le linee guida del ministro, noi compresi), oppure se l’iniziativa riguarderà soltanto il Pantheon, o ancora se il ministro considera l’idea d’applicare costi d’ingresso dove adesso s’entra gratuitamente, e quali potrebbero essere le destinazioni “sociali” cui il ministro intende indirizzare gli eventuali avanzî d’amministrazione dei musei che si trovino a fine anno a generare utili. In attesa che il ministro Giuli delinei nei dettagli il suo progetto, qualche considerazione: intanto, il Pantheon rappresenta un caso a sé. Vale a dire che non esiste un altro sito in Italia, gestito dal ministero, in cui possa essere creato dal nulla un flusso d’entrate anche solo lontanamente paragonabile (senza dimenticare, poi, che l’introduzione del biglietto d’ingresso al Pantheon è arrivata a seguito d’un processo e d’una discussione che si son protratti negli anni). Non esiste, in altri termini, un solo sito che possa garantire al ministero oltre un milione di visitatori paganti creati ex novo da un giorno all’altro: gli unici due siti con oltre un milione di visitatori l’anno sono il Parco di Capodimonte a Napoli e il Parco di Miramare a Trieste, gratuiti proprio in quanto parchi pubblici. Ma anche qualora si volesse creare un costo per poter accedere al Parco di Miramare (trasformandolo, in sostanza, nell’omologo giuliano del Giardino di Boboli), occorrerà considerare la propensione alla spesa di triestini e turisti, nel senso che è inimmaginabile che un milione e sedicimila visitatori non paganti del Parco di Miramare diventino dall’oggi al domani un milione e sedicimila visitatori paganti: per dare un’idea, il Pantheon ha conosciuto, grosso modo, un dimezzamento dei visitatori dopo l’introduzione del biglietto.

Certo, si potrebbero generare tanti ricavi introducendo un biglietto d’ingresso ovunque adesso non sia presente (e non mancano casi del genere: il Museo Andersen di Roma, per esempio, è sempre stato gratuito, ma è diventato a pagamento dal 1° febbraio di quest’anno), ma la gratuità non è una dimenticanza del ministero: se un museo è sempre gratuito per tutti, solitamente è perché si tratta d’un sito dalle caratteristiche particolari (molti dei luoghi della cultura statali sono nient’altro che chiese, per esempio), oppure è perché si tratta di siti poco noti, la cui visita si vuole incentivare anche per mezzo della gratuità. Occorrerà poi considerare che la somma dei visitatori di tutti i luoghi della cultura dove non si paga per entrare non arriva al totale dei visitatori del Pantheon prima dell’introduzione del biglietto (nel 2023, i siti gratuiti sono stati visitati da circa 8,7 milioni di visitatori, contro i 9,3 che il Pantheon registrò nel 2019, ultimo anno gratuito pre-pandemia).

Potrebbe essere ovviamente una strategia quella di racimolare, volendo essere particolarmente ottimisti, una cifra tra i 15 e i 25 milioni di euro estendendo l’ingresso a pagamento a qualsiasi luogo della cultura statale, a fronte però d’un consistente calo dei visitatori. Siamo dunque pronti a rinunciare a un numero consistente di cittadini (non dimentichiamo che i siti gratuiti sono spesso luoghi dallo scarso appeal turistico) non più propensi a frequentare un fondamentale presidio culturale del loro territorio poiché non disposti a pagare per entrare? L’introduzione d’un biglietto in tutti i musei avrebbe del resto questo effetto. Potrebbe tuttavia avere senso soltanto qualora le entrate venissero usate per una forma di redistribuzione sociale veramente opportuna e salutare, ovvero l’estensione delle categorie d’utenti con diritto alla gratuità. L’Italia (e su queste pagine lo andiamo dicendo da anni) è ancora uno dei pochi paesi occidentali dove solitamente non viene concesso l’ingresso gratuito, o quanto meno scontato, ai suoi cittadini disoccupati (almeno nei musei statali questa forma d’incentivo non è prevista). Nei nostri musei statali non è previsto l’ingresso gratuito nelle ultime ore d’apertura, come accade in molti musei europei (in Italia preferiamo ancora il modello della domenica gratuita su base mensile: un modello da superare). Nei nostri musei non è ancora abitudine consolidata l’introduzione d’un biglietto speciale per le famiglie. Nei nostri musei non sono previste, se non in rari casi, modulazioni dei costi dei biglietti su base stagionale (gli Uffizi sono tra i pochi musei che hanno una politica tariffaria che vada in questo senso). Gli esempî potrebbero continuare.

Il Pantheon. Foto: Daniel Klaffke
Il Pantheon. Foto: Daniel Klaffke

Quanto agli utili, al lettore che ci segue da poco si ricorderà che è già previsto da tempo un elementare meccanismo di redistribuzione (i musei autonomi sono obbligati a devolvere un 20% delle entrate da bigliettazione a un fondo gestito dal Ministero che serve a finanziare i loro “fratelli” più piccoli, meno visitati, e quindi non in grado di sostenersi): nella nostra recente inchiesta sui musei autonomi abbiamo commentato questo meccanismo con tutti i direttori intervistati. Andrà poi considerato che non sono molti i musei che chiudono l’anno in avanzo. E solitamente gli utili vengono in gran parte vincolati per coprire capitoli di spesa su progetti di tutela o valorizzazione oppure, semplicemente, per gestire il museo (mostre, allestimenti, interventi di restauro, investimenti sulla sicurezza, rimozione di barriere architettoniche, adeguamenti impiantistici, rinnovo di contratti e molto altro). Un esempio recente: la Galleria Nazionale delle Marche di Urbino ha stanziato metà del suo avanzo del 2022 per coprire i costi della mostra su Federico Barocci. Rendere più attraente un museo agli occhi del pubblico o investire per renderlo più sicuro impegnando gli utili potrebbero essere considerate, del resto, forme di redistribuzione sociale.

La materia, insomma, è vasta e merita approfondimenti e discussioni. Concordiamo sul fatto (e lo diciamo da tempi non sospetti) che non esiste alcuna dialettica tra gratuità e ricavi, nel senso che l’alternativa alla gratuità indiscriminata (che, peraltro, non ci potremmo neppure permettere e che mal s’adatta al nostro vasto paesaggio museale) non è la gabella insostenibile da pagare ovunque: c’immaginiamo i musei del futuro con biglietti a prezzi modulabili, in grado di continuare a far beneficiare d’un ingresso gratuito le categorie che ne hanno diritto (anzi: anche la gratuità potrebbe essere meglio modulata, in modo da far avvicinare sempre più persone ai luoghi della cultura), e capaci d’investire i loro introiti e i loro utili per rendersi sempre più interessanti per i visitatori, specialmente quelli che li frequentano poco.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).




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