Il diniego di un permesso ad aprire un drive-in al posto di un vivaio a pochi passi dalle Terme di Caracalla, in un paese normale, non dovrebbe fare notizia. È ovvio che un fast-food con parcheggio non può aprire in un’area dall’altissimo valore paesaggistico e storico, lo è in Italia come lo è in molti altri paesi del mondo con leggi a tutela del patrimonio e del paesaggio meno solide delle nostre. Infatti, in base alle leggi italiane, non è legale.
Lo stop definitivo al progetto di McDonald’s di aprire all’Eurogarden, un terreno privato con vista sulle Terme di Caracalla, si configura come una formalità dovuta. L’osservatore disincantato non può che stupirsi del fatto che un’azienda internazionale che può dotarsi dei migliori avvocati e progettisti abbia deciso di investire per anni su un progetto con possibilità di riuscita pressoché nulle. Ma dato che in questi stessi anni, e anche dopo la sentenza finale del Consiglio di Stato, sono circolate una quantità di informazioni inesatte o false, quasi che si sia trattato di un provvedimento ad hoc per McDonald’s (e c’è da chiedersi perché, e da chi, queste informazioni siano state fatte circolare) ecco che è bene in poche righe mettere ordine su quanto accaduto.
Il primo dato importante da sottolineare è che il progetto di McDonald’s, a differenza di quanto scritto altrove, non ha mai ottenuto dalla Soprintendenza una autorizzazione poi ritirata, e non sorgeva in un’area priva di vincoli. La seconda informazione era forse un auspicio (disperato) degli avvocati di McDonald’s, ma come chiarito fin da subito dalla Soprintendenza locale (in una conferenza dei servizi convocata dal Comune di Roma sul progetto), quell’area, inserita nel Piano Paesaggistico e Territoriale regionale, prevedeva la necessità di un’autorizzazione paesaggistica: non poteva essere altrimenti, data l’area ricca di rimanenze storiche e architettoniche.
La notizia sull’autorizzazione ottenuta dalla Soprintendenza è vera, ma non nei termini diffusi: McDonald’s, come da prassi, ottiene prima di tutto il nulla osta sul piano archeologico, cioè la possibilità di procedere senza scavi, dato che alla Soprintendenza risultava che l’area fosse priva di rimanenze archeologiche di rilievo. Il progetto quindi supera un primo step abbastanza velocemente. A quel punto deve ottenere l’altra autorizzazione, quella paesaggistica, però accade un fatto incredibile: in un atto ufficiale la Regione Lazio, nega, contro le evidenze scritte, che l’area fosse inclusa nel Piano Paesaggistico. Solo allora, in qualche modo per sgomberare rapidamente i dubbi e togliere da una situazione di imbarazzo gli uffici locali, la Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio estende il vincolo diretto delle Terme di Caracalla anche all’area interessata dal nuovo progetto, in modo che a nessuno in Regione potesse venire in mente di fare una mossa politica (di questo si sarebbe trattato) a favore del nuovo McDonald’s.
Il caos mediatico consegue a una serie di dichiarazioni avventate di politici (la presidente del II Municipio o la Regione, del PD, la sindaca e il ministro, entrambi del M5S: il tutto unito al silenzio dei funzionari della Soprintendenza, causa norme ministeriali) che si dicono favorevoli o contrari al progetto come se questo fosse stato approvato: lo fanno o per poca conoscenza delle norme, o perché sapevano dell’eventuale prossima mossa della Regione a favore dell’azienda. In ogni caso in quei giorni del 2019 una serie di articoli parlano del progetto come avesse concretamente la possibilità di essere attuato: non è mai stato così. Il progetto non ottiene l’autorizzazione paesaggistica, gli avvocati fanno una serie di ricorsi fino ad arrivare al Consiglio di Stato, utilizzando una linea difensiva dalle motivazioni risibili: sostengono cioè che sarebbe dovuta bastare una procedura semplificata, quella che si usa quando un edificio o spazio viene riadattato con minime modifiche (che non necessita di autorizzazione paesaggistica), ma, come sostenuto da Soprintendenza e da tribunali in sequenza, trasformare un vivaio in un drive-in con parcheggio è evidentemente una trasformazione, non un restauro con lievi modifiche.
Il mito, diffuso da una parte della stampa e della politica, del povero imprenditore vessato da leggi incomprensibili e incroci burocratici, e dall’idea che una multinazionale può affrontare un progetto simile, ma il piccolo ristoratore romano non ci prova neppure, è quindi, almeno in questo caso, del tutto inappropriato. Nessun imprenditore con un briciolo di progettualità penserebbe di poter stravolgere un luogo simile senza passare per un’autorizzazione paesaggistica, e non sapremo mai se McDonald’s abbia agito per convinzione di essere “troppo grosso per essere fermato”, per una profonda misconoscenza delle norme o per un desiderio di pubblicità: sta di fatto che la legge c’era, ed era nota agli addetti ai lavori. Ciò non significa che non ci sia un problema di burocrazia in questo paese, sia chiaro, né che le leggi ci garantiscano da brutture e scempi che caratterizzano centri storici e periferie. Ma significa che la richiesta, nel caso in questione, era così clamorosamente forzata che l’unico modo per far accettare il progetto era che McDonald’s agisse in deroga alla legge, con un provvedimento ad hoc: cosa che, per fortuna, non si può fare.
Dico “per fortuna” perché credo sia chiaro a chiunque che sarebbero state le Terme di Caracalla a valorizzare McDonald’s, e non viceversa: un drive-in lì, in un punto incastonato tra le terme e le mura aureliane, vicino alla via Appia e alla prossima fermata della Metro C, facilmente accessibile dalla parte sud di Roma attraverso via Cristoforo Colombo ma comunque attrattivo per i turisti e in pieno centro storico, sarebbe il sogno di qualsiasi gestore di fast-food. L’azienda ormai da tempo in Italia ha puntato sull’apertura di punti vendita in aree eccezionali dal punto di vista storico o strategico, come piazze e stazioni ferroviarie. In altri paesi d’Europa non è così normale trovare punti vendita di multinazionali di fast-food in piazze e centri storici celebri. Questo per una sorta di esterofilia nostrana che finisce per spalancare porte che in molti altri luoghi restano chiuse.
Resta un problema, ora: il fatto che l’area dell’Eurogarden, ricco vivaio fino a pochi anni fa, sia abbandonata a sé stessa. Questo è un problema, però, che non si affronta aprendo un drive-in con parcheggio, ma obbligando i proprietari a manutenerla, oppure a cederla al Comune, se non ne sono in grado. Aprire un drive-in in quella zona, che peraltro è purtroppo caratterizzata (essendo area di transito), come altre aree di Roma, da frequentazioni poco eleganti, non si capisce davvero come avrebbe potuto scacciare il degrado e non aumentarlo. Ma qui si entra nel campo delle opinioni, mentre il fatto che questo progetto avrebbe dovuto ottenere un’autorizzazione paesaggistica non è un’opinione. E urlare all’Italia poco amica degli imprenditori o, viceversa, alla vittoria contro il capitalismo, in un caso simile può solo creare rumore di fondo.
L'autore di questo articolo: Leonardo Bison
Dottore di ricerca in archeologia all'Università di Bristol (Regno Unito), collabora con Il Fatto Quotidiano ed è attivista dell'associazione Mi Riconosci.