In occasione della riqualificazione della Cripta della chiesa di Sant’Agnese in Agone con il nuovo sistema di illuminazione artistica e architettonica donato dal Gruppo Webuild scopriamo la storia di Piazza Navona, dall’antichità a oggi.
«Ogni volta che si entra nella piazza ci si trova in mezzo ad un dialogo». Così scriveva Italo Calvino nel suo celebre capolavoro Le città invisibili e, forse, tale espressione racchiude meglio di qualsiasi altra metafora o descrizione i poliedrici e mutevoli aspetti intrinseci di questi nevralgici luoghi cittadini. Un vero locus amoenus per quell’animale sociale, quale è l’essere umano, che, nella centralità della piazza, ritrova un cuore pulsante di attività, relazioni e incontri che affondano la loro origine nella ben più antica tradizione dell’agorà greca. Dall’VIII secolo a.C., infatti, le pólis nascono e si strutturano proprio attorno alla piazza, punto cardine, insieme all’acropoli, della vita di ogni cittadino: un luogo dove tutti, indipendentemente dal proprio ruolo e grado sociale, si ritrovavano per tessere rapporti, conoscenze e partecipare attivamente alla vita sociale della città.
Un luogo di incontri, dunque, dove il dialogo diviene appunto l’indiscusso protagonista nella narrazione di quelle storie che, inevitabilmente, animano la “vita di piazza”: storie che, come nel caso di piazza Navona, diventano essenziali per la comprensione della nostra quotidianità. Fra i luoghi, forse, più affascinanti a livello mondiale, piazza Navona oggi è animata da una caotica vivacità che, scandita da palazzi, fontane, obelischi e chiese, rende questo spazio davvero unico ed inimitabile, quasi senza tempo. In realtà, di tempo ne è trascorso dalla sua originaria “fondazione” databile all’85-86 d.C. Ormai al tramonto della dinastia Flavia, infatti, l’allora imperatore Domiziano, affascinato dalla cultura delle pratiche sportive dell’antica Grecia, l’atletica su tutte, decise di realizzare uno stadio che prese il suo nome. Il fascino esercitato dagli agoni greci sulla figura dell’imperatore è ulteriormente testimoniato dalla volontà di inaugurare lo Stadio Domiziano in occasione del primo Certamen Capitolino Iovi, competizione ginnica di cadenza quadriennale, istituito proprio nell’86 d.C.
Oltre ad essere considerato il primo complesso sportivo eretto in muratura fuori dalla Grecia, l’“infrastruttura” godeva di dimensioni per nulla ridotte: lungo 276 metri e largo 106, disponeva di un’arena di 193 per 54 metri e, aspetto di non poco conto, era in grado di ospitare circa 30.000 spettatori, capienza non indifferente per il tempo. La sua planimetria, dall’allungata forma rettangolare dotata di un’estremità ad emiciclo ed una rettilinea, è oggi intuibile attraverso una semplice osservazione perimetrale condotta dall’interno della piazza, ma risulta ancor più evidente e comprensibile mediante una visione aerea. Ed è proprio grazie a quest’ultimo “punto di vista”, oggi osservabile sfruttando “semplicemente” le risorse offerte dal mondo digitale, che è possibile attuare un raffronto proprio con gli stadi dell’antica Grecia e, in modo ancor più puntuale, con lo Stadio Panathinaiko, noto ai più come lo Stadio di Atene.
Seppure inglobata dalle costruzioni successive, l’originaria facies dell’odierna piazza Navona appare ben definita e pienamente raffrontabile con lo stadio ateniese il quale, con la sua definitiva capienza di circa 50.000 spettatori, può considerarsi, al pari dello Stadio di Olimpia, un modello di assoluto riferimento nella scelta di Domiziano. La struttura dello stadio di Domiziano, realizzata in laterizio rivestito di stucco modanato e colorato, doveva essere inoltre ornata con statue in marmo, proprio al pari degli altri grandi complessi “sportivi” e non del tempo: a testimonianza di tale decorazione oggi permane la nota statua del Pasquino. Collocata all’angolo di Palazzo Braschi, la celebre statua “parlante” (che non a caso conferisce il nome all’omonima piazza contigua proprio a piazza Navona) venne ritrovata nel 1501 nel corso degli scavi per i lavori della pavimentazione stradale e ristrutturazione dell’allora Palazzo Orsini, oggi Palazzo Braschi. La statua, seppur ampiamente danneggiata e mutila negli arti, presenta fattezze ellenistiche, evidenti nella torsione del busto, ascrivibili al lontano III secolo a.C. Di notevole interesse, inoltre, appare osservare la pseudo armatura che cinge il busto del Pasquino oltre che ipotizzare come il blocco marmoreo posto ai suoi “piedi” possa, in realtà, essere interpretato come un’ulteriore figura rappresentata di spalle e intenta a combattere proprio con il soggetto principale. Il gruppo, dunque, potrebbe raffigurare una scena di lotta, competizione non a caso praticata proprio negli agoni dell’antica Grecia. Nonostante un’oggettiva difficoltà nella corretta lettura iconografica della statua, derivante dalle mutile condizioni in cui versa, il gruppo marmoreo tuttavia è anche interpretato da parte della critica con la figura di Menelao intento a sorreggere il corpo morente di Patroclo. Tale chiave di lettura, in virtù anche della dettagliata narrazione nell’Iliade dei giochi funebri tenuti in onore della conseguente dipartita di Patroclo, risulta oltremodo calzante specialmente se raffrontata con il luogo “sportivo” in cui essa era ubicata.
Lo Stadio Domiziano, dunque, continuò a mantenere in maniera continuativa la sua funzione fino al 217 d.C., anno nel quale, sotto la reggenza dell’imperatore Macrino, il complesso subì un lavoro di adattamento a seguito dell’incendio occorso al Colosseo. In assenza, infatti, della sede romana “per eccellenza”, vi era la necessità di ospitare i giochi gladiatori e lo stadio sito in Campo Marzio si rivelò essere l’ubicazione più adatta a tale scopo. In seguito, solo nel 228 d.C., al tempo di Alessandro Severo, lo stadio fu oggetto di lavori di restauro.
Con notevole e più che plausibile certezza, il complesso mantenne la sua originaria funzione fino all’VIII secolo quando, nei fornici del primo ordine, venne edificata la prima chiesa di Sant’Agnese. La preesistenza su cui si articolò la ben più monumentale e barocca chiesa, oggi nota come Sant’Agnese in Agone, sorse infatti sul luogo che la tradizione identifica come quello del martirio della santa, e ciò induce dunque a pensare come, a partire dal secolo in questione, lo Stadio di Domiziano dovesse iniziare inevitabilmente a perdere il suo originario utilizzo.
Tra X e XII secolo le cronache ci testimoniano di un luogo destinato ad usi ludici, un utilizzo che permase fino all’epoca rinascimentale: non a caso nella seconda metà del secolo Pietro Barba, salito al soglio pontificio con il nome di Paolo II, decise di utilizzare gli ampi spazi della piazza per ospitare il Carnevale, mentre il suo successore, Sisto IV, il 25 aprile del 1476, giorno di San Marco, optò per offrire al popolo una giostra che venne collocata al centro dell’odierna piazza. A ciò si aggiunse che nel 1477, sotto il pontificato di Sisto IV, la zona venne adibita a sede del mercato rionale in quanto, proprio su espressa richiesta papale, piazza Navona fu individuata come la sede più consona per trasferirvi il mercato che, fino proprio alla riqualificazione sistina, si teneva sulla piazza del Campidoglio tra i “nobili” Palazzo Senatorio e Palazzo dei Conservatori.
In merito, dunque, al “riuso” dello stadio, ciò che è da evidenziare con estrema attenzione risulta l’innalzamento del piano di calpestio della zona: durante tutto il Medioevo, infatti, lo stadio, andando a perdere la sua “importanza”, vide le proprie strutture iniziare ad essere distrutte o utilizzate come “fonte” per il reperimento del laterizio da impiegare in differenti costruzioni. Il complesso, così, divenne lentamente una sorta di cava all’interno della quale vennero riversati detriti e intorno alla quale iniziarono a sorgere edifici e chiese di assoluta importanza.
Emblematica testimonianza del dislivello che inevitabilmente si andò a creare tra l’originario sedime e lo sviluppo successivo risulta, oggi, quanto osservabile in piazza Tor Sanguigna. Posta a pochissimi metri dall’“ingresso” settentrionale di piazza Navona, Tor Sanguigna preserva una preziosa attestazione archeologica di un’arcata in muratura dell’antico stadio. Tale preesistenza consente, dunque, di confermare il materiale utilizzato per la sua edificazione ma, soprattutto, permette di osservare come l’originario piano di calpestio si trovasse a circa 5 metri di differenza rispetto al ben più “alto” piano odierno.
Il periodo rinascimentale, dunque, pose le basi per il ben più corposo e “impattante” rinnovamento urbano che venne messo in atto nella prima metà del Seicento portando di fatto piazza Navona a divenire uno dei simboli per eccellenza della Roma barocca. Nel corso, infatti, della grande e unica stagione secentesca, Roma, vera caput mundi artistica, andò incontro ad un radicale cambiamento, urbanistico e architettonico, dettato specialmente dalle grandi committenze del tempo, ecclesiastiche e laiche.
In questo quadro si colloca, infatti, la famiglia Pamphili rappresentata, in modo assai marcato ed autorevole, dalla figura di Giovanni Battista. Salito al soglio papale con il nome di Innocenzo X, il pontefice predispose in prima istanza la costruzione del “palazzo di famiglia” già presente nella piazza e originariamente edificato nel 1630 attraverso l’unione di differenti immobili di proprietà della famiglia. Il pontefice, eletto nel 1644 ed eternato dal celebre pennello di Diego Velázquez, decise di nobilitare il palazzo conferendogli forme ancor più monumentali. I lavori vennero affidati al noto architetto Girolamo Rinaldi, nominato principe dell’Accademia di San Luca nel 1641, che ideò la straordinaria facies con cui Palazzo Pamphili, oggi sede dell’ambasciata del Brasile, si affaccia sulla piazza: tre giardini interni, ventitré stanze al piano nobile, la preziosa Galleria progettata da Borromini e affrescata da Pietro da Cortona.
Conseguentemente i medesimi interpreti, con la fondamentale aggiunta di Francesco Borromini, a partire dal 1651 rinnovarono in forme barocche la chiesa di Sant’Agnese in Agone. La chiesa, inizialmente commissionata anch’essa al Rainaldi, in seguito all’intervento dell’influente cognata di Innocenzo, Olimpia Maidalchini, venne affidata a Francesco Borromini. L’architetto ticinese intervenne in parte sul progetto originario andando, in particolar modo, a modificare la facciata che con le sue forme concave e convesse (tipiche del linguaggio borrominiano) avrebbe così posto in maggior risalto la cupola.
Sempre alla capitale figura di Innocenzo X si deve, inoltre, una delle sculture forse più iconiche dell’intero scenario romano e nazionale che oggi con la sua bellezza orna l’intera piazza Navona: la Fontana dei Quattro Fiumi. Commissionata nel 1648 nientemeno che a Gian Lorenzo Bernini, la fontana, la più grande tra tutte quelle presenti nella piazza, risulta l’esito dell’operato di alcuni tra i più influenti scultori romani del Seicento. Realizzata per far convogliare le acque provenienti dell’acquedotto “Acqua Virdis”, la fontana è animata dalle allegorie dei quattro principali fiumi presenti nei vari continenti: il Nilo, opera di Giacomo Antonio Fanelli, il Gange di Claude Poussin, il Danubio esito dello scalpello di Antonio Raggi e il Rio de la Plata realizzato da Francesco Baratta. Al centro della fontana Innocenzo X decise di collocare l’Obelisco agonale che, ormai in rovina, fece giungere smontato in quattro grandi “rocchi” direttamente dal Circo di Massenzio lungo la via Appia. La fontana del Bernini, dunque, andò ulteriormente ad arricchire una piazza in cui erano già presenti le due fontane cinquecentesche commissionate da Gregorio XIII a Giacomo della Porta: la Fontana del Moro e la Fontana del Nettuno, quest’ultima con barchile sì cinquecentesco, ma con statue di seguente fattura ottocentesca.
Il grande rinnovamento architettonico decorativo della piazza, iniziato dunque dalla famiglia Pamphili, venne a completarsi nei secoli seguenti con un ulteriore apice tardo settecentesco: la costruzione di Palazzo Braschi. Ubicato tra piazza Navona e corso Vittorio Emanuele, l’edificio venne ideato dall’architetto Cosimo Morelli su commissione dell’allora Pio VI; il pontefice, infatti, desideroso di omaggiare il proprio nipote, Luigi Braschi Onesti, con una tangibile testimonianza della potenza familiare, decise di fargli edificare il palazzo in questione, alla base vi erano ancora quei principi nepotistici che, da lì a pochi anni, avrebbero trovato la fine con i fermenti della rivoluzione francese. Nel 1791 il quattrocentesco Palazzo Orsini venne dunque demolito e, sul medesimo lotto di terreno, fu edificato il palazzo che, dal 1952, ospita il Museo di Roma.
Proseguendo nella storia, il secolo seguente, l’Ottocento, si segnala come l’epoca nella quale papa Pio IX, il più longevo pontefice assiso al soglio petrino, decise, nel 1866, di abolire definitivamente il noto “allagamento” della piazza. A partire dal X secolo, come evidenziato, la piazza era divenuta teatro di eventi ludici. Oltre a tale aspetto, dal 1652 il già menzionato Innocenzo X decise, nei mesi più caldi, di bloccare gli scarichi delle fontane per creare una sorta di lago artificiale il cui scopo sarebbe stato quello di fornire refrigerio alla popolazione nei periodi più torridi. Tale procedura, prima di venire abolita, venne abilmente documentata sia attraverso pregevoli testimonianze artistiche, come ben evidente nel celebre dipinto Giochi d’acqua in piazza Navona di Giovanni Paolo Panini (oggi conservato presso il Landesmuseum di Hannover), sia mediante preziosi scatti fotografici della seconda metà dell’Ottocento.
Il XIX secolo, dunque, lascia spazio al Novecento con una piazza che, persa la sua antica valenza agonale e contestualmente la sua vena più “giocosa”, non andò incontro a ulteriori mutamenti anche a causa, purtroppo, dei due conflitti mondiali che avrebbero segnato la prima metà del XX secolo. D’altro canto, però, fortunatamente piazza Navona passò “indenne” i primi quarantacinque anni del Novecento, per affacciarsi ad un dopoguerra che le avrebbe garantito una sorte decisamente “poco decorosa”.
Il boom economico che caratterizzò, infatti, l’Italia a cavallo tra anni Cinquanta e Sessanta, segnò un’elevata e repentina crescita industriale che condusse ad un consistente aumento demografico oltre ad un conseguente “sovraffollamento” di alcuni beni indispensabili per ogni famiglia italiana: tra questi l’automobile. Ecco dunque che piazza Navona divenne, contro ogni logica odierna, un parcheggio artistico a cielo aperto, vista “Bernini&Borromini”, completamente distante dalle sue precedenti “funzioni”.
Tra gli anni Sessanta e Settanta il continuo sviluppo industriale indusse a concrete riflessioni sulla condizione di alcune città italiane, e conseguentemente dei loro preziosi “centri storici”, ormai asfissiati e condizionati dal traffico urbano. Fu così che nel 1968 piazza Navona divenne la prima “isola pedonale” italiana, andando perciò ad aprire una strada che avrebbe portato, negli anni seguenti, alla pedonalizzazione di ulteriori iconici luoghi artistici come piazza Maggiore a Bologna o via dei Calzaiuoli a Firenze.
Piazza Navona (originariamente piazza “in Agone”, dal latino agon ovvero “gioco”) può, dunque, considerarsi uno dei complessi artistico-architettonici più unici, significativi e al contempo complessi dell’intero panorama storico, architettonico e culturale d’Italia: un luogo ove il fascino dell’antico, unito alle magnifiche ed illustri testimonianze artistiche secentesche, ci consentono di inserirci pienamente in quel dialogo calviniano paradossalmente senza tempo.
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autore di questo articolo: Giorgio Dellacasa
Storico dell'Arte e divulgatore scientifico. Ho 25 anni, sono nato a Genova e qui ho compiuto tutto il mio percorso di studio universitario, conseguendo la Laurea triennale in Conservazione dei Beni Culturali e la Laurea magistrale in Storia dell'Arte e Valorizzazione del patrimonio storico artistico. Attualmente ho conseguito l'accesso alla Scuola di Specializzazione in Beni Storico-Artistici di Genova.