Quando Pietro Annigoni dipinse il ritratto della regina Elisabetta II d'Inghilterra


Quando a Pietro Annigoni fu chiesto di ritrarre la regina Elisabetta II d’Inghilterra, inizialmente pensò a uno scherzo. Ma era tutto vero. La regina posò 16 volte e Annigoni ne restituì una delle sue immagini più celebri.

Quando Pietro Annigoni (Milano, 1910 - Firenze, 1988) ricevette, nel 1954, l’incarico di dipingere il ritratto della regina Elisabetta II d’Inghilterra, sulle prime pensava che fosse uno scherzo. Gli era stata recapitata una lettera della Worshipful Company of Fishmongers, nota anche come Fishmongers’ Company, una delle 110 livery companies di Londra, le corporazioni che, come nella Firenze del Rinascimento, riuniscono le attività commerciali della città. Pensò che fosse uno scherzo perché non riusciva a trovare un nesso tra la “Compagnia dei Pescivendoli” (questa l’attività riunita dal sodalizio) e la regina d’Inghilterra. Poi, approfondendo, Annigoni si rese conto che i suoi committenti erano gli illustri esponenti di una compagnia operante addirittura dal 1272, e che aveva avuto tra i suoi membri e tra i suoi “Prime Wardens” (la figura che presiede l’ente) alcuni tra i più eminenti nobili, politici, letterati del Regno. Persino il duca di Edimburgo, il principe Filippo, marito di Elisabetta II, era stato Prime Warden della compagnia, tra il 1961 e il 1962.

Il caso volle che alcuni membri della Fishmongers’ Company fossero grandi estimatori della pittura di Annigoni, uno dei quattro pittori moderni della realtà, il gruppo che Annigoni fondò, nel 1947, assieme a Gregorio Sciltian e ai fratelli Antonio e Xavier Bueno. Quattro pittori desiderosi di rivendicare una “pittura morale nella sua intima essenza”, com’ebbero a scrivere nel loro manifesto, e che diedero vita a una azione che si configurava, ha scritto lo studioso Stefano Sbarbaro, procedendo “da una parte nella condanna dei nuovi linguaggi dell’arte propugnati dalle avanguardie, di cui rinnegano le mendaci manifestazioni di un ’falso progresso’, e delle degenerazioni stilistiche che hanno condotto la pittura a uno sterile esercizio privo di fondamento”, e dall’altra tramite “una raffinata e originale rievocazione di modelli più alti offerti dalla pittura del passato, in cui i concetti di verità e realtà convergono in una visione universale e assoluta dell’arte”. Una pittura contro tutto ciò che era accaduto dal postimpressionismo in poi, contro le avanguardie, contro quella che loro definivano l’“École de Paris”, una pittura che guardava all’antico rifiutando però l’accademismo, che osservava il vero con un approccio preciso e sincero. La critica non accolse di buon grado la proposta dei “pittori moderni della realtà”, che durarono uniti appena un paio d’anni. Diversa invece fu la reazione del pubblico e dei committenti: Annigoni era visto come un pittore prodigioso e meticoloso, e come un valentissimo ritrattista.

Annigoni nel 1949 si era trasferito, dietro incoraggiamento di un collega, il pittore bulgaro Dimitri Kratschkoff, in Inghilterra, nel tentativo di esporre alla Royal Academy: ci era riuscito, grazie anche alla lettera di raccomandazione di Salvatore Ferragamo, di cui Annigoni aveva eseguito uno dei più famosi ritratti. E proprio nel 1949 aveva esposto le sue opere alla Royal Academy: era la prima di una lunga serie di mostre presso l’accademia londinese. Cinque anni dopo, quando ricevette la lettera della Fishmongers’ Company, fu un suo allievo, Tim Whidborne, a dirgli che non era uno scherzo. “Emerse”, raccontava Annigoni nella sua autobiografia, “che molti dei membri più influenti della compagnia erano stati alla mia mostra prima di decidere di onorarmi con la commissione per il ritratto che sarebbe poi dovuto essere appeso nella sala accanto ai ritratti di re e regine dei secoli passati”. Annigoni era diventato in breve tempo pittore della regina, capace di realizzare un ritratto che lo rese famoso in tutto il mondo, e dal quale derivò una sequenza di notevoli commissioni, dal ritratto di John Fitzgerald Kennedy a quello di papa Giovanni XXIII.

Pietro Annigoni, Ritratto di Elisabetta II d'Inghilterra (1955; tempera, olio e inchiostro su carta, 182,9 x 121,9 cm; Londra, Fishmongers' Hall)
Pietro Annigoni, Ritratto di Elisabetta II d’Inghilterra (1955; tempera, olio e inchiostro su carta, 182,9 x 121,9 cm; Londra, Fishmongers’ Hall)

“Mi son levato febbricitante stamane, e giù di spirito”, ricordava ancora Annigoni nei suoi diari ripensando al periodo in cui attendeva al ritratto di Elisabetta II. “Invasione di fotografi e giornalisti. Incredibile banalità delle domande. Tutti sono impressionati dal fatto che la regina verrà a posare nel mio studio; nello studio, veramente ottimo, che mi è toccato, questa volta, nella silenziosa Edwardes Square. Certo la cosa è insolita, e comunque m’è stata di non poco sollievo. Sarà una battaglia difficile questo ritratto, e che Iddio me la mandi buona”. Qualche giorno più tardi: “Oggi, a Buckingham Palace, primo incontro con la Regina. Emozione intensa, invincibile, che perdura. Non dimenticherò questo giorno”. Annigoni ricordava anche le sedute di posa: “come modella, la Regina non facilita il mio compito. Non sente la posa, né pare preoccuparsene. E parla molto. In compenso è gentile, semplice, e non appare mai distante [...]. La famiglia reale al completo - Regina, Regina Madre, principessa Margaret, principe Filippo e i bambini - è venuta a vedere il ritratto. Alquanto scrutatrice la madre, piena di charme, di freschezza, e circondata da un’emanazione di fonda sensualità la principessa. Molti elogi che direi sinceri”.

Occorsero sedici sessioni prima di arrivare al risultato finale. Il pittore e la regina tra loro parlavano in francese: Annigoni, nonostante avesse trascorso diverso tempo in Inghilterra, non parlava ancora bene in inglese. All’epoca, lui aveva quarantaquattro anni, lei ventotto. Per il ritratto, Annigoni decise di rifarsi alla tradizione antica, optando per un taglio dalle ginocchia in su, in posa di tre quarti. Elisabetta II ha indosso la veste dell’Ordine della Giarrettiera: un grande mantello scuro foderato di seta candida, con fiocchi bianchi sulle spalle e la coccarda appuntata al petto. La posa era la stessa del ritratto di Jane Seymour, terza moglie di re Enrico VIII, dipinto attorno al 1537 da Hans Holbein il Giovane. L’ambientazione, un paesaggio di campagna immaginario, che ricorda tanto i paesaggi della pittura fiorentina del secondo Quattrocento, molto cari ad Annigoni. In lontananza, sopra un fiume, s’intravede una barchetta con un pescatore, omaggio alla committenza. L’espressione della regina è assorta, lo sguardo altero e fiero che non incontra quello dell’osservatore. Con il suo ritratto Annigoni, ha scritto Valentino Bellucci nella sua recente monografia sul pittore toscano edita da Giunti, aveva voluto “simboleggiare, attraverso l’immagine solare di una splendida e giovane donna appena salita al trono, tutte le speranze e le aspettative di una nuova epoca della storia inglese dopo le sofferenze e i traumi della seconda guerra mondiale”. E sempre Bellucci ha ricordato che Annigoni è stato il primo artista italiano dopo Tiziano a essere chiamato “da una corte per un servizio esclusivo”. Certo, altri italiani avrebbero dipinto sovrani stranieri (si pensi per esempio al ritratto di Napoleone eseguito ad Andrea Appiani), ma tra Annigoni e la regina si stabilì un legame forte, e soprattutto all’epoca quello era l’unico ritratto della regina in fieri. Annigoni sentiva dunque il peso della sua responsabilità, anche perché le pressioni della stampa erano molte.

La critica tuttavia non fu molto favorevole ad Annigoni: il giovane critico d’arte del Times, il trentunenne David Sylvester, recensendo la mostra in cui il dipinto venne esposto nel 1955, mise dapprima il dipinto di Annigoni a paragone col precedente di Holbein, accordando preferenza a quest’ultimo, e poi scrisse che l’opera aveva sacrificato “la realtà della monarca all’idea della monarchia”, e che Annigoni era sì “riuscito a catturare qualcosa della dignità e della bellezza di Sua Maestà”, ma che non era “riuscito a catturare la sua vitalità”. Nella sua autobiografia, Annigoni volle in qualche modo difendersi da questa critica: scrisse che era una scelta precisa quella di raffigurare la regina “sola e distante”, perché questa era l’impressione che aveva ricavato parlando con lei, mentre Elisabetta II raccontava all’artista i suoi ricordi d’infanzia. “Sola e distante”, dunque, nonostante vivesse, per ammissione stessa di Annigoni, “nel cuore di milioni di persone che l’amavano”.

Ci furono però anche critiche positive. Sulla rivista Life, per esempio, si poteva leggere che “a dispetto dell’abbondanza di fotografi reali, l’arte della ritrattistica reale non corre il rischio di morire in Gran Bretagna. Reggimenti, gilde, club sembrano pronti a far sì che i pittori continuino a dipingere e la regina continui a posare per gli anni a venire. Il più recente e il più bello dei dipinti della regina Elisabetta è dell’italiano Pietro Annigoni. Incaricato dalla Worshipful Company of Fishmongers, la gilda che presiede il commercio del pesce a Londra, Annigoni ha allestito il suo studio a Buckingham Palace. Per tutto l’inverno la regina ha posato sedici volte. Tra una posa e l’altra, Annigoni ha lavorato con i bozzetti e con i vestiti dell’Ordine della Giarrettiera indossati da una modella. Di recente ha svelato il suo lavoro, una maestosa immagine della regina su di un paesaggio vicino a Windsor”.

Pietro Annigoni, Ritratto di Elisabetta II d'Inghilterra (1969; tempera grassa su carta applicata su tavola, 198,1 x 177,8 cm; Londra, National Portrait Gallery, inv. NPG 4706)
Pietro Annigoni, Ritratto di Elisabetta II d’Inghilterra (1969; tempera grassa su carta applicata su tavola, 198,1 x 177,8 cm; Londra, National Portrait Gallery, inv. NPG 4706)

Occorre tuttavia considerare che il dipinto incontrò un larghissimo favore di pubblico, tanto che fu riprodotto ovunque. Nel 1963 fu anche emanato un francobollo ufficiale con l’immagine della regina ritratta da Annigoni. La famiglia reale apprezzò, tanto che subito dopo commissionò ad Annigoni il ritratto di Margaret, e circa quindici anni più tardi, nel 1969, il pittore fu chiamato a eseguire un nuovo ritratto della regina, questa volta per conto dei trustees della National Portrait Gallery. Per il ritratto successivo, Annigoni scelse una posa decisamente più monumentale: Elisabetta II è raffigurata in questo caso con indosso l’abito dell’Ordine dell’Impero Britannico. Furono necessarie in questo caso diciotto pose, otto delle quali portarono a uno studio a pastello che nel 2006 fu poi personalmente acquistato dalla regina (era infatti rimasto tra le proprietà della famiglia di Annigoni). È un’opera dal tono decisamente più austero della prima: Annigoni aveva chiaramente dichiarato che la sua idea era quello di dipingere Elisabetta come una monarca, per dare il senso della responsabilità che il suo ruolo comporta. Infine, nel 1972, Annigoni avrebbe eseguito un tondo con la regina e il duca di Edimburgo in occasione delle loro nozze d’argento, su commissione della Biblioteca di Storia Imperiale: il disegno doveva servire per produrre alcuni piatti commemorativi in oro e in argento.

Il ritratto del 1955 rimane tuttavia quello più famoso, quello più caro al pubblico, e anche quello da molti ritenuto il miglior ritratto della regina. Il dipinto di Annigoni fu infatti seguito da moltissimi altri ritratti, eseguiti anche da molti dei migliori pittori al mondo. Quasi tutti però sempre stroncati dalla critica. Il ritratto di Annigoni è rimasto però scolpito nell’immaginario del pubblico anche a distanza di decenni, e costituisce tuttora una delle più famose icone della regina d’Inghilterra.


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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