Lo scorso 6 febbraio la regina d’Inghilterra, Elisabetta II, ha celebrato il proprio Giubileo di Platino, ovvero la ricorrenza dei settant’anni dall’inizio del suo regno, cominciato il 6 febbraio 1952, e in questo inizio di giugno 2022 si è tenuta una lunga serie di eventi a Londra per festeggiare l’importante anniversario. L’immagine della regina Elisabetta è legata anche a quella dei tanti suoi ritratti, noti e meno noti: il migliore è sicuramente quello eseguito nel 1955 da Pietro Annigoni, ma tanti sono sicuramente poco riusciti. Perché allora i ritratti della regina Elisabetta sono spesso così tristi? È la domanda che si è fatto il critico d’arte del Times, Waldemar Januszczak.
“È stato durante i suoi anni da principessa”, scrive Januszczak, “che le cose tra la regina e la telecamera hanno davvero iniziato a scaldarsi. Sociologi, storici e cinici vi diranno che quelli erano già anni di crescita esponenziale nel settore dell’immagine: nuove riviste, nuove macchine fotografiche, un nuovo interesse per le novità. Come entità, la famiglia reale era diventata attivamente consapevole della necessità di presentare una nuova immagine di sé alla sua popolazione. Non solo in Gran Bretagna, ma in ogni angolo dell’enorme impero rosa che governava”. E in effetti, scrive il critico, le tante fotografie hanno contribuito a lanciare a livello globale l’immagine di Elisabetta II: vengono citati i lavori di maestri di quest’arte, come Dorothy Wilding che eseguì uno dei primi ritratti fotografici ufficiali della regina, di Cecil Beaton che, da navigato fotografo di moda, nel 1948 restituì l’immagine di Elisabetta come principessa delle fiabe che il mondo ha sempre sognato, fino ad arrivare alle stampe pop di Andy Warhol del 1985.
In pittura, tuttavia, i risultati non sono sempre stati esaltanti. “La monarchia inglese”, ricorda Januszczak, “detiene un rispettabile record in fatto di commissioni di dipinti di se stessa. Enrico VIII mostrò una vera perspicacia quando fece di Hans Holbein il suo artista di corte. Fu Holbein a inventare il monarca extra-large senza il quale l’industria Tudor di oggi non avrebbe avuto mostri da immaginare. Elisabetta I forse non ha mai trovato un suo Holbein, ma controllava una macchina per immagini che produceva presentazioni altamente efficaci di lei come la Regina Vergine. Anche un re cattivo come Giorgio IV ha mostrato un gusto artistico superiore quando si è rivolto a sir Thomas Lawrence per dipingerlo”.
Non bene è andata invece per Elisabetta II che, scrive il critico, “purtroppo ha inaugurato una flessione in questa storia. La maggior parte dei pittori a cui si è rivolta provenivano da una squallida istituzione, la Scuola dei Lacchè Senza Talento. I risultati sono stati brutte immagini somiglianti, o comunque molto poco interessanti”. Januszczak riconosce che “l’italiano alla moda Pietro Annigoni è stato forse il migliore nel 1955 quando ha dipinto la monarca recentemente incoronata in modo tradizionale in uno stile post, post, post-rinascimentale. I risultati erano abbastanza vicini a una delle fotografie reali di Beaton per rimanere affascinanti”.
Annigoni ci avrebbe poi riprovato nel 1969, ma senza ottenere lo stesso successo. Altri si sarebbero cimentati in ritratti decisamente brutti: alcuni nomi (non menzionati da Januszczak) potrebbero essere quello di Dan Llyerlyn Hall per il giubileo di diamante, quello di Chinwe Chukwuogo-Roy del 2002 per il giubileo d’oro, quello di Isobel Peachey del 2010. “Ad un certo punto in questo catalogo di fallimenti”, scrive Januszczak, “qualcuno a Buckingham Palace sembra aver convinto la Regina a essere più avventurosa: chi infatti doveva presentarsi a provare, nel 2000, se non Lucian Freud? Freud è stata una scelta coraggiosa. Ma anche disastrosa. Il suo minuscolo ritratto, non molto più grande di uno dei francobolli di Sua Maestà, la fa sembrare un’anziana signora di una casa di cura [...]. L’unico artista britannico che avrebbe potuto essere all’altezza del compito di produrre un ritratto della regina che aggiungesse qualcosa di significativo alla sfilata di quadri reali (David Hockney) ha rifiutato la sfida. Quando gli fu chiesto il perché in occasione dell’ultimo giubileo, nel 2012, ha detto di non averne il tempo e, inoltre, che di solito dipinge solo persone che conosce. Così il regno di platino di Elisabetta II non ha prodotto alcun ritratto dipinto che possa essere indicato come una grande immagine reale. La fotografia dei suoi primi anni è ricca di successi. I dipinti che seguono sono inesorabilmente deludenti”.
Soggetto difficile, sfortuna, voglia di strafare, pessime scelte quando si è trattato di selezionare artisti in grado di produrre ritratti efficaci di sua maestà? Forse un insieme di tutto ciò, forse una linea che non ha pagato (Januszczak attribuisce questi fallimenti a un cambio di strategia da parte della monarchia inglese, che ha voluto presentarsi come più umile e meno privilegiata per “ingraziarsi i Jones”, ovvero i cittadini semplici, col risultato che la carismatica principessa degli anni Quaranta e Cinquanta è diventata un soggetto di quadri poco esaltanti), ma comunque non tutto è da buttare. Januszczak salva, per esempio, il ritratto di Peter Blake eseguito per la copertina di Radio Times in occasione del giubileo di diamante del 2012. Nel dipinto, la regina “indossa lo stesso scintillante diadema che indossa sui nostri francobolli. Intorno al suo collo pende un grappolo di seriosi gioielli bianchi, che si abbinano al suo vestito bianco e ai suoi capelli bianchi come la neve. Il blu della fascia della sua giarrettiera sembra fare rima con i suoi occhi. Ciò che rende il ritratto, però, è il bel sorriso che le illumina il viso. Ovviamente è stato preso da una fotografia. Ma l’artista lo ha ampliato in qualcosa di toccante. Questo è ciò che la pittura può fare”.