Il Castello del Buonconsiglio di Trento è tra gli edifici che appaiono più spesso nelle opere di Albrecht Dürer (Norimberga, 1471 – 1528): lo raffigurò almeno quattro volte, a cominciare da due celebri acquerelli che lo stesso artista contrassegnò come “Tryt” e “Trint”, ovvero la Veduta di Trento da nord (1495) e la Veduta del Castello del Buonconsiglio da nord-ovest (1494-1496), rispettivamente custoditi alla Kunsthalle di Brema e al British Museum di Londra, per continuare in Pupila Augusta, disegno a penna e inchiostro scuro eseguito tra il 1496 e il 1500 e appartenente alla Royal Collection, infine, nel bulino raffigurante Sant’Antonio abate datato 1519 di cui esistono vari esemplari (due di questi sono conservati al Metropolitan Museum di New York e alla Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia). Un luogo che quindi si deduce debba aver colpito molto l’artista di Norimberga in uno dei suoi viaggi in Italia. Non è dato tuttavia ancora sapere con certezza quando ad esempio sia stato realizzato il disegno del British Museum: gli studiosi si dividono tra coloro che lo considerano frutto del secondo viaggio di Dürer in Italia (1505-1507), tra coloro che pensano sia stato realizzato nel viaggio di andata del suo primo soggiorno in Italia (1494-1495) e coloro che lo datano al viaggio di ritorno verso la Germania. Nel catalogo della mostra, organizzata proprio al Castello del Buonconsiglio dal 6 luglio al 13 ottobre 2024, dal titolo Dürer e gli altri. Rinascimenti in riva all’Adige, in occasione del centenario della sua istituzione come museo, Luca Gabrielli, nel suo saggio che ricostruisce le vicende storiche che hanno mutato nel tempo l’aspetto del Castello del Buonconsiglio, data entrambi gli acquerelli di Brema e di Londra alla prima discesa di Dürer in Italia, nell’ultimo decennio del Quattrocento, sostanzialmente riferendosi ad elementi architettonici costruiti tra gli anni 1505-1506 e dunque non presenti negli acquerelli. L’aspetto del Castello rappresentato in entrambi sarebbe dunque, secondo la ricostruzione di Gabrielli, quello precedente ai significativi interventi voluti dal principe vescovo Bernardo Cles tra il 1528 e il 1536. Osservando questi acquerelli risulta comunque evidente, vista la dovizia di dettagli, come Dürer abbia voluto soprattutto concentrarsi sull’aspetto architettonico dei luoghi che più lo affascinavano e che, come in una sorta di promemoria, si annotava su fogli; risultano invece meno definiti gli aspetti per così dire naturalistici ed urbanistici, che l’artista traduceva con macchie di colore.
Al di là della collocazione temporale della loro realizzazione, gli acquerelli di viaggio di Dürer sono considerati capolavori non solo nella produzione dell’artista ma anche nella storia dell’arte europea. Lo studioso britannico Kenneth Clark li definì i “primi paesaggi sentimentali della pittura moderna”, ed Erwin Panofsky dichiarò che questi “mostrano un evidente progresso non solo nella prospettiva, ma anche, ed è più importante, nella concezione”, aggiungendo che “l’insieme assume maggior rilievo delle parti e ogni singolo oggetto, naturale o costruito dall’uomo, è visto come partecipe della vita universale della natura”. E parlando dell’acquerello di Londra raffigurante il Castello di Trento affermò che “non è più una registrazione ma un’immagine, così la rappresentazione della città di Trento non è più un inventario topografico ma una veduta”. Sono comunque immagini che rivelano una particolare attenzione per il dettaglio, trattando luoghi e architetture come fossero ritratti e, a tal proposito, Gabrielli ricorda come Dürer, in gioventù (secondo quanto annotato da uno dei primi compilatori di notizie sulla vita dell’artista, un certo Johann Neudörfer da Norimberga che ebbe occasione di frequentare personalmente il pittore negli ultimi anni della sua esistenza), si dedicasse a raffigurare persone, paesaggi e architetture con l’accuratezza dei dettagli tipica del ritratto.
Nell’acquerello di Brema, in cui Dürer raffigura con una veduta da nord il profilo del Castello del Buonconsiglio e della porta di San Martino e le porzioni della cinta muraria fino a torre Verde, non compare la cuspide aguzza della Torre verde rivestita di embrici dipinti a smalto verde: questo elemento contribuisce a dare una precisa indicazione cronologica al viaggio di Dürer in Italia, poiché se la cuspide venne eretta tra il 1505 e il 1506 si presuppone che il pittore abbia visto la torre in anni antecedenti, probabilmente negli anni Novanta del Quattrocento. Più preciso e dettagliato rispetto a quello di Brema, anche se presumibilmente realizzato in studio a partire da schizzi dal vero, l’acquerello di Londra, esposto per la prima volta in Italia in occasione della mostra, presenta una veduta ravvicinata del castello illuminato da una luce proveniente da ovest in ore pomeridiane. L’acquerello documenta lo stato del Castello del Buonconsiglio prima dei grandi interventi realizzati da Bernardo Cles. Tra il 1528 e il 1536, infatti, Cles promosse l’edificazione di una nuova ala di rappresentanza, il cosiddetto Magno Palazzo, che venne collegata al Castelvecchio, il corpo principale del castello. Inoltre, durante questo periodo, fu creata una vasta area adibita a giardino, circondata da una nuova e più ampia cinta muraria, che sostituì quella antica raffigurata da Dürer e costruita sotto il principe vescovo Georg II Hack. Questo acquerello, quindi, offre una preziosa testimonianza visiva del castello nella sua configurazione precedente a queste trasformazioni.
Nell’angolo superiore sinistro del foglio è raffigurato il maestoso corpo principale del castello, o come detto Castelvecchio. Sebbene vi siano alcune imprecisioni nella rappresentazione delle merlature e delle dimensioni delle aperture, Dürer riproduce fedelmente la struttura così come era stata rinnovata una decina di anni prima, grazie agli interventi del principe vescovo Johannes IV Hinderbach (in carica dal 1465 al 1486). La disposizione e le funzioni degli spazi all’interno del castello possono essere ricostruite anche attraverso gli antichi inventari compilati tra il 1465 e il 1527. Partendo da sinistra, si nota il muraglione che collega la porta di San Martino alla torre Verde, già accennato nell’acquerello di Brema. Questo muraglione potrebbe corrispondere a quello descritto negli inventari quattrocenteschi come “muro verde”, sovrastato da una robusta bertesca in legno che, con tutta probabilità, fungeva da posto di guardia. Si vede poi il mastio cilindrico, significativamente più basso rispetto alla configurazione attuale. A sinistra, il castello mostra la sua severa facciata settentrionale, già visibile da un’altra prospettiva nelle vedute della Pupila Augusta e del Sant’Antonio. A destra, invece, il prospetto principale si apre al terzo piano, dedicato alle funzioni di rappresentanza, con la cosiddetta loggia veneziana, dalla quale il principe e i suoi ospiti potevano osservare la città dall’alto, sia per contemplazioni private sia per cerimonie pubbliche. Le finestre trilobe del grande locale a nord della loggia, chiamato “camera lunga”, restano invece nascoste alla vista esterna dalla torre della cinta muraria.
Proseguendo verso sud, si nota la facciata scalare del corpo centrale, caratterizzata al terzo piano da due sporti coperti che corrispondono alla sala principale del castello, oggi nota come sala dei vescovi, la quale è anch’essa collegata alla loggia. Al piano inferiore si trova un balcone con grata metallica che illumina la vasta sala adibita, tra le altre funzioni, a cappella palatina, come menzionato nell’inventario del 1527. Nell’acquerello, solo il colore rosso delle arcate e delle colonne della loggia suggerisce la raffinatezza degli apparati lapidei e dei decori pittorici degli interni, di cui Albrecht Dürer non poteva avere una percezione diretta, rimanendo all’esterno della porta sbarrata delle mura. Invisibili dall’esterno restano inoltre gli ambienti destinati alle funzioni di servizio della corte vescovile, che comprendevano le stanze della cancelleria, del burgravio, del capitano, delle guardie, del cuoco e dei vivandieri al secondo piano, e quelle del maestro di casa e del cantiniere, insieme ai locali della cucina, della camera degli argenti, del forno del pane e del refettorio di corte al primo piano. Nelle vicinanze del castello si trovavano anche il torchio e il mulino, elementi cruciali per il funzionamento del complesso.
Gabrielli fa notare inoltre come Dürer abbia catturato con precisione due elementi che rivelano la varietà di funzioni del castello. Il primo è il setto murario ortogonale alla facciata scalare, visibile oltre la cortina merlata rettilinea. A differenza della situazione odierna, oltre quel muro non si vede la falda del tetto, il che dimostra che il livello della copertura era più basso all’epoca, indicando che il locale sopra la sala dei vescovi era solo un sottotetto. Il secondo elemento è un grande traliccio ligneo girevole, incardinato sulla facciata scalare, con una corda che scende fino alla finestra del sottotetto. Lo stesso traliccio compare con carico appeso anche nella Pupila Augusta. I documenti cinquecenteschi confermano che il traliccio ligneo girevole catturato da Dürer sulla facciata scalare del Castelvecchio corrispondeva al “falchon da tirar suso la biava,” ovvero una gru utilizzata per sollevare granaglie e derrate nel locale del sottotetto. Questo spazio chiamato granaro era destinato esclusivamente alla conservazione di riserve alimentari e aveva una funzione prettamente utilitaria. Solo dopo il 1535, con il trasferimento del granaio ad altra sede e su iniziativa del principe vescovo Bernardo Cles, l’ultimo piano del Castelvecchio poté essere trasformato in un’area di rappresentanza. Questa trasformazione faceva parte di un più ampio progetto di riorganizzazione degli spazi pubblici e privati del castello. Tuttavia, all’epoca di Dürer, l’ultimo piano era ancora adibito a usi pratici, giustificando la presenza del traliccio ligneo sulla facciata principale del castello. Oltre a questa lettura dell’immagine, Gabrielli è riuscito, anche grazie a denominazioni tratte dagli inventari, a estrarre notizie sulla topografia antica del Buonconsiglio: a destra, in lontananza, si riconosce la torre Aquila con il suo tetto a quattro falde e gli sporti che agevolavano l’uso residenziale delle stanze all’ultimo piano. Nonostante la distanza, Dürer raffigura con precisione la grande finestra a croce della sala del primo piano e accenna a quella al secondo piano, corrispondente alla sala dei Mesi. La torre era situata sopra una delle porte urbiche, spiegando così la presenza del muro merlato che proteggeva il grande fornice a livello del suolo.
L’alta muraglia che connetteva la torre al Buonconsiglio, conosciuta nel Quattrocento come “muro dell’Aquila”, è rappresentata da Dürer con il camminamento di ronda merlato, scoperto e intercalato da garitte. Questo camminamento fu successivamente chiuso, coperto e ornato con fregi dipinti per iniziativa del Cles. Mancano però le due torri che sorgevano a cavallo del muraglione: una fu completamente inglobata nel Magno Palazzo, mentre la torre del Falco è ancora esistente. Ai piedi delle mura, si nota un brolo alberato cinto da un basso muro inclinato e intonacato di bianco, dotato di una porticina: spazio che coincide probabilmente con il “giardino inferiore” che fu presto trasformato con un terrapieno per la creazione del nuovo giardino clesiano. Oltre la stradina, all’estrema destra, si intravede un fabbricato ad ali disposte attorno a una corte centrale. Questo edificio formerà, nel pieno Cinquecento, il nucleo delle scuderie del castello, ancora esistenti. Già nel 1527, però, l’edificio svolgeva diverse funzioni richieste da una corte piccola ma ben organizzata: ospitava stalle per cavalli, asini, cani, una stalla per i carri e abitazioni per il personale di servizio.
Dal punto di osservazione di Dürer, oltre agli elementi già descritti, doveva essere visibile anche un altro edificio: il torrione cilindrico costruito dal principe vescovo Johannes IV Hinderbach. Questo torrione era stato eretto come complemento al giardino pensile, che comprendeva una cantina vinaria sottostante. L’inventario del 1527 conferma che il torrione non era solo una struttura difensiva o decorativa, ma ospitava anche stanze da bagno e una sala, che potrebbe essere stata situata proprio all’interno della torre. Doveva essere visibile a Dürer anche la grande torre cilindrica ancora oggi esistente di età hinderbachiana. Si tratta probabilmente di un’omissione selettiva e intenzionale, compiuta dall’artista nel corso della stesura pittorica eseguita in studio, forse intesa a evitare il sovrapporsi al torrione dei due bastioni della cinta esterna, che avrebbe creato all’osservatore difficoltà di lettura. Secondo questa ricostruzione della sua fisionomia quattrocentesca, il Castello del Buonconsiglio era dunque un intreccio di funzioni difensive, residenziali e ludiche, similmente alle più illustri residenze europee del Quattrocento.
Queste vedute del Castello del Buonconsiglio e del sistema architettonico all’interno delle mura della città di Trento sono successivamente stati utilizzati da Albrecht Dürer negli sfondi del disegno della Pupila Augusta (preparatorio per una stampa mai realizzata) appartenente alla Royal Collection e del bulino con Sant’Antonio abate (in mostra l’incisione della Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia). Il primo, che prende il nome dall’iscrizione che si legge al contrario su quella sorta di cesto sulla destra, è un disegno che ancora oggi non è stato del tutto decifrato: si notano tre donne anziane in primo piano alle quali si avvicinano tre donne giovani che cavalcano un grande pesce; tra le prime, quella che indossa un elmo alato, indica un recipiente pieno d’acqua. Sulla destra vi sono invece tre piccoli putti, due dei quali si arrampicano sul cesto citato recante l’iscrizione e un altro seduto indica una lepre in fuga. Riguardo alle figure l’artista deve aver costruito la sua composizione da una serie di stampe italiane, mentre, come già accennato, la città sullo sfondo deriverebbe dai menzionati studi ad acquerello realizzati da Dürer in territorio trentino. Il secondo vede invece protagonista un sant’Antonio abate seduto in primo piano e assorto nella lettura, con sullo sfondo una complessa città fortificata, in cui domina il castello. Dürer “inventò un Sant’Antonio per una composizione architettonica già pronta” scrisse Panofsky, per evidenziare come quel paesaggio derivasse dai suoi studi dal vero sulle vedute di Trento.
Quattro opere che legate tra loro testimoniano non solo il rapporto di Dürer con l’Italia, a partire dalla sua breve ma significativa presenza in Trentino, ma anche i legami che si vennero a creare nell’arte tra Italia e Germania con la nascita di quel Rinascimento variegato e originale che si sviluppò in quella terra di transizione tra il 1470 e gli anni Trenta-Quaranta del Cinquecento.
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.