Tra le teche del Museo degli Strumenti di Calcolo di Pisa, uno degli istituti del Sistema Museale d’Ateneo dell’Università di Pisa, è possibile imbattersi in uno straordinario cimelio della storia dell’informatica, la Programma 101 della Olivetti, una macchina che ha segnato un momento importante nel cammino verso gli odierni computer, tanto che si trova spesso esposta presso musei dedicati alla tecnologia. La Olivetti Programma 101, nota anche come P101, è un calcolatore da tavolo programmabile, definita per questo motivo anche Desktop Computer e considerata da molti addirittura come il primo personal computer della storia.
Solitamente, quando pensiamo alla storia dell’informatica, la immaginiamo dominata dai nomi di aziende statunitensi come IBM, Apple e Microsoft, e quindi è facile dimenticare il contributo fondamentale di una realtà tutta italiana come la Olivetti. Con la sua Programma 101, l’azienda di Ivrea ha scritto una pagina indelebile nella storia della tecnologia, dando vita a un prodotto che ha segnato la storia dei computer. Un calcolatore portatile, che era conservato dentro una custodia: quando si apriva, appariva un oggetto che, all’epoca, poteva ricordare la forma di una macchina da scrivere. Ma in realtà era un computer, composto da tre blocchi: la sezione elettromeccanica, quella elettronica e un motore elettrico, il tutto fornito di tastiera che agiva su un codificatore meccanico messo in azione dal motore. Uno strumento che oggi ci potrebbe apparire rudimentale, ma all’epoca era quanto di più avanzato, anche in virtù del suo design tutto italiano, affidato a Mario Bellini (Milano, 1935), uno dei più grandi designer della storia del nostro paese, giovanissimo all’epoca in cui immaginò la forma della Programma 101. Ma che cosa ha reso la Programma 101 un’innovazione così straordinaria?
La Programma 101 venne presentata al pubblico per la prima volta nel 1965, durante la fiera BEMA di New York, una kermesse per prodotti d’ufficio. Progettata tra il 1962 e il 1964 da un team guidato da Pier Giorgio Perotto (Torino, 1930 – Genova, 2002), ingegnere visionario dell’Olivetti all’epoca poco più che trentenne, la macchina (che in ragione del nome del suo padre fu detta anche la “Perottina”) fu pensata per semplificare l’elaborazione dei dati, ovvero che lavorasse attraverso istruzioni semplici. All’epoca, infatti, i computer erano enormi, costosi e difficili da usare, riservati a grandi aziende o istituzioni accademiche. L’amministratore delegato dell’azienda, Roberto Olivetti (Torino, 1928 – Roma, 1985), voleva al contrario un calcolatore facile da usare e poco costoso.
L’idea di Perotto e della sua squadra, che comprendeva Giovanni De Sandre, Gastone Garziera, Giancarlo Toppi e Giuliano Gaiti, era tanto semplice quanto rivoluzionaria: creare un dispositivo compatto, intuitivo e utilizzabile in maniera semplice, che potesse essere collocato su una scrivania come una macchina da scrivere. Il risultato fu un calcolatore programmabile dal design elegante, che anticipò di diversi anni il concetto stesso di “personal computer.”
La genesi della P101 non fu priva di sfide. Perotto e il suo team dovettero affrontare ostacoli tecnologici, organizzativi e culturali. In un periodo in cui i computer erano visti come strumenti esclusivamente aziendali o accademici, convincere l’azienda a investire in un prodotto così innovativo e avveniristico fu un’impresa ardua. Tuttavia, il supporto della dirigenza Olivetti, che già in passato aveva puntato sull’innovazione con prodotti come la Lettera 22, permise di portare avanti questo ambizioso progetto. “Venne a prendere forma nella mia mente non tanto una soluzione, quanto un sogno”, raccontò poi Perotto nel suo libro Programma 101. L’invenzione del personal computer: una storia appassionante mai raccontata (1995), “il sogno di una macchina nella quale non venisse solamente privilegiata la velocità o la potenza, ma piuttosto l’autonomia funzionale, che fosse in grado non solo di compiere calcoli complessi, quanto di gestire in modo automatico l’intero procedimento di elaborazione, però sotto il controllo diretto dell’uomo. Ma l’idea non era tanto di immaginare un automatismo totale, quanto una macchina amichevole alla quale delegare quelle operazioni che l’uomo fa male o che sono fonte di fatica mentale e di errori, come l’introduzione e l’estrazione dei dati e la ripetizione di procedure di calcolo”. La P101, in sostanza, avrebbe dovuto automatizzare i calcoli scientifici tipici di materie come l’ingegneria, la finanza, la geometria, la statistica, e doveva farlo a un costo contenuto per le aziende che la acquistavano. Si parla, del resto, di un calcolatore nel senso originario del termine, ovvero una macchina che, nell’accezione originaria del termine “computer”, si limitava a fare calcoli.
Un altro elemento chiave nella nascita della P101 fu il contesto storico. Negli anni Sessanta, l’Italia stava vivendo un periodo di crescita economica e culturale, il periodo del miracolo economico italiano. In questo clima di ottimismo, l’Olivetti vide nella tecnologia un’opportunità per consolidare la sua posizione di leader nel settore dell’innovazione. La genesi della Programma 101 tuttavia parte da lontano: almeno dall’aprile del 1957, secondo il racconto dello stesso Perotto, e da Pisa, dove la Olivetti aveva installato un laboratorio di ricerche avanzate nel campo dell’elettronica: fu proprio a Pisa nell’aprile del 1957 che Perotto cominciò a lavorare per la Olivetti, col compito di progettare una macchina elettronica capace di convertire nastri perforati in schede da immettere in un calcolatore che le avrebbe elaborate. All’epoca, infatti, le schede erano l’unico materiale che le macchine erano in grado di leggere.
Dal punto di vista funzionale, la macchina era dotata di una tastiera attraverso cui l’utente immetteva le istruzioni, una unità di stampa che stampava i risultati sopra una striscia di carta (alla velocità di 30 caratteri al secondo), la memoria che conteneva dati e istruzioni, l’unità aritmetica e il lettore-registratore di schede magnetiche. La P101 aveva dieci registri di memoria: otto erano usati per i dati (avevano capacità di 22 cifre, più virgola e segno, che però potevano essere divisi in due per contenere 16 numeri di 11 cifre) e due per le istruzioni (potevano contenere un programma di 48 istruzioni, che però poteva arrivare anche a 120 istruzioni qualora le unità per le istruzioni avessero occupato unità normalmente riservate ai dati). Dati e istruzioni venivano registrati sulla scheda magnetica. Le istruzioni della macchina erano 16 in tutto: 5 erano di tipo aritmetico (addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione e radice quadrata), 3 per trasferire dati da un registro all’altro, 2 per la stampa, e istruzioni logiche che consentivano alla macchina di comportarsi in un certo modo in presenza di un dato evento (per esempio nel caso in cui un contenuto fosse sopra o sotto lo zero). La macchina poteva funzionare in due modalità, manuale e automatica. La modalità manuale era simile a quella di una normale calcolatrice, ma la macchina era in grado di registrare le operazioni dell’utente e in questo caso era possibile impostare dei programmi da eseguire in automatico: l’unica operazione richiesta all’utente era quella di inserire i dati su cui la P101 avrebbe dovuto eseguire i calcoli. Il numero di istruzioni del programma poteva essere illimitato poiché la macchina poteva usare più cartoline magnetiche in sequenza.
In sostanza, grazie a un’interfaccia intuitiva, la macchina permetteva agli utenti di creare programmi senza una conoscenza approfondita di informatica. Questo linguaggio rappresentava una semplificazione radicale rispetto ai complessi codici richiesti dai mainframe, avvicinando così l’informatica a una platea più ampia. L’unità di stampa incorporata consentiva di ottenere risultati su carta, un elemento fondamentale per gli uffici: la possibilità di avere una documentazione immediata dei calcoli rappresentava un valore aggiunto per professionisti e aziende.
La macchina poteva eseguire calcoli matematici complessi, gestire dati e risolvere problemi logici, rendendola adatta a una varietà di settori, dall’ingegneria alla contabilità. La sua capacità di adattarsi a esigenze diverse ne fece uno strumento prezioso anche in ambiti accademici e scientifici, ma anche in contesti disparati, cosa che sorprese lo stesso Perotto: per esempio, raccontò l’ingegnere sempre nel suo libro, la Programma 101 trovò impiego presso i sarti che la utilizzavano per calcolare il modo ottimale per tagliare la stoffa col minimo scarto. Un altro aspetto sorprendente della P101 era la sua capacità di integrarsi in ambienti già consolidati. Gli utenti potevano utilizzarla in combinazione con altri strumenti da ufficio, come calcolatrici e macchine da scrivere, creando così un ecosistema tecnologico che migliorava la produttività. Chi volesse provare a cimentarsi con la P101, può utilizzare un simulatore online progettato dall’Università di Pisa.
La Programma 101 ebbe un buon successo: commercializzata tra il 1965 e il 1971, ne furono vendute circa 44.000 unità, principalmente negli Stati Uniti, dove si concentrò il 90% delle vendite (malgrado le difficoltà di reperimento di tecnici Olivetti negli USA per eventuali manutenzioni) e dove la macchina trovò impiego in settori come l’aeronautica spaziale (fu acquistata dalla NASA )e la difesa. La P101 fu persino utilizzata per calcoli relativi alla missione Apollo 11, che portò l’uomo sulla Luna nel 1969.
Uno degli aspetti più affascinanti della P101 era il suo design, frutto della collaborazione tra ingegneri e designer industriali, un tratto distintivo di Olivetti. L’estetica sobria e moderna era opera di Mario Bellini, celebre designer italiano, allora in avvio di carriera. Bellini ideò una macchina dal peso di circa 30 chilogrammi, con aveva dimensioni paragonabili a quelle di una stampante moderna, rendendola molto più compatta rispetto ai computer mainframe dell’epoca che occupavano intere pareti.
Bellini era stato chiamato dopo che dall’incarico era stato rimosso un altro grande designer, Marco Zanuso (Milano, 1916 – 2001): il progetto di Zanuso era infatti ritenuto troppo ingombrante e complicato. Bellini, avrebbe poi raccontato Perotto, “capì senza difficoltà la filosofia della macchina e accettò di studiare una soluzione che non alterava la logica e l’impostazione ergonomica che avevamo così approfonditamente studiato. Il progetto venne realizzato in veste prototipale in breve tempo. Il successivo show-down con Roberto Olivetti non fu tra le esperienze più piacevoli, ma c’era di mezzo la validità stessa del prodotto e il successo di tutta l’operazione. Dichiarai senza mezzi termini che nessun’ altra soluzione era tecnicamente fattibile e che le difficoltà che ancora dovevamo affrontare per risolvere tutti i problemi di affidabilità e di producibilità erano tali che sarebbe stato folle creare non necessarie e assurde complicazioni. In questo modo la soluzione Bellini passò”.
Bellini ideò uno chassis in alluminio profilato, materiale scelto per evitare interferenze con le apparecchiature elettriche, dalle forme eleganti, leggermente curvilinee negli angoli com’era di moda al tempo, e con colori uniformi, e tasti grandi e ben visibili. La P101 oggi si trova esposta anche in alcuni musei di design. Il pannello di controllo comprendeva una tastiera che permetteva di programmare la macchina e visualizzare i risultati. Tutto era progettato per essere il più ergonomico e intuitivo possibile, in linea con la filosofia Olivetti di combinare tecnologia e bellezza. Il design della P101 non era però solo una questione estetica. Ogni elemento era studiato per migliorare l’esperienza dell’utente. Ad esempio, la disposizione dei tasti e dei comandi rifletteva un’attenta analisi delle esigenze degli utenti, rendendo la macchina facile da apprendere e utilizzare anche per chi non aveva familiarità con i calcolatori.
Un altro elemento distintivo era la portabilità. Sebbene la P101 non fosse propriamente “portatile” nel senso moderno del termine, la sua compattezza rappresentava una rivoluzione rispetto ai mainframe, che richiedevano stanze intere per essere ospitati. Questo la rendeva ideale per piccoli uffici e professionisti in movimento. La compattezza non era tuttavia una novità di per sé, dal momento che nei primi anni Sessanta erano già in commercio alcuni “minicomputer”: si trattava però ancora di prodotti dal costo proibitivo, e comunque sempre più ingombranti rispetto alla P101.
L’influenza della Programma 101 è innegabile. Steve Wozniak e Steve Jobs, fondatori di Apple, s’ispirarono alla semplicità e alla filosofia progettuale della P101 per il design dell’Apple I, il loro primo computer. Molti storici dell’informatica la considerano il precursore del personal computer, un riconoscimento che celebra l’ingegno italiano e l’audacia di Olivetti.
Oggi, alcuni esemplari di P101 sono esposti in musei di tutto il mondo. La macchina continua a essere un simbolo di innovazione e un promemoria del ruolo dell’Italia nella storia della tecnologia.
In ambito accademico, la P101 è spesso utilizzata come caso di studio per analizzare l’evoluzione della tecnologia informatica e l’importanza del design nella creazione di prodotti innovativi. La storia dell’Olivetti Programma 101 è dunque un esempio di come la visione e l’ingegno possano sfidare i limiti tecnologici e culturali del proprio tempo. In un’epoca in cui l’informatica era ancora un terreno inesplorato, l’Italia ha saputo ritagliarsi un ruolo da protagonista. La P101 non è solo una macchina; è un monumento al genio creativo e all’innovazione, un’eredità che continua a ispirare il mondo.
L’Olivetti Programma 101 rappresenta inoltre un invito a riflettere sul valore dell’innovazione e sulla necessità di investire in idee audaci. L’idea, in quel caso, era quella di creare una macchina che non fosse solo appannaggio di tecnici e scienziati, ma che potesse essere usata anche dai non specialisti. Un calcolatore avanzato che poteva contare sull’uso delle persone comuni. “Purtroppo in quegli anni”, avrebbe ricordato Perotto, “poche aziende e pochi progettisti si preoccupavano dei problemi degli utenti e della facilità e praticità d’uso delle macchine. D’altra parte le tecnologie degli anni Sessanta erano ancora molto limitate e la preoccupazione principale dei progettisti era tutta concentrata sui problemi di puro e semplice funzionamento. Era l’uomo che doveva adattarsi alla macchina e non viceversa. All’elettronica dei calcolatori si chiedevano prestazioni di tipo quantitativo, tanta potenza di elaborazione, tanta capacità di memoria, elevata velocità di stampa dei dati, e nulla poteva essere sprecato per migliorare il rapporto con l’uomo, che peraltro era sempre un tecnico specializzato. Anche le tecnologie dimostravano una tendenza evolutiva verso una crescita delle potenzialità, ma non fornivano molti appigli a chi avesse voluto rendere il calcolatore più amichevole e facile da usare”. La sua idea del computer personale avrebbe rivoluzionato la storia.
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