Il 18 gennaio del 1895, Giuseppe Pellizza da Volpedo scriveva ad Angelo Morbelli (Alessandria, 1853 – Milano, 1919) per congratularsi dei suoi avanzamenti con l’opera che l’artista stava realizzando in quel momento, il suo capolavoro Per ottanta centesimi!, oggi conservato al Museo Borgogna di Vercelli. “Contentissimo che il tuo dipinto 80 cent. proceda bene”, scriveva Pellizza all’amico: Morbelli lo aveva iniziato nel 1893, ma due anni dopo era ancora in fase di elaborazione, perché l’artista intendeva esporlo alla prima edizione della Biennale di Venezia, dove in effetti andò. Il dipinto venne poi esposto nel 1896 a Torino e nel 1897 a Dresda. È materia di discussione se il dipinto sia stato rielaborato in vista di un’esposizione alla Triennale di Brera nel 1897, dove Morbelli presentò un altro dipinto intiolato In risaia: forse, più semplicemente si trattava di un’opera diversa (effettivamente ne conosciamo un’altra con questo titolo).
L’opera, diventata quasi un simbolo della pittura italiana di fine Ottocento e in particolare di quel filone animato da intenti di denuncia sociale, ci porta in una risaia, scorciata in prospettiva dal basso, tant’è che all’orizzonte non vediamo il cielo, ma soltanto una riga di alberi: siamo nella pianura tra Casale Monferrato e Vercelli, dove non è raro imbattersi in macchie verdeggianti allineate al termine di una distesa di prati o di risaie. Le protagoniste del dipinto sono le mondine, le donne che lavoravano nelle coltivazioni di riso, con l’acqua fino alle ginocchia e la schiena curva, per eliminare le erbacce infestanti che crescevano nelle risaie e potevano compromettere la crescita delle piante di riso giovani. Da quest’attività deriva il nome: le mondine erano le lavoratrici che “mondavano”, ovvero pulivano, il campo su cui sarebbe cresciuto il riso. Era un lavoro durissimo: si svolgeva tipicamente negli ultimi due mesi della primavera, e costringeva le donne che lo svolgevano a stare ore piegate nell’acqua. Era dunque praticato da donne di bassa estrazione sociale che giungevano nelle risaie di Vercelli e delle vicine Novara e Pavia da gran parte dell’Italia del nord.
Si trattava, infatti, di un lavoro stagionale che attirava donne anche dal Veneto e dall’Emilia-Romagna. Anzi, le migrazioni interne erano ben accolte dai proprietari terrieri, dal momento che, si legge nella relazione di un convegno sulle condizioni di lavoro delle mondine tenutosi a Bologna nel 1905 (e di cui diede notizia il Bollettino del Lavoro e della Previdenza Sociale), le lavoratrici locali volevano prestare i loro servigi solo dietro “un equo salario ed un orario che non sia dannoso alla loro salute”: così, con l’intento “di lasciare disoccupate le mondine locali”, i proprietari delle risaie assumevano “personale forestiero”, disposto a condizioni di lavoro più snervanti. Alla fine del convegno, si stabilì che i sindacati avrebbero dovuto adoperarsi per fare in modo che i contratti non superassero le 11 ore di lavoro giornaliere e che rispettassero il “regolamento Cantelli”, per fare in modo che non ci fossero abusi da parte dei proprietari terrieri, che si rafforzasse il sentimento di solidarietà tra lavoratori, che la questione dei migranti stagionali venisse discussa a mezzo stampa e tramite “propaganda orale”, e che alla fine della stagione della monda si fosse tenuto un convegno per valutare i progressi. Il regolamento Cantelli, varato nel 1869, stabiliva che il lavoro doveva cominciare un’ora dopo l’alba e finire un’ora dopo il tramonto (per una giornata oraria di circa nove ore), e prescriveva le norme igieniche per evitare che le mondine si ammalassero. Spesso tuttavia il regolamento non veniva rispettato e le mondine erano costrette a lavorare anche per dodici ore al giorno, ben oltre il calar del sole. La paga delle mondine, a cui fa riferimento il titolo del dipinto di Morbelli, era infima: da una lettera del sotto-prefetto di Vercelli del 13 luglio del 1901 si apprende che da una giornata di lavoro le mondine guadagnavano tra le 1,2 e le 2,1 lire, corrispondenti a circa 5,37 e 9,4 euro attuali. Gli ottanta centesimi giornalieri cui fa riferimento Morbelli, nel 1895, equivalevano invece a una paga di 3,5 euro di oggi: all’epoca in cui l’artista piemontese dipingeva la sua opera, il prezzo del riso era crollato a causa di una forte crisi, e di conseguenza molti proprietari terrieri avevano scaricato i mancati guadagni sul costo del lavoro. Si può dunque ben immaginare le miserevoli condizioni in cui vivevano le donne che lavoravano nelle risaie: case fatiscenti, situazioni di diffusa promiscuità, igiene estremamente carente, bambini spesso al seguito delle mondine anche sul luogo di lavoro, e dunque costretti a giocare nelle risaie. Nel catalogo della mostra che Alessandria dedicò a Morbelli nel 1982, curata da Luciano Caramel, la studiosa Maria Luisa Caffarelli ricordava di come nel 1901 il delegato sindacale al Congresso delle leghe agricole di Novara, Romolo Funes, parlando dei lavoratori migranti che dalle altre regioni arrivavano in Piemonte, affermasse: “È bene che si sappia che noi abbiamo nell’Oltreticino una quantità di miserabili che per 60/70/80 centesimi al giorno vengono a rovinare tutto il nostro, compagni, tutto il nostro lavoro”. Si potrebbe dunque supporre che proprio queste lavoratrici siano le protagoniste del dipinto, sottopagate rispetto a salari già in media bassissimi.
Per ottanta centesimi! non è comunque l’unico dipinto in cui Morbelli affronta il tema delle mondine. Un altro dipinto, In risaia, del 1901, è stato a lungo esposto al Museum of Fine Arts di Boston, al quale era stato concesso dal suo proprietario, che poi decise di venderlo in asta nel 1995. E di recente è riemerso un dipinto del 1897, sempre di collezione privata, intitolato Risaiuole, passato in asta da Bonhams nel 2017 (dov’è stato venduto per 173.000 sterline) ed esposto per la prima volta dopo più di cent’anni nel 2018, al Museo Borgogna di Vercelli in una mostra curata da Aurora Scotti Tosini, grande esperta di Morbelli. Nelle Risaiuole, le mondine vengono presentate esattamente come in Per ottanta centesimi!, opera nella quale Morbelli decide di farci entrare nella realtà delle lavoratrici del riso in modo del tutto insolito: le vediamo infatti da dietro, tutte chine, col fazzoletto stretto sulla testa per ripararsi dal sole e per evitare le punture delle zanzare, in riga com’erano solite lavorare, che occupano il registro inferiore del dipinto, vicine al punto di vista del riguardante, in una zona della risaia dove le piante sono ancora poche e l’abilità dell’artista può concentrarsi sugli effetti di riflessione delle figure sull’acqua. La costruzione prospettica è suggerita dai canali che solcano la risaia, mentre in lontananza, sulla sinistra, osserviamo un’altra squadra di mondine intenta a compiere la stessa, usurante operazione delle loro colleghe in primo piano.
Il modo in cui Morbelli presenta il lavoro delle mondine apparentemente contrasta con il titolo che suggerisce una volontà di denuncia sociale, tant’è che questo contrasto ha generato discussioni tra gli studiosi a proposito delle intenzioni di Morbelli. Michael Zimmermann, per esempio, ha coniato il termine “prospettivismo” per indicare quello che, a suo parere, era il metodo dell’artista: “tutto, nella sua visione”, ha scritto lo studioso tedesco, “dipende dal suo punto di vista: quello di una pittura indirizzata all’occhio umano studiato accuratamente in temini fisiologici; quello di una percezione condizionata da modelli cerebrali così come culturali […]. In un quadro, come in un testo, c’è sempre un punto di vista del narratore. Morbelli, però, non impone questo punto di vista come già predefinito allo spettatore”. E il modo per evitare di imporre il suo punto di vista sarebbe proprio la “fredda costruzione pittorica” del dipinto, con cui l’artista invita il pubblico a farsi una propria idea su quello che sta accadendo, una propria “prospettiva”, insomma. D’altro canto andrà tuttavia ricordato, oltre alle dichiarate simpatie socialiste di Morbelli (che esplicitò la propria posizione in un’inchiesta condotta nel 1893 dall’amico Gustavo Macchi), che alcuni studiosi, come Aurora Scotti Tosini, hanno sottolineato il fatto che la posa delle mondine serva a sottolineare la fatica del loro lavoro, e allo stesso tempo la reiterazione del gruppo in alto a sinistra avrebbe lo scopo di amplificare questa sensazione. Non abbiamo comunque dubbi sul fatto che il pittore simpatizzasse per le lavoratrici, e il dibattito verte semmai sulle sfumature che assume l’opera dell’artista: si potrebbe definire Per ottanta centesimi! un lavoro di denuncia sociale che però è scevro di ogni intento propagandistico.
Quel che è certo, è che Morbelli vedeva il suo quadro anche come un’opera molto innovativa sotto il profilo artistico: l’artista era infatti saldamente convinto del proprio linguaggio divisionista, delle sperimentazioni che andava conducendo in quegli anni per restituire in modo convincente gli effetti luministici sulla tela, sulla base dell’idea che un’indagine sul colore condotta in maniera scientifica potesse avvicinare l’opera al vero. In occasione della mostra del centenario che la GAM di Milano dedicò a Morbelli nel 2019, venne pubblicata una lettera inedita al sunnominato Gustavo Macchi, non datata ma collocabile verso il 1910, in cui l’artista esprimeva le proprie sul divisionismo, dicendo: “per me ha una legge come la prospettiva, è una risorsa come la velatura, dà certo una visione trasparente dovuta al fenomeno delle diverse lunghezze d’ondulazione che arrivano all’occhio, e mi pare di poterlo affermare (con una quasi sicurezza), dà una maggiore sensazione di... piani”. E il divisionismo era per Morbelli “un progresso nella visione dell’arte rappresentativa”.
L’artista aveva già affrontato in precedenza il tema del lavoro femminile nei campi, come nelle Mietitrici collocabili attorno al 1885, ma la concezione che anima Per ottanta centesimi! è del tutto nuova. Punto di partenza delle sue riflessioni sono sempre i naturalisti francesi, su tutti Jean-François Millet che nel 1857 aveva dipinto le celeberrime Spigolatrici oggi conservate al Musée d’Orsay di Parigi. Morbelli, intanto, azzera il plasticismo monumentale delle Spigolatrici spogliando dunque la sua immagine da ogni aura “epica” che molti percepiscono nel dipinto del pittore francese. E poi decide anche di fare di più. Occorre intanto premettere che non era stato il primo pittore a interessarsi al lavoro delle risaie: nel 1864, Luigi Steffani dipingeva un’opera intitolata In risaia e che può essere considerata la più diretta antecedente del dipinto di Morbelli: tuttavia, l’attenzione di Steffani si concentrava soprattutto sul paesaggio, e prova ne è il fatto che due terzi della composizione sono occupati dal cielo, mentre le mondine appaiono molto più lontane rispetto a quelle di Morbelli. L’originalità del dipinto del pittore alessandrino sta dunque anche nel taglio fotografico scelto per “inquadrare” le mondine, un taglio che non ammette la presenza del cielo e rende dunque la composizione molto più opprimente, togliendo spazio a ogni eventuale cedimento al sentimentalismo: Morbelli, come ha scritto Aurora Scotti Tosini, “dava alla scena un carattere di più ossessiva fatica di quanto non fosse apparso nelle precedenti rappresentazioni di risaia”. Per arrivare a questa composizione, l’artista aveva inizialmente preso a studiare le mondine dal vero, poi date le condizionie delle risaie, difficili anche per un pittore, aveva deciso di avvalersi del mezzo fotografico (Morbelli fu uno dei primi pittori a utilizzare il supporto della fotografia per i propri dipinti). E proprio il ricorso alla fotografia era uno dei due problemi (l’altro era l’illuminazione dello studio) che l’amico Pellizza da Volpedo gli rimproverava, in una lettera senza data ma scritta mentre Morbelli lavorava a Per ottanta centesimi!: “la seconda causa che è la più importante e che per dirtela m’occorre tutto il coraggio che mi viene dalla amicizia che ci unisce e dalla mia coscienza di artista è questa”, premetteva Pellizza: “il lavorare di reminescenza che hai adottato negli ultimi tuoi quadri, segnatamente la risaia e la montagna che è a Firenze. Hai fatto la risaia andando qualche volta a vederla presso Casale e ritornando poi a casa a lavorare il quadro a memoria, hai condotto le figure servendoti delle fotografie”. Pellizza stesso aveva largamente fatto uso di fotografie, ma aveva poi cambiato idea ritenendo che il risultato fosse poi troppo distaccato, e dunque vedeva l’uso della fotografia come un difetto.
Eppure, Per ottanta centesimi! è uno dei lavori più complessi di Morbelli: l’artista adoperò una pennellata divisa particolarmente elaborata (le analisi eseguite sull’opera per la mostra del 2018 al Museo Borgogna hanno rivelato che Morbelli utilizzò fino a sette colori puri per centimetro quadrato), distribuita in minuscoli filamenti su tutta la superficie del dipinto per donare all’insieme quegli effetti vibranti di luce che l’artista cercava con insistenza. Le sue innovazioni, tuttavia, nell’immediato non furono comprese, e le valutazioni sul dipinto, quando lo espose alla Biennale di Venezia, furono perlopiù negative. In una recensione di quella prima Biennale apparsa sulla testata Nuove Veglie Veneziane, scritta da Angelo Muraro che prendeva le difese di Morbelli, si poteva leggere: “Non bisogna dimenticare che lo scherno dei filistei si volge al Morbelli anche per una ragione affatto diversa : perché egli appartiene a quella scuola della tecnica nuova, del così detto pointillé, la quale dipinge secondo la teoria ottica della composizione e ricomposizione prismatica dei colori. Come ne ride la buona gente! E infatti questa tecnica appare strana e talvolta persino ripugnante all’occhio: ma, voglia e non voglia, ottiene effetti singolari”. Per comprendere quale fosse il tono delle critiche si può prendere a esempio quanto affermato dal letterato Antonio Carlo Dall’Acqua in una lettura su quella Biennale di Venezia, data all’Accademia Virgiliana di Mantova. Dall’Acqua aveva ben colto gli intenti di denuncia sociale di Morbelli, ma come la maggior parte dei critici aveva stroncato l’esecuzione tecnica: “Il Morbelli nella sua tela Ottanta Centesimi con vivace colorito dipinge una schiera di donne, che per sì meschina retribuzione mettono a repentaglio la salute nelle risaie, col sole concente sul capo, l’acqua stagnante ai piedi. Ma non vi ha messo l’afa gravante su tutte le cose; quell’afa che vela tutti i colori, che fa chinare appassiti tutti i fili d’erba, così opprimente da destare la compassione per le povere mondine che ivi lavorano. Si spinge invece fino alla caricatura nell’allineare sul primo piano chine tutte quante in maniera tale da presentare allo spettatore non altro che certe curve posteriori poco estetiche, le quali per di più nell’indiscreto loro sviluppo si raddoppiano, riflettendosi sull’acqua”. Del resto, se ancora nel 1910 Morbelli, scrivendo a Macchi, ribadiva che la pennellata divisa sarebbe stata una conquista del futuro, era evidente che il consenso critico era ancora di là da venire per il pittore piemontese, oggi comunque riconosciuto come uno dei più originale artisti del suo tempo.
Quanto invece alle mondine, le loro condizioni di lavoro sarebbero migliorate di lì a poco. Già nel 1896 si registravano le prime agitazioni nel territorio di Vercelli, nelle risaie di Bianzè, e di lì a breve i braccianti e le mondine di altri comuni della zona avrebbero seguito il loro esempio. Nel giugno del 1900 circa 300 mondine scioperarono per chiedere l’aumento del salario (ci furono due arresti alla fine della giornata), mentre uno sciopero ancor più grande, che coinvolse pressoché tutte le località del vercellese in cui si coltivava il riso, fu indetto per il marzo del 1902. Ne seguì una campagna stampa che denunciava le gravi condizioni dei lavoratori, e nel 1903 fu emanata una circolare del Ministero dell’Interno e del Ministero dell’Agricoltura che raccomandava ai prefetti di vigilare affinché i lavoratori delle risaie godessero di sufficiente igiene, prestassero la loro opera nel rispetto dei regolamenti che imponevano l’inizio delle attività un’ora dopo l’alba fino e la fine un’ora prima del calar del sole, e non andassero nell’acqua senza adeguate calzature. Le seguenti lotte, che fecero uso esteso e massiccio dello strumento dello sciopero, rivendicarono l’orario lavorativo di otto ore, che fu conquistato dalle mondine e dai braccianti delle risaie nell’estate del 1906, anno iniziato con scioperi diffusi e culminato tra il 31 maggio e il 2 giugno a Vercelli con i tumulti “delle barricate” (tre giorni di agitazioni che portarono a 26 arresti). Fu in questi anni che nacque il famoso canto popolare Se otto ore vi sembran poche: divenuto popolare negli anni Dieci, quando in tutta Italia dilagarono le agitazioni per la giornata lavorativa di otto ore, era in realtà sorto come canto di protesta delle mondine. Ad ogni modo, gli effetti delle proteste dei lavoratori del riso condussero, a partire dal mese di agosto del 1906, alla firma di accordi in diversi Comuni del vercellese, nei quali si stabiliva la giornata lavorativa di otto ore con paghe medie che superavano ovunque le due lire. In Italia, la conquista delle otto ore sarebbe stata sancita per legge durante il Biennio rosso, nel 1919, mentre nelle risaie di Vercelli era giunta già tredici anni prima. Dobbiamo dunque alle lavoratrici dipinte da Morbelli nel suo capolavoro una delle più importanti conquiste sociali dell’Italia moderna. E l’arte, con Morbelli, aveva dato un suo contributo alla causa.
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERGli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta
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