Nella sua Firenze, Dante Alighieri abitava poco lontano dalla chiesa di Badia, dove uno dei grandi protagonisti della scena pittorica a lui contemporanea, Giotto (Firenze?, 1267 circa – Firenze, 1337), aveva lavorato, e probabilmente proprio qui, prima di trasferirsi a Roma nell’ottobre del 1301, riuscì ad ammirare il grande e innovativo polittico sull’altare maggiore, oggi noto come Polittico di Badia. I due grandi pittori della Firenze di fine Duecento, quando ancora Dante poteva assistere e partecipare al periodo di pieno fermento artistico-culturale che la città toscana stava vivendo, prima dell’inizio del suo esilio che lo avrebbe allontanato per sempre dalla sua terra d’origine, erano Cimabue (Firenze, 1240 circa – Pisa, 1302) e Giotto, che lo stesso poeta cita nel Purgatorio della sua Commedia come contendenti ne “lo campo della pittura”. Nell’XI Canto del Purgatorio si legge infatti: “Credette Cimabue ne la pittura / tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, / sì che la fama di colui è scura. / Così ha tolto l’uno a l’altro Guido / la gloria de la lingua; e forse è nato / chi l’uno e l’altro caccerà del nido”: Dante fa qui probabilmente riferimento a se stesso. Come scrisse Antonio Paolucci, Giotto era maestro di un’arte più universale, che era in grado di riunire tutta la penisola italiana, così come Dante era alla ricerca in quegli anni di una lingua universale, il volgare illustre, capace di accomunare l’intera Italia: un’arte caratterizzata dalla “scoperta del vero” e dalla “certezza dello spazio misurabile”. L’artista e cronista trecentesco Cennino Cennini lo definì come colui che “tradusse l’arte dal greco in latino e la ridusse al moderno”.
Massimo Medica scrive nel catalogo della mostra da lui curata, Dante. Gli occhi e la mente. Le arti al tempo dell’esilio, in corso fino al 4 luglio 2021 nella chiesa di San Romualdo a Ravenna, che il Polittico di Badia è un’opera di fondamentale importanza per la genesi del polittico gotico, oltre che caratterizzata da una straordinaria raffinatezza pittorica e decorativa di livello altissimo, che tutt’oggi è possibile godere grazie al recente restauro del dipinto. Sono esempi di questa raffinatezza i nimbi, incisi a mano libera. Si tratta di un capolavoro estremamente innovativo per la sua epoca, soprattutto per quanto riguarda l’illusione che la stessa struttura del polittico crea nell’osservatore: risulta infatti suddivisa da cinque archi polilobati dai quali si affacciano, come in una sorta di loggiato, le cinque mezze figure rappresentate nella loro “plastica monumentalità”. Queste ultime, caratterizzate da un’“assorta e concentrata severità”, si mostrano in tutta la loro “pienezza corporea”. Giotto infatti si allontana dalla tradizione precedente di stampo bizantino che rappresentava le figure umane in un modo più ieratico, ma soprattutto piatte e inespressive: l’innovatività del pittore fiorentino sta proprio nella sua volontà e capacità di realizzare all’interno delle sue opere figure più umanizzate, più espressive e non piatte, bensì con un volume tridimensionale.
Giotto di Bondone, Polittico di Badia (1295-1297; tempera e oro su tavola, 137,5 x 345 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture) |
Giotto di Bondone, Polittico di Badia, dettaglio della Madonna col Bambino |
Nel Polittico di Badia si riconoscono, partendo da sinistra, san Nicola di Bari, san Giovanni Evangelista, la Madonna con il Bambino, san Pietro e san Benedetto, tutti con una loro connotazione e una propria espressività. Tuttavia la figura su cui cade maggiormente lo sguardo è inevitabilmente il Bambino: il suo movimento risulta ben percettibile; in braccio alla madre, sembra voler attirare la sua attenzione, tirandole la veste in corrispondenza della scollatura e con l’altra mano stringe le punte delle dita della mano di Maria. Anche il piccolo corpicino è proteso verso quello della madre e con i piedini che spuntano da sotto la lunga veste di colore rosa sembra scalciare e agitarsi per richiamare proprio la sua attenzione; come il corpo, anche il viso esprime la volontà di ricevere dalla Vergine un momento tutto per lui. È l’unica figura che non guarda verso l’osservatore ed è quella che concretizza maggiormente la novità portata da Giotto, ovvero l’introduzione del sentimento in un’opera di fine Duecento. In realtà anche la Madonna non appare austera: anche se ha lo sguardo rivolto verso l’osservatore, si comprende chiaramente la dolcezza e l’amore con cui tiene il suo Bambino, attraverso gli occhi che esprimono un’umana tenerezza, ma soprattutto attraverso quella mano data al figlio, fulcro non solo dello scomparto a loro dedicato, ma dell’intero polittico. Il Bambino sgambettante e alla ricerca di attenzione da parte della madre richiama inoltre un altro dipinto (anch’esso in mostra) realizzato da Cimabue ma in cui critici, a partire da Bellosi, riconoscono anche la mano di un giovanissimo Giotto: secondo l’ipotesi il Bambino della Madonna col Bambino di Castelfiorentino sarebbe stato realizzato proprio da quest’ultimo, poiché solo lui fu in grado all’epoca di rendere così “vivo” il pargoletto e capace di esprimere una tale affettuosità e tenerezza come quella che caratterizza il celebre capolavoro.
Come già affermato, il Polittico di Badia presenta una grande raffinatezza, nei nimbi incisi a mano dall’artista, ma anche nei tessuti dei santi, in particolare nella ricca veste vescovile e nel pastorale dorato di san Nicola. Gli stessi tessuti rendono bene l’idea delle volumetrie, grazie alle pieghe che si creano dai movimenti delle figure, ben visibile nella leggera torsione di san Benedetto. Nelle cuspidi, all’interno dei tondi posti alla sommità di ciascun scomparto e quindi in posizione superiore rispetto alle figure dei santi, Giotto ha poi realizzato busti di angeli e, al centro, in corrispondenza dello scomparto della Madonna col Bambino, è rappresentato un Cristo benedicente.
La struttura del Polittico di Badia sarà fondamentale per la nascita del polittico gotico, a fondo oro, suddiviso in scomparti a sè, delimitati da un elemento strutturale, e terminanti alla sommità con cuspidi più o meno elaborate.
Cimabue e Giotto di Bondone?, Madonna col Bambino (1285 circa; tempera su tavola, 68 x 47 cm; Castelfiorentino, Museo di Arte Sacra di Santa Verdiana) |
Secondo quanto scritto da Medica, il Polittico si lega stilisticamente alle ultime Storie francescane attribuite a Giotto nella Basilica Superiore di Assisi, ma soprattutto alla decorazione della cappella di San Nicola nella Basilica Inferiore, la cui datazione fa ancora discutere, anche se si è proposto di farla risalire al 1297 circa o poco dopo. Questo costituisce un punto di riferimento per la datazione del Polittico di Badia, poiché si colloca in maniera verosimile a ridosso della produzione riminese dell’artista, che risale a poco prima del 1300, come testimoniato dal Crocifisso del Tempio Malatestiano, molto vicino dal punto di vista stilistico al capolavoro fiorentino. Sia gli affreschi di Assisi attribuiti alla mano di Giotto che rappresentano le Storie di San Francesco sia la cappella di San Nicola con affreschi che illustrano la vita, i miracoli e le storie del santo vescovo, fortemente venerato, attribuiti a maestri giotteschi come il Maestro di San Nicola (critici riconoscono la mano di Giotto nel trittico sopra la tomba di Giangaetano Orsini, fratello di Napoleone Orsini a cui si deve la realizzazione della cappella, nelle coppie di santi nel sottarco di accesso e nella figura del Redentore sopra l’ingresso), le figure risultano rivoluzionarie e innovative per quel tempo, in quanto, a differenza della tradizione precedente e di Cimabue stesso, si presentano tridimensionali, con l’utilizzo di un chiaroscuro che dà volume ai soggetti rappresentati; anche gli spazi in cui si muovono i protagonisti sono raffigurati in scorcio, rendendo possibile ad esempio che gli individui risultino di spalle o di profilo rispetto all’osservatore, cosa mai vista prima di allora. Sulla stessa linea del Polittico di Badia si colloca anche il successivo Crocifisso del Tempio Malatestiano di Rimini: mostra infatti una volumetria del corpo, una ricerca dei dettagli e soprattutto una maggiore naturalità rispetto ai crocifissi duecenteschi, molto più rigidi e irrealistici, che fanno ben notare la prossimità al polittico fiorentino.
Che Giotto lavorò nella chiesa di Badia è documentato nei Commentari di Lorenzo Ghiberti, nei quali si legge: “Dipinse nella Badia di Firenze sopra all’entrare della porta in un arco una mezza nostra Donna con due figure dallato molto egregiamente. Dipinse la Cappella maggiore e la tavola”. Si fa quindi qui riferimento alla tavola dell’altare maggiore della chiesa fiorentina. Il polittico rimase in questo luogo fino al 1568; venne poi sostituito da una grande pala di Giorgio Vasari e trasferito all’interno del convento per molti anni. Nel 1810 è testimoniato a San Marco e successivamente nel Museo dell’Opera di Santa Croce; salvato dall’alluvione del 1966, giunse agli Uffizi, dove tuttora è conservato.
Un grande capolavoro di rara bellezza che testimonia in tutti i suoi elementi l’innovazione portata da Giotto nell’arte della seconda metà del Duecento: espressività, sentimento, volumetrie che fino ad allora erano impensabili per la produzione dell’epoca, ma che grazie al celebre pittore fiorentino diedero una vera svolta in campo artistico. Proprio come fece Dante in ambito letterario con il suo volgare illustre.
La tua lettura settimanale su tutto il mondo dell'arte
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.