Il monumento di Ilaria del Carretto, il “bel sepolcro” del Duomo di Lucca


Capolavoro della scultura protorinascimentale, il monumento funebre di Ilaria del Carretto affascina per la sua bellezza, per la storia della giovane e sfortunata moglie di Paolo Guinigi, per la sua singolarità.

Si entra nella sacrestia della Cattedrale di San Martino a Lucca in rispettoso silenzio, per omaggiare quella giovane donna che giace distesa sul suo sarcofago da più di seicento anni. La Cattedrale custodisce al suo interno capolavori di importanti di artisti, si pensi all’Ultima cena del Tintoretto, alla Madonna con il Bambino tra i santi Stefano e Giovanni Battista di Fra’ Bartolomeo o ancora al celebre Volto Santo, veneratissimo, ma il Monumento funebre di Ilaria del Carretto di Jacopo della Quercia (Siena, 1374 circa – 1438) è una di quelle opere che crea tra l’effigiata e l’osservatore un senso di sospensione temporale: pare che quel bianco marmo levigato sia veramente la pelle bianchissima della giovane sfortunata, scomparsa prematuramente all’età di soli ventisei anni, e che quel lungo abito che indossa sia di vero tessuto. Pare perciò che quella bella creatura sia rimasta davvero così, come “congelata” in un tempo indefinito e infinito, da non perdere mai la sua bellezza. È un’opera che non smette mai di incantare, anche se la si ammira più e più volte, anche a distanza di tempo.

È il suo straordinario realismo probabilmente il suo segreto: il volto ben caratterizzato, con i lineamenti distesi, tanto da farla sembrare in un sonno perenne; i capelli raccolti sotto una fascia imbottita decorata con foglie e fiori in un’acconciatura tipica da nobildonna, che però lascia piccoli riccioli liberi sulla fronte; il collo completamente coperto dall’alto colletto dell’abito, che la tiene rigida in quella posizione. L’abito, una pellanda tipica del costume franco-fiammingo, le aderisce al corpo, modellandolo, e crea pieghe molto verosimili. Lungo fino in fondo ai piedi e oltre, è stretto sotto il seno da una fascia, segnando leggermente le forme e creando piccole increspature nel tessuto, e da due spacchi laterali escono ampie maniche a sbuffo terminanti in stretti polsini. Le braccia sono lunghe distese sul corpo, con le mani incrociate sul ventre.

Jacopo della Quercia, Monumento funebre di Ilaria del Carretto (1406-1410; marmo, 88 x 244 x 66,5 cm; Lucca, Cattedrale di San Martino)
Jacopo della Quercia, Monumento funebre di Ilaria del Carretto (1406-1410; marmo, 88 x 244 x 66,5 cm; Lucca, Cattedrale di San Martino). Foto: Francesco Bini
Dettaglio del volto di Ilaria del Carretto. Foto: Complesso Museale e Archeologico della Cattedrale di Lucca
Dettaglio del volto di Ilaria del Carretto. Foto: Complesso Museale e Archeologico della Cattedrale di Lucca
Dettaglio del volto di Ilaria del Carretto. Foto: Complesso Museale e Archeologico della Cattedrale di Lucca
Dettaglio del volto di Ilaria del Carretto. Foto: Complesso Museale e Archeologico della Cattedrale di Lucca
Dettaglio del volto di Ilaria del Carretto. Foto: Comune di Lucca
Dettaglio del volto di Ilaria del Carretto. Foto: Comune di Lucca

Rappresentare in questo modo una defunta nel suo monumento funerario fu, per l’Italia dei primi anni del Quattrocento, una novità, poiché fino a quel momento i monumenti funerari, si pensi a quelli di Arnolfo di Cambio (Colle di Val d’Elsa, 1240 circa - Firenze tra il 1302 e il 1310) o di Tino di Camaino (Siena 1280 circa - Napoli 1337), quest’ultimo già con slanci innovativi, vedevano il corpo del defunto a cui era dedicato il monumento disteso su una sorta di baldacchino all’interno di una struttura più complessa, arricchita dalla presenza di altri personaggi, e appoggiata a una parete di fondo di una chiesa. Ne sono esempi il Monumento funebre al cardinale de Braye di Arnolfo di Cambio o il Monumento del cardinale Riccardo Petroni di Tino di Camaino. Nel Monumento funebre di Ilaria del Carretto invece Jacopo della Quercia realizzò tra il 1406 e il 1410 un’opera unica, senza precedenti, tridimensionale, attorno alla quale l’osservatore può girare in modo da vederla a tutto tondo, su tutti e quattro i lati. Lo scultore, rinnovando il linguaggio della scultura gotica senese intrecciandolo alla scultura borgognona e a elementi classici, colloca il corpo della giovane donna su un alto basamento costituito da quattro lastre decorate e le fa tenere la testa leggermente rialzata grazie a due cuscini, uno più grande e uno più piccolo, ovviamente anch’essi di marmo. Inoltre pone ai piedi di Ilaria un cagnolino, simbolo di fedeltà coniugale, che sta accucciato sulla superficie ma con il muso sollevato come se stesse aspettando un qualsiasi cenno dalla sua padrona.

L’impostazione generale del monumento funerario è legata alla tipologia di matrice francese per la figura giacente, le mani incrociate, il cagnolino ai piedi del corpo della defunta e la veste tipica di una classe sociale elevata della cultura franco-fiamminga; e il panneggio rimanda alla scultura tardogotica borgognona. Lo scultore dimostra dunque uno stretto legame con il gusto del gotico internazionale, ma a ciò si aggiunge una sensibilità più umanistica ben visibile nella resa del volto e un omaggio alla tradizione classica per quanto riguarda i festoni sorretti dai putti sui lati lunghi del basamento. Queste due lastre, una eseguita dallo stesso Jacopo e l’altra da un suo stretto collaboratore, sono infatti ornate da putti reggifestoni che richiamano i sarcofagi antichi, in particolare quelli di età adrianea, ma a differenza di questi ultimi, l’artista ne raffigura qui in minor numero (tre per lato) per rendere meno affollata la composizione. Su ogni angolo aggiunge poi un altro putto, per un totale di dieci putti. Sui lati corti del basamento sono raffigurati invece una croce arborata, da una parte, e uno scudo con gli stemmi uniti delle famiglie dei Guinigi e dei Del Carretto.

Il capolavoro scultoreo venne infatti commissionato a Jacopo della Quercia da Paolo Guinigi, signore di Lucca dal 1400 al 1430 e mecenate, in omaggio alla sua seconda moglie, Ilaria del Carretto, morta durante il suo secondo parto in giovanissima età, a soli ventisei anni. Figlia del marchese di Zuccarello in Liguria, Ilaria sposò Paolo nel febbraio del 1403 e l’8 dicembre del 1405 avvenne la disgrazia. Il monumento venne realizzato tra il 1406 e il 1410, ma il sarcofago probabilmente era già stato quasi ultimato nell’aprile 1407, quando il signore di Lucca si risposò.

Arnolfo di Cambio, Monumento funebre al cardinale de Braye (1282; marmo; Orvieto, San Domenico)
Arnolfo di Cambio, Monumento funebre al cardinale de Braye (1282; marmo; Orvieto, San Domenico)
Tino di Camaino, Monumento del cardinale Riccardo Petroni (1318; marmo; Siena, Cattedrale)
Tino di Camaino, Monumento del cardinale Riccardo Petroni (1318; marmo; Siena, Cattedrale)
André Beauneveau, Gisant di Carlo V il saggio e Giovanna di Borbone (post 1364; marmo; Saint-Denis, Cattedrale di Saint-Denis). Foto: Ministero della Cultura della Francia
André Beauneveau, Gisant di Carlo V il saggio e Giovanna di Borbone (post 1364; marmo; Saint-Denis, Cattedrale di Saint-Denis). Foto: Ministero della Cultura della Francia
Jean de Marville e Claus Sluter, Tomba di Filippo II di Borgogna (fine del XIV-inizi del XV secolo; marmo e alabastro; Digione, Musée des Beaux-Arts). Foto: François Jay/Musée des Beaux-Arts di Digione
Jean de Marville e Claus Sluter, Tomba di Filippo II di Borgogna (fine del XIV-inizi del XV secolo; marmo e alabastro; Digione, Musée des Beaux-Arts). Foto: François Jay/Musée des Beaux-Arts di Digione
Arte romana, Fronte di sarcofago a festoni con nereidi che portano le armi di Achille (130-150 d.C.; marmo, 55 x 82 cm; Roma, Galleria Borghese)
Arte romana, Fronte di sarcofago a festoni con nereidi che portano le armi di Achille (130-150 d.C.; marmo, 55 x 82 cm; Roma, Galleria Borghese)

Paolo Guinigi convolò a nozze ben quattro volte, o meglio tre, perché la prima, la giovanissima Maria Caterina Castracani degli Antelminelli di soli undici anni, fu solo “promessa sposa” in quanto morì di peste pochi mesi prima del matrimonio. Sposò invece, come si è già raccontato, la marchesina Ilaria del Carretto nel 1403 con una “smizurata festa in Santo Romano”, come ricorda Giovanni Sercambi nelle Croniche, che le diede subito un erede, Ladislao, nato l’anno successivo; l’8 dicembre 1405 nacque invece la secondogenita, a cui venne dato lo stesso nome della madre, ma in seguito a complicazioni del parto la giovane donna morì poco dopo. La terza donna di Paolo Guinigi fu Piacentina di Rodolfo di Varano, figlia del signore di Camerino: dopo aver dato alla luce cinque figli in nove anni, anche lei morì nel 1416. L’ultimo matrimonio venne festeggiato nel 1420 con Jacopa Trinci, figlia del Signore di Foligno, ma anche lei morì poco dopo il parto insieme alla figlia.

I matrimoni del Guinigi furono sempre condizionati da scelte politiche; anche l’unione con Ilaria del Carretto, che avrebbe creato una maggiore intesa con i Visconti di Milano, visto l’appoggio dei Del Carretto nei confronti di questi ultimi. Tuttavia, indubbiamente, Ilaria fu la donna a cui Paolo si sentì maggiormente legato, data la scelta di dedicarle il meraviglioso monumento funebre, con il cagnolino simbolo di fedeltà e gli stemmi delle due famiglie uniti. Il monumento in realtà non custodì mai il corpo della donna; nel corso di recenti studi condotti dalla Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa sulle sepolture ritrovate nella Cappella di Santa Lucia, annessa al complesso di San Francesco, utilizzata come cappella privata e funeraria dalla famiglia Guinigi, sono stati ritrovati resti di una donna adulta di corporatura piuttosto gracile di età antropologica compresa tra i venti e i ventisette anni che potrebbero essere attribuiti proprio a Ilaria, ma non se ne ha la certezza.

Il monumento visto di lato
Il monumento visto di lato
Dettaglio del monumento. Foto: Comune di Lucca
Dettaglio del monumento. Foto: Comune di Lucca
Dettaglio del monumento. Foto: Comune di Lucca
Dettaglio del monumento. Foto: Comune di Lucca
Il cane. Foto: Gianni Careddu
Il cane. Foto: Gianni Careddu
Uno dei putti reggifestoni. Foto: Francesco Bini
Uno dei putti reggifestoni. Foto: Francesco Bini
Lo stemma Guinigi-Del Carretto. Foto: Francesco Bini
Lo stemma Guinigi-Del Carretto. Foto: Francesco Bini

Il sarcofago venne montato nel transetto destro del Duomo, davanti all’altare, ora non più esistente, dei santi Giovanni e Biagio, patronato dai Guinigi. Dopo vari spostamenti all’interno della Cattedrale di Lucca, dal dicembre 1995 è stato collocato nella Sacrestia, dove si trova tuttora, in seguito a problemi di stabilità rilevati nelle pareti del transetto sinistro dove si trovava dal 1842, e ai conseguenti lavori di consolidamento durati alcuni anni.

“Tu vedi lunge gli uliveti grigi / che vaporano il viso ai poggi, o Serchio, / e la città dall’arborato cerchio, / ove dorme la donna del Guinigi. / Ora dorme la bianca fiordaligi / chiusa ne’ panni, stesa in sul coperchio / del bel sepolcro; e tu l’avesti a specchio / forse, ebbe la tua riva i suoi vestigi. // Ma oggi non Ilaria del Carretto / signoreggia la terra che tu bagni, / o Serchio”. Così poetava Gabriele D’Annunzio in Elettra, e Salvatore Quasimodo titolava Davanti al simulacro d’Ilaria del Carretto una poesia contenuta in Ed è subito sera, e ancora, Pasolini nel poemetto L’Appennino, ne Le Ceneri di Gramsci, scriveva "Jacopo con Ilaria scolpì l’Italia / perduta nella morte, quando / la sua età fu più pura e necessaria”. Omaggiata nella letteratura e amata e ammirata nell’arte, Ilaria del Carretto con il suo celebre monumento funebre lucchese vivrà ancora nell’eternità.


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Ilaria Baratta

L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta

Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.






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