La più antica Divina Commedia “napoletana”: il Codice CF 2.16 della Biblioteca del Girolamini


La Biblioteca dei Girolamini di Napoli conserva quello che è ritenuto il più antico testimone napoletano della Divina Commedia di Dante Alighieri: il Codice CF 2.16, un manoscritto illustrato del Trecento noto anche come il “Dante Filippino”.

È conservato alla Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini di Napoli quello che si ritiene sia il più antico esempio della Commedia di Dante Alighieri circolante nella città partenopea che sia giunto sino a noi. Si tratta di un’opera eseguita presumibilmente negli anni Cinquanta del Trecento proprio a Napoli, anche se alla realizzazione dell’opera concorsero alcune personalità fiorentine che collaborarono con i miniatori di una bottega napoletana, i quali arricchirono il testo con ben centoquarantasei miniature che illustrano i momenti salienti del viaggio di Dante tra Inferno, Purgatorio e Paradiso. La Divina Commedia dei Girolamini figura anche tra i più antichi testimoni della fortuna del testo fuori da Firenze, ed è nota, oltre che con la sua segnatura CF 2.16, anche come il Dante Filippino, per il fatto che la biblioteca dei Girolamini appartiene a un complesso fondato dai membri della Congregazione dell’Oratorio, seguaci di san Filippo Neri (a cui è peraltro intitolato lo stesso complesso: il nome “Girolamini” deriva invece dal fatto che il primo Oratorio dei fedeli di Filippo era stato istituito presso la chiesa di San Girolamo della Carità a Roma).

Una fortuna che, peraltro, la Commedia aveva cominciato a riscuotere da non molto: in occasione della mostra Onorevole e antico cittadino di Firenze. Il Bargello per Dante, tenutasi al Museo del Bargello di Firenze nel 2021 per il settimo centenario della scomparsa di Dante, la studiosa Francesca Pasut ha suggerito che fu a partire dal 1337, anno in cui nella Cappella del Podestà l’immagine di Dante, dipinta da Giotto, faceva la sua comparsa tra i beati del Paradiso, che si diffuse l’idea di “fare della Commedia non solo un libro ricercato, letto o studiato da un pubblico eterogeneo, ma anche un volume illustrato, provvisto di immagini eloquenti, più o meno sapientemente correlate al testo, e ciò con il contributo dei molti artisti fiorentini specializzati nel campo della decorazione libraria”. Anche il codice di Napoli rappresentava dunque una impresa editoriale che si collocava in questo contesto di produzione di edizioni di lusso della Commedia, destinate a una clientela esigente, e che furono dapprima un’esclusiva di Firenze, centro prmario di realizzazione di opere di questo tipo, e poi si diffusero anche in altre città italiane.

Divina Commedia nota come Dante Filippino, Incipit (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 1r)
Divina Commedia nota come Dante Filippino, Incipit (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 1r)
Divina Commedia nota come Dante Filippino, La lonza (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 1v)
Divina Commedia nota come Dante Filippino, La lonza (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 1v)
Divina Commedia nota come Dante Filippino, Dante incontra Virgilio (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 2r)
Divina Commedia nota come Dante Filippino, Dante vede la lupa e poi incontra Virgilio (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 2r)
Divina Commedia nota come Dante Filippino, Porta dell'Inferno (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 6r)
Divina Commedia nota come Dante Filippino, Porta dell’Inferno (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 6r)

Gli esemplari più antichi di questa tradizione sono quelli che fanno parte del cosiddetto gruppo dei “Danti del Cento”, una locuzione che indica, spiega ancora Pasut, un “nucleo compatto di manoscritti, identificato in parte su base filologica, ma soprattutto per le caratteristiche grafiche e codicologiche, che sono replicate di esemplare in esemplare in forma codificata”. La più antica attestazione dell’espressione “Danti del Cento” si trova in un manoscritto del XV secolo dove si rivendica la proprietà di un codice: “Questo Dante de’ ciennto è di me Domenicho di Carlo Aldobrandi et chy l’achatta da lui sia contento di rimandarlo presto”. Il termine “cento” indica dunque con tutta probabilità l’antichità secolare del manoscritto. C’è poi un famoso aneddoto, raccontato nel Cinquecento da Vincenzo Borghini, secondo cui era stato un solo amanuense a copiare “cento Danti” nel XIV secolo: in realtà, quest’attività coinvolse un numero ben maggiore di copisti. Il Dante Filippino, per alcune sue caratteristiche, come la tipologia grafica, si può accostare al gruppo dei Danti del Cento, ma diversa è l’impaginazione (il codice napoletano si presenta infatti con testo su una colonna), e differente è anche la decorazione che va ben oltre le iniziali di cantica. Inoltre, occorre specificare che l’impresa del Dante Filippino non fu completata in modo unitario: si tratta infatti di un prodotto di lusso solo per Inferno e Purgatorio, mentre lo stesso non si può dire del Paradiso, che è quasi del tutto privo di illustrazioni.

Non sappiamo con certezza per chi fu realizzata questa edizione della Commedia: l’ipotesi più probabile è che il destinatario fosse un giurista che si chiamava Lorenzo Poderico, nato a Napoli tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, esponente di una delle più illustri famiglie della nobiltà napoletana, rettore dello Studio di Napoli (l’antica università) dal 1351 al 1358, anno della sua scomparsa, e celebre per essere uno degli uomini più dotti del suo tempo. Fu anche uomo politico di rilievo, dal momento che ricoprì il ruolo di consigliere della giovane regina Giovanna I d’Angiò. Sulla prima carta del manoscritto figura infatti lo stemma dei Poderico, anche se non si tratta di una prova decisiva: può anche voler significare che i Poderico, a un certo punto della storia, furono proprietari del manoscritto. È stata poi avanzata l’ipotesi secondo la quale le note marginali che si trovano nel testo siano riferibili alla mano di Lorenzo. Il fatto che siano presenti annotazioni e postille è indice del fatto che questa edizione della Commedia, nonostante sia stata concepita come un prodotto di lusso, aveva comunque svolto la funzione di strumento di studio.

Divina Commedia nota come Dante Filippino, Caronte (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 7v)
Divina Commedia nota come Dante Filippino, Caronte (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 7v)
Divina Commedia nota come Dante Filippino, Paolo e Francesca (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 13r)
Divina Commedia nota come Dante Filippino, Paolo e Francesca (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 13r)
Divina Commedia nota come Dante Filippino, Lucifero (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 83r)
Divina Commedia nota come Dante Filippino, Lucifero (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 83r)
Divina Commedia nota come Dante Filippino, E quindi uscimmo a riveder le stelle (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 84v)
Divina Commedia nota come Dante Filippino, E quindi uscimmo a riveder le stelle (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 84v)

Lo storico della letteratura Gianfranco Contini individuò tra le pagine del codice una decina di mani diverse, sette di copisti e tre o quattro di illustratori, anche se in origine lo scriba che si occupò della stesura del testo fu uno soltanto, al quale si attribuiscono le carte che vanno dalla 1 alla 239, scritte in minuscola cancelleresca (le altre mani sono quelle che hanno per lo più aggiunto le chiose ai margini). Le altre mani in parte estesero il progetto originario (furono infatti aggiunti degli epitaffi per Dante), e in parte si limitarono ad annotare. Possiamo immaginare che alcuni dei glossatori, dal modo in cui scrivevano, fossero fiorentini. Non conosciamo però il luogo di trascrizione, né la data di realizzazione (non ci sono date nel codice), né chi furono i glossatori che annotarono il codice ai margini. Sappiamo che fu sicuramente rimaneggiato, dal momento che la legatura è della fine del Seicento o dell’inizio del Settecento. Data tuttavia l’omogeneità tra testo e immagini, è possibile ipotizzare che copista e miniatori abbiano lavorato in stretto contatto. Ogni carta che compone il Dante Filippino presenta infatti almeno un’illustrazione, ma in alcuni casi se ne trovano anche due o tre per carta.

Nonostante la ricchezza dell’apparato iconografico, tuttavia, l’illustrazione del Dante Filippino non si distingue per originalità e qualità: sono poche le immagini veramente interessanti (tra queste, per esempio, la scena con Lucifero), mentre prevalgono le figurazioni ripetitive, ingenue, schematiche, paratattiche, dove peraltro il più delle volte le figure, esili e poco proporzionate, si muovono su fondi monocromatici (si veda per esempio la carta dove è raffigurato l’episodio di Paolo e Francesca, ma lo stesso potrebbe dirsi per pressoché tutto il manoscritto). L’interesse del Dante Filippino sta soprattutto nella volontà, da parte dei suoi autori, di illustrare con continuità i versi danteschi, e nel fatto che figura comunque tra i più antichi testimoni della Commedia, oltre che di una precisa tradizione editoriale.

Infine, non conosciamo nei dettagli tutti i passaggi di proprietà che interessarono il codice, né sappiamo quando e in che modo il Dante Filippino sia giunto alla Biblioteca dei Girolamini: compare infatti per la prima volta nel catalogo compilato da Giambattista Vico nel 1726, nel quale però non sono riportate notizie sulla provenienza dei volumi. È possibile che il manoscritto fosse parte della collezione di Giuseppe Valletta (Napoli, 1636 – 1714), filosofo e giureconsulto che fu figura di spicco nella Napoli di fine Seicento, “al cui rinnovamento culturale”, ha scritto la studiosa Loredana Lorizzo, “contribuì formando una ricca biblioteca di più di sedicimila volumi stampati e manoscritti, che offriva agli intellettuali del tempo un ampio panorama della letteratura europea contemporanea”. Dopo la sua scomparsa, parte della sua raccolta andò a formare, proprio dietro suggerimento di Giovanni Battista Vico, il nucleo fondante della Biblioteca dei Girolamini. Questo singolare manoscritto trecentesco potrebbe dunque unire idealmente tre figure importanti della cultura italiana.

Divina Commedia nota come Dante Filippino, Raffigurazione del Purgatorio (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 86v)
Divina Commedia nota come Dante Filippino, Raffigurazione del Purgatorio (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 86v)
Divina Commedia nota come Dante Filippino, Incipit del Purgatorio (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 87r)
Divina Commedia nota come Dante Filippino, Incipit del Purgatorio (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 87r)
Divina Commedia nota come Dante Filippino, Catone (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 87v)
Divina Commedia nota come Dante Filippino, Catone (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 87v)
Divina Commedia nota come Dante Filippino, Manfredi (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 93v)
Divina Commedia nota come Dante Filippino, Manfredi (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 93v)
Divina Commedia nota come Dante Filippino, Virgilio e Sordello da Goito si abbracciano (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 100r)
Divina Commedia nota come Dante Filippino, Virgilio e Sordello da Goito si abbracciano (1355-1360 circa; pergamena, 276 x 191 mm; Napoli, Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini, CF 2.16, c. 100r)

La Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini

La Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini (nota un tempo come Biblioteca Pubblica Statale Oratoriana del Monumento Nazionale dei Girolamini) si trova a Napoli nell’Oratorio dei Girolamini, ed è uno degli istituti più antichi d’Italia (oltre che la più antica di Napoli) dal momento che fu aperta al pubblico nel 1586, contrariamente agli usi degli ordini monastici, che non concedevano al pubblico la possibilità di entrare nelle loro biblioteche. Tra coloro che la frequentavano si annovera anche il grande filosofo Giambattista Vico il quale, nel 1727, suggerì agli Oratoriani di acquistare la raccolta libraria del giurista Giuseppe Valletta, che comprendeva una collezione di testi giuridici, filosofici, religiosi e letterali del Seicento e del Settecento napoletano. La Biblioteca si è mantenuta pressoché intatta lungo i secoli, oggi dipende dal Ministero della Cultura, e ha sede in quattro splendide sale settecentesche e due moderne dello straordinario complesso monumentale dei Girolamini.

Il patrimonio librario della Biblioteca dei Girolamini ammonta a circa 159.700 unità tra volumi ed opuscoli, tra i quali 137 stampati musicali, 5.000 edizioni del Cinquecento, 120 incunaboli, 10.000 edizioni rare e di pregio, 485 periodici, una quantità non ancora determinata di microfilm e ritratti. Tra i fondi più importanti figurano il Fondo Agostino Gervasi (5.057 volumi), i cui testi trattano di archeologia, numismatica, bibliografia e letteratura classica, il Fondo Filippino, prevalentemente di storia ecclesiastica, sacre scritture e teologia, il Fondo Giuseppe Valletta, contenente edizioni rare del XVI e XVII secolo costituiti da classici latini e greci, storia e filosofia, e il Fondo Valeri (940 volumi), con libri che riguardano la storia di Napoli e dell’Italia meridionale.

La Biblioteca dei Girolamini di Napoli
La Biblioteca dei Girolamini di Napoli

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