La Venere di Botticelli, un simbolo del Rinascimento


La Nascita di Venere di Sandro Botticelli è una delle opere più importanti e significative del Rinascimento. Un articolo per analizzare l’opera nei dettagli.

La Nascita di Venere di Sandro Botticelli è un capolavoro per il quale si sono ormai esauriti gli aggettivi. Celebrata da poeti e letterati, immagine stessa del Rinascimento, quello fiorentino in particolare e quello italiano in generale, trasformata in icona pop e anche in immagine pubblicitaria. Il significato della Venere di Botticelli travalica però quel che vediamo sulla tela, la meravigliosa dea della bellezza portata dalla conchiglia da cui è nata sulle rive di Cipro, l’isola a lei cara, sospinta dai venti, con tutta probabilità Zefiro e Aura, e accolta da una bellissima giovane, forse una delle Grazie oppure l’Ora che personifica la primavera, la stagione di Venere. L’opera di Botticelli è incarnazione più viva dell’idea di bellezza secondo gli artisti e i pensatori del Quattrocento fiorentino, è manifesto della cultura neoplatonica che la produsse, è anche opera dall’intonazione politica dal momento che fu commissionata, con tutta probabilità, da un membro della famiglia dei Medici, che governava di fatto Firenze all’epoca della realizzazione del dipinto.

È comunque curioso pensare che per una delle opere d’arte più celebri del mondo non ci siano notizie contemporanee. La prima attestazione nelle fonti è infatti da rinvenire nell’edizione torrentiniana delle Vite di Giorgio Vasari, pubblicata nel 1550, dove l’opera è citata assieme all’altro capolavoro botticelliano oggi conservato agli Uffizi, la Primavera: “Per la città in diverse case fece tondi di sua mano e femmine ignude assai, delle quali oggi ancora a Castello, luogo del Duca Cosimo fuor di Fiorenza, sono due quadri figurati, l’uno Venere che nasce, e quelle aure e venti che la fanno venire in terra con gli amori, e cosí un’altra Venere che le Grazie la fioriscono, dinotando la Primavera; le quali da lui con grazia si veggono espresse”. La Villa medicea di Castello, quella cui fa riferimento Vasari, all’epoca in cui era in attività Botticelli era di proprietà di un ramo cadetto del casato (quello detto “Popolano”, discendente da Lorenzo il Vecchio, fratello di Cosimo il Vecchio, il primo signore de facto di Firenze) e in particolare era residenza dei fratelli Giovanni e Lorenzo de’ Medici, figli di Pierfrancesco e nipoti di Lorenzo il Vecchio. È probabile che il committente fosse proprio Lorenzo di Pierfrancesco, nella cui casa di via Larga (oggi via Cavour), alla fine del Quattrocento si trovava la Primavera. La Nascita di Venere non è registrata negl’inventarî della Villa di Castello redatti nel 1498, nel 1503 e nel 1516, ragion per cui è sicuro che l’opera non fu realizzata per quella residenza: vi fu trasferita prima che Vasari la vide, ma non sappiamo quando di preciso, né per quali ragioni, e neppure di chi fu la decisione. Solo nel 1598 sarebbe stata catalogata per la prima volta negli inventarî della villa.

Non sappiamo neanche con certezza chi potrebbe aver suggerito il tema del dipinto a Botticelli, ma dati i rapporti che correvano alla corte dei Medici l’ipotesi più plausibile è che il programma iconografico sia da attribuirsi al poeta Agnolo Poliziano, autore, dopo il 1478, di un poemetto in ottave intitolato Stanze per la giostra del magnifico Giuliano di Pietro de’ Medici, e scritto per celebrare la vittoria in un torneo (svoltosi il 29 gennaio 1475 in piazza Santa Croce a Firenze) di Giuliano de’ Medici, fratello minore di Lorenzo il Magnifico, che invece aveva organizzato la giostra. Nel poemetto, Poliziano descriveva un amore tra Giuliano de’ Medici e la giovane nobildonna Simonetta Vespucci: in una delle scene, Cupido, dopo aver fatto innamorare i due, torna al palazzo della madre Venere a Cipro, dove il poeta descrive alcuni rilievi che raffigurano proprio la nascita della dea (“Nel tempestoso Egeo in grembo a Teti / Si vede il fusto genitale accolto / Sotto diverso volger di pianeti / Errar per l’onda in bianca schiuma avvolto; / E dentro nata in atti vaghi e lieti / Una donzella non con uman volto, / Da zefiri lascivi spinta a proda / Gir sopra un nicchio, e par ch’el ciel ne goda. // Vera la schiuma e vero il mar diresti, / E vero il nicchio e ver soffiar di venti: / La dea negli occhi folgorar vedresti, / E ‘l ciel ridergli attorno e gli elementi: / L’Ore premer l’arena in bianche vesti; / L’Aura incresparle e’ crin distesi e lenti: / Non una non diversa esser lor faccia, / Come par che a sorelle ben confaccia. // Giurar potresti che dall’onde uscisse / La dea premendo con la destra il crino, / Con l’altra il dolce pomo ricoprisse; / E stampata dal piè sacro e divino, / D’erbe e di fior la rena si vestisse; / poi con sembiante lieto e peregrino / dalle tre ninfe in grembo fosse accolta, / E di stellato vestimento involta”). Si è speculato sul fatto che la stessa Simonetta Vespucci sia stata la musa ispiratrice di Botticelli (mito ampiamente sfatato), mentre è decisamente più probabile che l’immagine tragga ispirazione, almeno in parte, dai versi di Poliziano.

Sandro Botticelli, Nascita di Venere (1485 circa; tempera su tela, 172,5 x 278,5 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, inv. 1890 n. 878)
Sandro Botticelli, Nascita di Venere (1485 circa; tempera su tela, 172,5 x 278,5 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, inv. 1890 n. 878)

L’opera, effettivamente, trova puntuale riscontro nelle ottave della Giostra. Venere, nuda, colta mentre si tiene i lunghi capelli biondi con una mano coprendo il pube, mentre con l’altra si tiene il seno, è al centro della composizione, sopra un “nicchio” (una conchiglia) che solca il mar Egeo tra le onde spumose, “spinta a proda” dagli “zefiri”, cioè dai venti, che vediamo sulla sinistra, colti a mezz’aria, leggiadri, con le ali spiegate, vestiti con leggeri panni di seta azzurra cangiante, nell’atto di soffiare dalle loro bocche per far arrivare la dea a terra, dove la attende una costa frastagliata, con gli elementi del paesaggio ridotti al minimo (si vedono soltanto alcuni alberi qua e là). Non si tratta infatti di un’immagine della nascita della dea in senso stretto, come fa supporre il titolo con cui è universalmente nota (e che risale all’Ottocento, quando si pensava che l’artista volesse effettivamente dipingere il momento della generazione della dea): Botticelli raffigura il momento successivo, quello dell’arrivo sull’isola di Cipro. Il repertorio di Poliziano non era una sua invenzione: la descrizione dell’arrivo di Venere a Cipro pesca infatti dalla tradizione classica, a cominciare da uno dei due inni ad Afrodite noti di Omero, stampato per la prima volta nel 1488 a Firenze dall’umanista greco Demetrios Chalcondylis (nella traduzione di Ettore Romagnoli: “La veneranda, la bella dall’aureo serto, Afrodite / io canterò, che tutte le cime di Cipro marina / protegge, ove la furia di Zefiro ch’umido spira /la trasportò, sui flutti del mare ch’eterno risuona, / sopra la morbida spuma”) e dalla Teogonia di Esiodo (sempre nella traduzione di Romagnoli: “E le vergogne, cosí come pria le recise col ferro, / dal continente via le scagliò nell’ondísono mare. / Cosí per lungo tempo nel pelago errarono; e intorno / all’immortale carne sorgea bianca schiuma; e nutrita / una fanciulla ne fu, che prima ai santissimi giunse / uomini di Citèra. Di Cipro indi all’isola giunse. / E qui dal mare uscí la Dea veneranda, la bella; / ed erba sotto i piedi suoi morbidi crebbe; e Afrodite / la chiamano gli Dei, la chiamano gli uomini: ch’ella / fu dalla spuma nutrita”). La Venere di Botticelli mostra però alcune evidenti differenze rispetto al testo di Poliziano: ad attenderla sulla riva infatti non ci sono tre ninfe, ma un’unica donna, il manto di seta nel quale sta per essere avvolta è decorato con fiori e non è stellato, e il vento che la spinge porta con sé un turbinio di fiori rosa.

I fiori e le piante che osserviamo in tutto il dipinto sono legati alla dea della bellezza, si possono in parte ritrovare anche nella Primavera e possono essere identificati con facilità. I fiori trasportati dal vento sono nient’altro che rose: secondo il mito, infatti, sarebbero comparse sulla Terra assieme alla dea, condotte proprio dal vento primaverile. La fanciulla che attende Venere sulla riva (come detto forse una delle Ore, personificazioni delle stagioni secondo la mitologia greca: ci troveremmo dinnanzi, ovviamente, a quella della primavera) ha un abito tessuto di fiordalisi, fiore simbolo d’amore, legato al matrimonio. Sul petto, la stessa giovane indossa una ghirlanda di mirto, la pianta sacra della dea. Sul prato, sotto ai piedi dell’Ora, si notano anemoni azzurri, fiore legato alla fugacità dell’amore, dal momento che la sua vita è breve. Sul manto di seta con cui l’Ora sta per coprire Venere vediamo la margherita, simbolo d’amore, e poi ancora primule della specie Primula elatior (primula maggiore, tipico fiore primaverile), e quelli che sembrano essere dei fiori di cuculo, altri fiorellini tipicamente primaverili, che fioriscono a maggio. Il grande albero che vediamo dietro l’Ora è un arancio: è la pianta della famiglia Medici, per via del nome con cui le arance erano note all’epoca (mala medica, ovvero “mele medicinali”, per gli effetti benefici già noti in antichità). In basso sulla sinistra troviamo alcune tife, piante tipiche degli ambienti palustri di tutta Italia e presenti in grande abbondanza anche in Toscana, che si distinguono per le particolari infiorescenze a forma di sigaro (in passato erano utilizzate per fare le imbottiture dei materassi): è stato suggerito che la particolare forma della tifa rimandi al mito stesso della nascita di Venere, nata dal mare fecondato dal seme del padre Urano, fuoriuscito dai genitali castrati dal figlio Crono.

Per la figura della dea, Botticelli dovette guardare alle statue antiche che erano conservate nelle raccolte medicee. In particolare, è stata avanzata l’ipotesi che l’artista si sia ispirato a una Venere Anadiòmene (ovvero che emerge dal mare) citata nel 1375 dal letterato Benvenuto Rambaldi, che tuttavia non conosciamo. È comunque da ipotizzare che l’aspetto della scultura dovesse essere simile a quello della Venere de’ Medici, il capolavoro della scultura ellenistica greca che sarebbe giunto a Firenze nel 1677 dal granduca Cosimo III: la dea, nella statua firmata da Cleomene di Apollodoro, ha una posa del tutto simile a quella della Venere di Botticelli, raffigurata dunque con l’atteggiamento della Venus pudica, così detta in quanto cerca di coprirsi con le mani dopo essere uscita da un bagno. Non conosciamo dunque l’opera che esattamente dovette costituire il punto di riferimento per Botticelli, ma certo è che il tipo della Venus pudica era già ampiamente noto a Firenze e in Toscana, come attestano i precedenti di Masaccio (la Eva della Cacciata nella Cappella Brancacci) e della Prudenza di Giovanni Pisano che orna il pulpito della Cattedrale di Pisa. Per quanto riguarda invece le figure dei due venti sulla sinistra (il personaggio maschile è Zefiro, il vento caldo dell’ovest che annuncia la primavera, mentre invece per quello femminile l’identificazione è più dubbia, ma è probabile che si tratti di Aura, divinità associata alla brezza), è del tutto plausibile che Botticelli si sia ispirato alle personificazioni dei venti Etesii che compaiono nella famosa Tazza Farnese, il grande cammeo che oggi è custodito al Museo Archeologico Nazionale di Napoli e che al tempo di Botticelli era nella collezione di Lorenzo il Magnifico.

Le proporzioni della dea di Botticelli sono comunque innaturali: “il pittore”, ha scritto la studiosa Diletta Corsini, “non si preoccupa qui della correttezza del disegno: le spalle di Venere sono troppo spioventi, il collo innaturalmente lungo, l’avambraccio sinistro si piega in un modo impossibile, gli occhi stessi della dea risultano asimmetrici”. Occhi che, peraltro, si presentano con pupille più grandi del normale: nel Rinascimento le donne fiorentine usavano infatti gocce di belladonna per farle dilatare (si riteneva che lo sguardo in questo modo acquisisse più fascino). “Eppure”, continua Corsini, “corpo e volto di questa Venere sono stati assunti come simbolo dello spirito e della bellezza rinascimentale. La composizione, proprio in virtù di questi ‘errori’ (o meglio, licenze) del pittore, è un miracolo di armonia e di perfetto bilanciamento: la bellezza nasce da quelle lievi irregolarità che interrompono la troppo facile simmetria, le prevedibili corrispondenze”.

Sandro Botticelli, Primavera (1480 circa; tempera grassa su tavola, 207 x 319 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, inv. 1890 n. 8360)
Sandro Botticelli, Primavera (1480 circa; tempera grassa su tavola, 207 x 319 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, inv. 1890 n. 8360)
Arte ellenistica, Venere de' Medici (fine II secolo a.C. - inizi del I secolo a.C.; marmo pario, altezza 153 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, inv. 1914 n. 224)
Arte ellenistica, Venere de’ Medici (fine II secolo a.C. - inizi del I secolo a.C.; marmo pario, altezza 153 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, inv. 1914 n. 224)
Masaccio, Cacciata dei Progenitori (1424-1425; affresco, 214 x 88 cm; Firenze, Santa Maria del Carmine, Cappella Brancacci)
Masaccio, Cacciata dei Progenitori (1424-1425; affresco, 214 x 88 cm; Firenze, Santa Maria del Carmine, Cappella Brancacci)
Giovanni Pisano, Prudenza (1302-1310; marmo; Pisa, Cattedrale, Pulpito)
Giovanni Pisano, Prudenza (1302-1310; marmo; Pisa, Cattedrale, Pulpito)
Sandro Botticelli, Nascita di Venere, le rose
Sandro Botticelli, Nascita di Venere, le rose
Sandro Botticelli, Nascita di Venere, i fiori sul manto di Venere
Sandro Botticelli, Nascita di Venere, i fiori sul manto di Venere
Sandro Botticelli, Nascita di Venere, le tife
Sandro Botticelli, Nascita di Venere, le tife
Sandro Botticelli, Nascita di Venere, i fiordalisi sulla veste dell'Ora
Sandro Botticelli, Nascita di Venere, i fiordalisi sulla veste dell’Ora
Sandro Botticelli, Nascita di Venere, l'arancio
Sandro Botticelli, Nascita di Venere, l’arancio

Venere quale simbolo di bellezza, dunque: gli studiosi si sono comunque interrogati a lungo sui possibili significati del dipinto, e la maggior parte degli storici dell’arte ha dimostrato un sostanziale accordo nell’inserire la Nascita di Venere nell’alveo della cultura neoplatonica. Platone riconosceva l’esistenza di due Veneri: la Venere Urania, ovvero la Venere celeste, figlia di Urano, e la Venere Pandémia, la Venere terrestre, figlia di Giove e Dionea. La prima ispirava agli esseri umani l’amore inteso come affetto, come sentimento intellettuale, mentre all’altra spettava l’amore fisico, il desiderio. E sempre secondo Platone, la bellezza fisica era un mezzo per giungere a quella spirituale. L’essere umano si trova dunque tra due poli: da un lato il divino, lo spirituale, dall’altro la materia: compito dell’uomo è quello di elevarsi dall’istinto e dalla materialità per giungere, guidato dalla ragione, alla contemplazione, che è lo stato proprio della divinità. La bellezza, secondo i filosofi neoplatonici della Firenze del Quattrocento, è il modo in cui l’amore si manifesta nel mondo terreno. Diversi studiosi hanno ritrovato questo pensiero proprio nella Venere, assegnando un ruolo preciso a ognuno dei personaggi, per quanto sia comunque difficile giungere a conclusioni sicure.

Una delle letture più note è quella proposta nel 1893 da Aby Warburg, ripresa nel 1945 da Ernst Gombrich: secondo lo studioso tedesco, Venere è simbolo di humanitas, vale a dire un’umanità che è sintesi di tutte le virtù. Qualche anno prima della probabile realizzazione del dipinto, tra il 1477 e il 1478, Marsilio Ficino aveva scritto una lettera a Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici (allora quattordicenne), dove raccomandava al giovane di farsi ispirare proprio dalla dea Venere, che Ficino vedeva come un’incarnazione dell’ideale di humanitas, una “ninfa di eccellente grazia nata dal cielo e più di altre amata dall’altissimo”, per usare le parole che il filosofo adoperò nella stessa lettera: “la sua anima e la sua mente sono Amore e Carità, i suoi occhi Dignità e Magnificenza, i piedi la Grazia e la Modestia”. Venere è simbolo quindi di humanitas che eleva l’essere umano dai sensi per portarlo alla contemplazione divina, e la sua nudità, in tal senso, diviene simbolo della purezza dell’anima. Secondo Erwin Panofsky, la Venere del dipinto è allegoria dell’amore spirituale, così come la Venere che compare nella Primavera è, al contrario, allegoria dell’amore terreno, secondo il dualismo che risaliva direttamente a Platone.

Un’interpretazione formulata da Giulio Carlo Argan nel 1962 nega che il dipinto sia un’esaltazione pagana della bellezza femminile, e identifica la nascita di Venere come allegoria dell’anima che nasce dall’acqua del battesimo, quindi il bello che il pittore vorrebbe esaltare sarebbe solo il bello spirituale, e non un bello fisico: “la nudità di Venere”, scriveva Argan, “significa semplicità, purezza, mancanza di ornamenti; la natura è espressa nei suoi elementi (aria, acqua, terra); il mare increspato dalla brezza [...] è una superficie verde-azzurra su cui le onde sono schematizzate in segni tutti uguali; simbolica è anche la conchiglia”. Edgar Wind interpreta invece la Nascita di Venere come unione dei contrari, con la passione e la sensualità rappresentate dalla coppia dei due venti, e la castità rappresentata invece da Venere e dall’Ora che si affretta a coprirla. È stato poi proposto che la Venere potesse essere opera tesa a celebrare una nascita, quella di Maria Margherita de’ Medici, figlia di Piero Tolosino de’ Medici (esponente di un ramo secondario della famiglia), venuta al mondo nel 1484. Tra le letture più recenti vale la pena menzionare quella di Cristina Acidini Luchinat che nel 2001 ha attribuito un significato squisitamente politico al dipinto: secondo questa lettura, la costa sulla quale approda Venere sarebbe quella della Toscana, regione identificata dalla presenza dell’arancio, l’albero dei Medici. Ci troveremmo dunque di fronte a una “versione modernamente adattata di quel mito”, secondo la studiosa, che chiama in causa un affresco del quartiere estivo di Palazzo Pitti dipinto negli anni Trenta del Seicento da Cecco Bravo, dove vengono raffigurati Apollo e le muse che, cacciati dal Parnaso, si rifugiano in Toscana accolti da Lorenzo il Magnifico, per dimostrare che a suo avviso alcuni cross-over, diremmo oggi, storico-mitologici facevano parte dei codici culturali della corte medicea (anche se tra la Nascita di Venere e l’affresco di Cecco Bravo passano comunque centocinquant’anni, ma secondo Acidini tale lasso di tempo non è comunque sufficiente a far ritenere implausibile la sua proposta). Un’ipotesi interessante, ma forse più calzante per un grande apparato decorativo destinato alla sala d’un palazzo che a un quadro che probabilmente aveva un preciso destinatario ed era sistemato nelle sue stanze private. L’opera poteva comunque avere implicitamente un significato politico: la Venere-humanitas, per esempio, poteva tranquillamente assurgere a guida ideale per un uomo destinato alle cariche pubbliche. Lo stesso Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, colui che da molti è ritenuto il più probabile committente della Venere, lavorò nella diplomazia e nell’amministrazione dello Stato mediceo.

Sandro Botticelli, Nascita di Venere, dettaglio della figura di Venere
Sandro Botticelli, Nascita di Venere, dettaglio della figura di Venere
Sandro Botticelli, Nascita di Venere, i venti Zefiro e Aura
Sandro Botticelli, Nascita di Venere, i venti Zefiro e Aura
Sandro Botticelli, Nascita di Venere, l'Ora della primavera
Sandro Botticelli, Nascita di Venere, l’Ora della primavera
Sandro Botticelli, Nascita di Venere, dettaglio della figura di Venere
Sandro Botticelli, Nascita di Venere, dettaglio della figura di Venere
Cecco Bravo, Lorenzo il Magnifico accoglie Apollo e le Muse cacciati dal Parnaso (1638-1639; affresco; Firenze, Palazzo Pitti)
Cecco Bravo, Lorenzo il Magnifico accoglie Apollo e le Muse cacciati dal Parnaso (1638-1639; affresco; Firenze, Palazzo Pitti)

Il nodo sul possibile committente è ulteriormente complicato dal fatto che la Nascita di Venere è stato realizzato su tela di lino invece che su tavola (la Primavera è stata invece dipinta a tempera grassa su tavola), un supporto insolito per Botticelli e in generale per la pittura fiorentina del Quattrocento, dal momento che era proprio la tavola quello più largamente usato: non è da escludere che i due quadri, realizzati nello stesso torno d’anni, fossero anche destinati a due committenti diversi, e fossero intesi per due ambienti diversi. Sulla tela, prima di eseguire il dipinto, l’artista ha dato una mestica, ovvero una miscela di pigmenti che serviva per preparare il dipinto stesso: un’altra particolarità consiste nel fatto che Botticelli ha deciso di non stendere, sulla mestica, la tipica imprimitura bianca (una preparazione solitamente a base di colla e gesso che serve per preparare il supporto e per conferire resistenza al dipinto), optando invece per una preparazione a base di gesso blu per dare al dipinto il tono azzurrato che lo contraddistingue. Evitando di stendere l’imprimitura bianca, Botticelli ha voluto fare in modo che i colori alla fine risultassero più chiari e luminosi. La tecnica che il pittore ha usato è quella della cosiddetta tempera “magra”, cioè a base di colle animali e vegetali: in questo modo Sandro Botticelli ha voluto conferire maggiore luminosità al dipinto e produrre un effetto simile a quello dell’affresco.

E in effetti la Nascita di Venere ci appare un dipinto cristallino, dai toni chiari e tersi, col corpo snello e candido di Venere che risalta anche per mezzo dell’utilizzo del contorno morbido ma netto ch’è forse il tratto stilistico più riconoscibile della pittura di Botticelli (l’artista lo usava per accentuare la grazia delle sue figure), e i cui capelli mossi dal vento forse conservano l’eco del trattato De pictura di Leon Battista Alberti e in particolare del passaggio in cui il grande architetto e teorico prescriveva i modi per rendere una chioma mossa e fluente. Come si legge nella versione in volgare: “Ora, poi che ancora le cose non animate si muovono in tutti quelli modi quali di sopra dicemmo, adunque e di queste diremo. Dilettano nei capelli, nei crini, ne’ rami, frondi e veste vedere qualche movimento. Quanto certo a me piace ne’ capelli vedere quale io dissi sette movimenti: volgansi in uno giro quasi volendo anodarsi, e ondeggino in aria simile alle fiamme; parte quasi come serpe si tessano fra gli altri, parte crescendo in qua e parte in là”. Il movimento dei capelli è prodotto dai venti che spirano da sinistra verso destra: questa l’immagine che oggi vediamo sulla tela botticelliana. Tuttavia, in una prima redazione, come è stato rilevato dalle indagini diagnostiche, Botticelli “aveva concepito”, ha scritto il restauratore Ezio Buzzegoli, “la scena con la Venere che viene trasportata sul mare da un lento movimento in avanti verso lo spettatore, mentre i Venti e l’Ora partecipano allo solgimento dell’azione quasi come astanti”. I capelli, nella prima redazione del dipinto, non erano mossi dal vento, ma incorniciavano la testa, più o meno seguendo l’andamento dei capelli della Venere conservata oggi alla Galleria Sabauda di Torino, variamente attribuita a Sandro Botticelli o alla sua bottega. I pochi svolazzi servivano semplicemente per rendere credibile il movimento della conchiglia portata dalle onde verso la riva. Perché dunque questa modifica? Forse, Botticelli cambiò idea proprio ispirato dalle parole di Leon Battista Alberti: “sembra proprio”, secondo Buzzegoli, “che la disponibilità del Botticelli, come del resto degli altri maestri a lui contemporanei, a cogliere ispirazione e suggerimenti dall’ambito letterario, venga confermata da quanto la riflettografia di quest’opera ha messo in luce”. Altri elementi differenziano la redazione finale da quella originaria: la modifica dei volti dei due venti, che da astanti diventano partecipanti, e il manto che l’Ora offre a Venere (nella prima versione non aveva l’apertura del colletto e, mancando l’azione dei venti, non svolazzava verso destra ma ricadeva in verticale a coprire il paesaggio).

I ripensamenti di Botticelli tendono a rendere ancor più dinamica la scena. Ma una delle caratteristiche più evidenti dello stile di Sandro Botticelli, che s’apprezza ai suoi vertici proprio nella Nascita di Venere, è proprio il particolare senso del movimento ch’è dato anzitutto dall’andamento ritmato delle linee, che quasi s’oppongono alle volumetrie solide dei corpi (la stessa Venere è forte d’una presenza statuaria, quasi monumentale), così che movimento e quiete convivano financo nella stessa figura. Nella ritmica botticelliana, ha scritto Giulio Carlo Argan, “i corsi ricorsi della linea tendono a sottilizzare la materia, a darle la sostanza imponderabile della luce: più precisamente, a farsi luce e non a ricevere la luce. È attraverso quei ritmi lineari che le figure raggiungono una condizione perfetta, quasi teorica, di diafanità; e di fatto ricalcano i margini di maggior trasparenza dei veli. Anzi, proprio là dove la linea sembra raggiungere la più pura qualità grafica, essa si rivela come l’ultima determinazione della luce”. Una ritmica che, secondo Argan, aveva un preciso precedente nei rilievi che Agostino di Duccio realizzò per il Tempio Malatestiano di Rimini.

Sandro Botticelli o bottega, Venere (1495-1497 circa; olio su tela, 174 x 77 cm; Torino, Galleria Sabauda)
Sandro Botticelli o bottega, Venere (1495-1497 circa; olio su tela, 174 x 77 cm; Torino, Galleria Sabauda)
Agostino di Duccio, San Sigismondo in viaggio verso Agauno (1449-1452; marmo, 106 x 82 x 6 cm; Milano, Castello Sforzesco, dal Tempio Malatestiano di Rimini). Foto: Francesco Bini
Agostino di Duccio, San Sigismondo in viaggio verso Agauno (1449-1452; marmo, 106 x 82 x 6 cm; Milano, Castello Sforzesco, dal Tempio Malatestiano di Rimini). Foto: Francesco Bini
Sandro Botticelli, Venere e le tre Grazie offrono doni a una giovane (1486 circa; affresco staccato, 211 x 284 cm; Parigi, Louvre, da Villa Lemmi a Fiesole)
Sandro Botticelli, Venere e le tre Grazie offrono doni a una giovane (1486 circa; affresco staccato, 211 x 284 cm; Parigi, Louvre, da Villa Lemmi a Fiesole)

Rimane, infine, un’ultima questione attorno alla Nascita di Venere: la sua datazione, argomento attorno al quale sono state formulate le ipotesi più disparate. Oggi si tende a ritenere probabile che l’opera sia stata eseguita attorno al 1485, dopo il rientro di Botticelli da Roma, città in cui s’era recato per attendere alla realizzazione degli affreschi della Cappella Sistina (vi rimase dal 1480 al 1482), e in un periodo non troppo distante da quello in cui l’artista eseguì gli affreschi di Villa Lemmi a Fiesole, dove si può trovare un’altra raffigurazione di Venere (non conosciamo la data esatta della realizzazione di quest’opera, ma è probabile che l’artista vi attese dopo il 1483, o comunque non più tardi del 1486: gli affreschi furono poi staccati, trasportati su tela e messi sul mercato nella seconda metà dell’Ottocento, e dal 1882 sono di proprietà del Louvre, dov’è possibile vederli). Si è a lungo pensato che la Nascita di Venere fosse stata concepita assieme alla Primavera, eventualità che oggi invece si tende a escludere: la Nascita è di dimensioni più ridotte, appare stilisticamente più tarda rispetto alla Primavera e, come s’è visto sopra, fu realizzata con una tecnica completamente diversa e con un supporto diverso (la Nascita di Venere è la più antica opera su tela di grandi dimensioni che si conosca).

Questi dettagli non sono certo sufficienti a escludere del tutto l’ipotesi che i due quadri fossero destinati alla stessa persona, ma certo è che sulla Nascita di Venere, malgrado sia uno dei quadri più celebri e celebrati della storia dell’arte, rimane ancora molto da scoprire e da studiare: sono più le cose che non sappiamo di quelle che sappiamo, ed è probabile che certi dettagli continueranno a sfuggirci ancora per molto, se non per sempre. In tanti hanno scritto sulla Nascita di Venere, cimentandosi con il suo significato, con l’interpretazione di certi dettagli, con l’identificazione dei personaggi, oppure cercando di ricostruirne la storia. E in tanti ancora ne scriveranno: di questo possiamo esser sicuri.


Se ti è piaciuto questo articolo abbonati a Finestre sull'Arte.
al prezzo di 12,00 euro all'anno avrai accesso illimitato agli articoli pubblicati sul sito di Finestre sull'Arte e ci aiuterai a crescere e a mantenere la nostra informazione libera e indipendente.
ABBONATI A
FINESTRE SULL'ARTE

Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo





Commenta l'articolo che hai appena letto



Commenta come:      
Spunta questa casella se vuoi essere avvisato via mail di nuovi commenti





Torna indietro



MAGAZINE
primo numero
NUMERO 1

SFOGLIA ONLINE

MAR-APR-MAG 2019
secondo numero
NUMERO 2

SFOGLIA ONLINE

GIU-LUG-AGO 2019
terzo numero
NUMERO 3

SFOGLIA ONLINE

SET-OTT-NOV 2019
quarto numero
NUMERO 4

SFOGLIA ONLINE

DIC-GEN-FEB 2019/2020
Finestre sull'Arte