Il bambino più stravagante del Rinascimento: il Ritratto di Fanciullo di Giovan Francesco Caroto


Il Ritratto di Fanciullo di Giovan Francesco Caroto è il ritratto di bambino più anticonvenzionale del Rinascimento, ed è diventato talmente famoso da essere assurto a simbolo del Rinascimento veronese. Ecco tutto quello che sappiamo su questa importante opera.

Non si era mai visto un ritratto di fanciullo così anticonvenzionale nella pittura italiana del Rinascimento: il Ritratto di Fanciullo con disegno di Giovan Francesco Caroto (Verona, 1480 - 1555 circa) è considerato, oltre che il suo capolavoro più famoso, un unicum, perché il soggetto raffigurato in primo piano pare rivolgersi direttamente a chiunque lo osservi con un’espressione ridente e scanzonata mentre soddisfatto mostra il suo disegno. Un disegno infantile di quelli che tutti i bambini si divertono e s’impegnano a fare su un semplice foglio di carta e che, una volta terminato, fanno orgogliosamente vedere agli adulti, ai propri genitori, per farsi dire loro come sono stati bravi. Sembra infatti questa la scena che vediamo dipinta: gli adulti a cui il ragazzino si rivolge siamo noi, tutte le persone che nel corso del tempo hanno avuto occasione almeno una volta di soffermarsi di fronte a uno dei più celebri ritratti della storia dell’arte, mentre il fanciullo è un bambino del Cinquecento. Il sorriso poteva essere leggermente abbozzato (si pensi a quello della Gioconda di Leonardo, opera databile tra il 1503 e il 1506), ma un sorriso a bocca semiaperta che lascia intravedere addirittura l’arcata superiore dei denti era molto innovativo, come non convenzionale era quel rivolgersi direttamente ed esplicitamente all’osservatore invitandolo a dare un proprio parere sul disegno mostrato. Si crea infatti un’interazione, uno scambio che coinvolge tre elementi: il soggetto ritratto, l’osservatore e l’oggetto stesso di quell’invito, ovvero il disegno.

Non si conosce tuttavia ancora con certezza l’identità del fanciullo: si potrebbe trattare del figlio del pittore, Bernardino, nato nel 1505 o nel 1507, orfano di madre e diventato poi speziale nella spezieria di proprietà di famiglia con il padre dal 1529, oppure del nipote Giovan Pietro, anche lui pittore e chiamato Centenario, nato intorno al 1503; quest’ultimo lavorava nella bottega di famiglia e nell’anagrafe del 1531 risulta convivente con lo zio Giovanni Caroto. È comunque certo che si tratti di una persona reale e a lui familiare.

Dai lunghi capelli rossi e lisci pettinati con la riga in mezzo, il fanciullo è raffigurato in primo piano, di profilo e a mezzo busto su uno sfondo scuro; ha il viso ovale, grandi occhi castani e vispi, incorniciati da sopracciglia finissime e arcuate, gote leggermente arrossate e un sorriso a labbra semiaperte da cui spuntano i denti. Veste un farsetto verde sopra a una camicia bianca e probabilmente tiene con la mano sinistra un berretto rosso, la cui stoffa appare nel margine in basso a sinistra del dipinto. La sua età è compresa tra i dieci e i dodici anni. Con la mano destra tiene rivolto verso l’osservatore un foglio di carta sul quale ha disegnato con tratti molto infantili una figura umana abbastanza sproporzionata con testa grossa, corpo piccolo, braccia e gambe sottili e lunghe.

Giovan Francesco Caroto, Ritratto di Fanciullo con disegno (1515-1520; olio su tavola, 37 x 29 cm; Verona, Museo di Castelvecchio)
Giovan Francesco Caroto, Ritratto di Fanciullo con disegno (1515-1520; olio su tavola, 37 x 29 cm; Verona, Museo di Castelvecchio)

Giovan Francesco Caroto realizzò il Ritratto tra il 1515 e il 1520, ma l’opera non è citata nelle Vite di Vasari. La si trova menzionata per la prima volta nell’inventario della collezione veronese di Antonio Maria Lorgna ceduta al conte Giovanni Emilei nel 1781, come un “Quadretto d’un giovane ridente con bamboccio in mano della scuola precisa del Correggio”. Nell’Ottocento è attestata nella collezione di Cesare Bernasconi e viene attribuita a Bernardino Luini, tra gli allievi di Leonardo. Solo nel 1907 verrà attribuita a Giovan Francesco Caroto da Bernard Berenson, quando iniziarono a prendere il via i primi intensi studi sui fratelli Caroto; si vide anche una certa vicinanza al Bambino con in mano un giocattolo di Bernardino Luini della collezione inglese di Lord Carysford (oggi Proby Collection di Elton Hall a Peterborough). Quest’ultimo raffigura un bambino di profilo su sfondo scuro, più paffutello con i capelli corti e ricci e la bocca semiaperta in un sorriso, ma di età nettamente inferiore; si rivolge tuttavia all’osservatore mostrandogli un giocattolo che tiene aperto con entrambe le mani cicciotelle.

Nel catalogo generale delle opere di Luini, Cristina Quattrini fa risalire quest’opera tra il 1527 e il 1530 circa, dunque ad anni successivi al Ritratto di Fanciullo di Caroto. Anche se i due ritratti hanno come soggetto un bambino che mostra sorridendo qualcosa all’osservatore, si notano alcune differenze: prima di tutto Caroto fa mostrare un disegno, mentre Luini un gioco di abilità formato da due tavolette che trattengono una pagliuzza; secondariamente, ma aspetto più importante, il bambino di Luini rimanda a un modello convenzionale di raffigurazione o di putti o per le figure di Gesù Bambino e san Giovannino, mentre Caroto ritrae un ragazzino realmente esistente. Al tempo dei primi studi su Caroto però il Ritratto di Fanciullo venne esposto nell’allestimento del Museo Civico a Palazzo Pompei come derivazione “da Luini”. Oggi è tra i capolavori principali del Museo di Castelvecchio ed è stato scelto anche come guida della grande esposizione Caroto e le arti tra Mantegna e Veronese, la prima dedicata all’artista, protagonista del Rinascimento veronese, al Palazzo della Gran Guardia di Verona (dal 13 maggio al 2 ottobre 2022).

Se lo stile del dipinto è stato legato prima a Correggio (in particolare al Cristo giovane che mostra un libro, databile al 1512 e conservato in collezione privata) e poi a un leonardesco come Luini è probabilmente perché Mantova fu fondamentale nella formazione di Caroto, sia negli ultimi anni di Andrea Mantegna sia negli anni successivi, quando nella città, che aveva rapporti artistici molto stretti con Verona, si poteva incontrare anche la cultura emiliana di Lorenzo Costa e del Correggio, ma l’artista fu molto legato anche alla Milano dei leonardeschi, dove soggiornò a lungo al servizio di Antonio Maria Visconti e nella città ebbe modo di conoscere certamente anche le opere di Leonardo da Vinci. Il sorriso del Ritratto del Fanciullo si discosta ad ogni modo sia da quelli di tradizione leonardesca, più criptici, sia da quelli più sfuggenti e trattenuti, come quello che caratterizza il volto di Cangrande della Scala in groppa al suo cavallo nel Museo di Castelvecchio. Come modelli potrebbe aver conosciuto sculture antiche che nel Cinquecento destarono un interesse in artisti, studiosi collezionisti veronesi come testimonianze della città romana: tra gli esempi possibili, il Satirello ridente del Museo Archeologico del Teatro Romano di Verona, proveniente dalla collezione ottocentesca di Carlo Alessandri e il Pan o Satiro oggi a Monaco di Baviera (entrambi in mostra a Palazzo della Gran Guardia).

Bernardino Luini, Bambino con in mano un giocattolo (1527-1530; Peterborough, Elton Hall, Proby Collection)
Bernardino Luini, Bambino con in mano un giocattolo (1527-1530; olio su tavola, 43,2 x 34,3 cm; Peterborough, Elton Hall, Proby Collection)
Correggio, Cristo giovane che mostra un libro (1512 circa; olio su tavola, 55 x 44 cm; Collezione privata)
Correggio, Cristo giovane che mostra un libro (1512 circa; olio su tavola, 55 x 44 cm; Collezione privata)
Ambito romano, Satirello ridente (marmo, 32 cm; Verona, Museo Archeologico al Teatro Romano)
Ambito romano, Satirello ridente (marmo, 32 cm; Verona, Museo Archeologico al Teatro Romano)

Giovan Francesco si avvicinò al ritratto con assiduità e con successo, secondo quanto emerge dalle fonti, ma la sua ritrattistica è tuttora “quasi tutta da identificare e la sua immagine di ritrattista è ancora piuttosto sfocata”, come scrive uno dei curatori della mostra veronese, Gianni Peretti, in quanto “era sempre pronto ad assorbire come una spugna le novità con le quali di volta in volta veniva a contatto”. Vasari racconta di una sfida tra Caroto e un pittore fiammingo che a Milano aveva dipinto “una testa d’un giovane ritratta di naturale”. Giovan Francesco affermò in quell’occasione che gli bastava “l’animo di farne una migliore” e si mise a lavorare ritraendo “un gentiluomo vecchio e raso con uno sparviere in mano”. Scelta con cui si mangiò la vittoria perché venne ritenuta migliore quella del fiammingo: si pensa che il veronese avesse sbagliato a non scegliere un soggetto giovane. Tra i ritratti certi di Caroto, il Ritratto di gentildonna del 1508-1510 conservato al Louvre (l’attribuzione certa è avvenuta nel 1985 quando è emersa dal fondo scuro, in seguito a un intervento di restauro, la firma dell’artista) e il Ritratto di giovane monaco benedettino del 1520-1525 conservato al Museo di Castelvecchio, entrambi esposti in mostra a Verona.

Secondo quanto racconta Vasari nelle sue Vite, Caroto era un uomo di buona cultura, intraprendente, curioso, intelligente, e anche piuttosto incline all’ironia e al sarcasmo. Attraverso il riso del fanciullo l’osservatore è portato a concentrare la sua attenzione sul disegno che il ragazzino ha compiuto sul foglio: “una prova di virtuosismo, di quadro nel quadro”, come afferma la curatrice Francesca Rossi. Se si osserva bene, si noterà infatti che accanto alla figura umana disegnata, appare uno studio anatomico di occhio di profilo compiuto da una mano esperta che rivela di conoscere gli studi leonardeschi sull’ottica e sulla figura umana. Il fanciullo ha quindi realizzato il suo disegno su un foglio che era già stato utilizzato da un artista più esperto. “Una prima, sommaria prova di pittura”, spiega la curatrice, che il bambino ha compiuto “forse rubando al suo maestro la penna e un foglio di studi per scarabocchiarvi sopra la sua buffa figurina, che sa di un ironico autoritratto in caricatura, e ora posa divertito davanti al pittore - e allo spettatore - senza temerne il giudizio”.

La statua di Cangrande della Scala
La statua di Cangrande della Scala
Giovan Francesco Caroto, Ritratto di gentildonna (1508-1510 circa; olio su tavola di noce, 69 x 53 cm; Parigi, Louvre, Département des Peintures)
Giovan Francesco Caroto, Ritratto di gentildonna (1508-1510 circa; olio su tavola di noce, 69 x 53 cm; Parigi, Louvre, Département des Peintures)
Giovan Francesco Caroto, Ritratto di giovane monaco benedettino (1520-1525 circa; olio su tela, 43 x 33 cm; Verona, Museo di Castelvecchio)
Giovan Francesco Caroto, Ritratto di giovane monaco benedettino (1520-1525 circa; olio su tela, 43 x 33 cm; Verona, Museo di Castelvecchio)

Caroto conosceva con ogni probabilità, da uomo di cultura qual era, le ricerche umanistiche sulla pedagogia e sull’infanzia di Vittorino da Feltre, Guarino da Verona, Giovanni Dominici, Erasmo da Rotterdam, che ebbero grande fortuna tra Quattro e Cinquecento, e su questa linea si accosta il giovane a un allievo che è legato profondamente al suo maestro ma che allo stesso tempo rovescia tutte le certezze sulle regole dell’arte. Secondo questo studio di Alessandro Serafini (2015), il dipinto è “l’eterno sberleffo del giullare, del matto e dell’adolescente, quello che ogni ragazzo ha fatto, fa e continuerà a fare contro ogni precettore, è la risata che sovverte tutti i principi e le certezze del mondo degli adulti”.

Il mondo dell’arte ha tremato quando il Ritratto di Fanciullo con disegno, insieme ad altri sedici dipinti, è stato rubato in una maxi rapina al Museo di Castelvecchio nel novembre 2015 e ritrovato l’anno dopo, a maggio, con tutti gli altri. Sarebbe stata una grave perdita: per fortuna, una storia a lieto fine.


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Ilaria Baratta

L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta

Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.






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