I mecenati dei macchiaioli: chi furono, come sostennero il gruppo


Oggi i macchiaioli non hanno bisogno di presentazioni, sono un gruppo di artisti celeberrimi: ma chi furono i loro mecenati? In realtà, all’inizio il gruppo ebbe pochi sostenitori. Ecco chi furono: le loro storie, come appoggiarono i macchiaioli, come sostennero la loro arte.

È difficile pensare che i macchiaioli avrebbero avuto successo se alle loro spalle non ci fosse stata una schiera di mecenati, non molto numerosa ma comunque pronta a sostenere la loro arte, sia finanziariamente, sia attraverso un supporto meno diretto, per esempio promuovendone la loro conoscenza. I macchiaioli sono passati alla storia per aver rivoluzionato la scena artistica italiana degli anni immediatamente successivi alla metà dell’Ottocento con il loro approccio innovativo alla pittura, rappresentando un’avanguardia rispetto alle tendenze artistiche prevalenti del tempo: la loro rivoluzione non sarebbe stata tuttavia possibile se non ci fossero stati quei mecenati che hanno svolto un ruolo cruciale nello sviluppo e nel successo del movimento. I sostenitori di Giovanni Fattori, Telemaco Signorini, Vincenzo Cabianca, Odoardo Borrani e compagni hanno consentito al gruppo di perseguire la propria visione artistica e di affermarsi come punta più avanzata dell’arte del tempo.

La particolarità della rete dei mecenati dei macchiaioli sta nel fatto che fu piuttosto scarna e contava spesso su elementi del tutto estranei al gruppo, che potevano offrire un supporto talvolta occasionale: non mancarono tuttavia anche soggetti che promossero la loro arte sul lungo termine affiancando il gruppo per molto tempo e indirizzando anche i suoi orientamenti. Occorre poi considerare che i macchiaioli vissero un momento di profonda trasformazione politica e sociale: il movimento nacque già prima dell’Unità d’Italia ma si affermò solo a partire dagli anni Sessanta, e con l’Italia unita era venuto definitivamente meno il sistema di protezione che le corti degli Stati italiani avevano garantito per secoli agli artisti (ne aveva beneficiato, per esempio, il padre di Telemaco Signorini, Giovanni Signorini, anch’egli pittore, che fu tra gli artisti di spicco della corte dei Lorena all’epoca del tramonto degli Stati preunitari): venendo meno queste forme di sostegno antiche e radicate, i macchiaioli non poterono contare che sulle loro forze per riuscire a imporre le loro opere su di un mercato che stava nascendo in quegli anni e che era alimentato soprattutto dalla borghesia cittadina colta che non era legata ai gusti tradizionali, o da alcuni elementi aristocratici particolarmente illuminati e propensi a sostenere le novità.

Ovviamente i ruoli di primo piano spettano ai mecenati, pochi in realtà, che furono convinti sostenitori del gruppo e lo accompagnarono a lungo: tra questi spicca sicuramente Diego Martelli (Firenze, 1839 – 1896), che non fu soltanto sostenitore economico dei macchiaioli, ma fu anche critico di punta che, coi suoi scritti, di fatto “inventò” il movimento. Martelli, probabilmente il più noto tra i mecenati dei macchiaioli, proveniva da una famiglia fiorentina benestante ed era critico d’arte, scrittore e collezionista, e cominciò a frequentare il gruppo giovanissimo, neanche diciottenne, fin dalle prime riunioni al Caffè Michelangiolo di Firenze che, dal 1855, era divenuto l’abituale luogo di ritrovo degli habitué del gruppo. Questo caffè, situato in via Larga, l’odierna via Cavour, “svolge nella Firenze granducale”, ha scritto la studiosa Francesca Dini, “il ruolo di ritrovo alternativo per intellettuali, patrioti e artisti che lì amano mescolarsi ai ‘capi ameni’, ossia tipi stravaganti di estrazione popolare e non, dando vita a una società in cui lo scherzo e la facezia tengono testa alle più serie discussioni e alle più scottanti attualità. Nel 1855 vi fa ingresso compatta una nuova generazione di pittori che si definiscono ‘progressisti’ e il cui primo obiettivo è quello di prendere le distanze proprio dall’istituzione in cui si sono formati: l’Accademia di Belle Arti, con i suoi insegnamenti vetusti. La contestazione non riguarda specificatamente l’Accademia di Firenze nella quale alcuni di loro come Telemaco Signorini, Raffaello Sernesi, Giovanni Fattori, Giovanni Mochi, Vito D’Ancona si sono formati, sotto l’aura protettrice del grande pittore del romanticismo italiano Giuseppe Bezzuoli; si tratta piuttosto di un atteggiamento mentale contro tutte le accademie italiane ‘vivai delle mediocrità’”. Fu questo clima di contestazione che favorì l’interesse degli intellettuali e dei sostenitori che fin da subito condivisero le istanze ideali di quel gruppo di giovani.

Gruppo di macchiaioli e amici al Caffè Michelangiolo, 1856 circa (Firenze, Archivio storico della Società delle Belle Arti, Circolo degli Artisti). Prima fila, in alto: Cesare Bartolena, Odero, Odoardo Borrani, Telemaco Signorini, Diego Martelli, Giuseppe Moricci. Seconda fila, in mezzo: Vito D'Ancona, Cianfanelli, Giuseppe Bellucci, Egisto Sarri, Bernardo Celentano, Filippo Palizzi. Terza fila, in basso: Giovanni Mochi, Serafino De Tivoli, Domenico Morelli.
Gruppo di macchiaioli e amici al Caffè Michelangiolo, 1856 circa (Firenze, Archivio storico della Società delle Belle Arti, Circolo degli Artisti). Prima fila, in alto: Cesare Bartolena, Odero, Odoardo Borrani, Telemaco Signorini, Diego Martelli, Giuseppe Moricci. Seconda fila, in mezzo: Vito D’Ancona, Cianfanelli, Giuseppe Bellucci, Egisto Sarri, Bernardo Celentano, Filippo Palizzi. Terza fila, in basso: Giovanni Mochi, Serafino De Tivoli, Domenico Morelli.
Giovanni Fattori, Diego Martelli a Castiglioncello (1867 circa; olio su tavola, 13 x 20 cm; Collezione privata)
Giovanni Fattori, Diego Martelli a Castiglioncello (1867 circa; olio su tavola, 13 x 20 cm; Collezione privata)

Martelli passò presto da un sostegno intellettuale a un sostegno economico. Nel 1861 ereditò dal padre una tenuta a Castiglioncello, sulla costa livornese, che divenne subito luogo di ritrovo ‘estivo’ del gruppo: Martelli era infatti solito invitare tutti i suoi amici pittori, come Giovanni Fattori, Telemaco Signorini, Silvestro Lega, Giuseppe Abbati, Odoardo Borrani che trascorsero lunghi e produttivi soggiorni sul litorale toscano: una presenza tanto assidua, e costituita da artisti mossi da intenti comuni e omogenei, da aver portato la critica a parlare addirittura di una “scuola di Castiglioncello” per indicare la comunità artistica che qui, tra gli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento, era solita riunirsi. “Diego”, avrebbe ricordato Giovanni Fattori, “per sentimento di artista entusiasta di tutto quello che accennava a progresso fu con noi, e di noi più giovine, ricco, libero senza pregiudizi, punto pedante ci accolse con entusiasmo nella sua tenuta, disse ‘lavorate studiate c’è panno per tutti’ e fu una vera boem [sic], allegri ben pasciuti, senza pensieri ci gettammo nell’arte a tutt’uomo e ci si innamorò di quella bella natura delle grandi linee seria e classica”.

Inoltre, Martelli non solo offrì supporto finanziario agli artisti, ma fornì anche un’intensa attività di promozione attraverso i suoi scritti e critiche. Le sue recensioni e articoli, pubblicati su riviste d’arte e giornali (tra cui il Gazzettino delle arti del disegno, da lui fondato nel 1867) contribuirono a diffondere il lavoro dei Macchiaioli e a farli conoscere a un pubblico più ampio. “Il Gazzettino, che offrì ai lettori biografie di artisti contemporanei italiani e stranieri, rassegne di esposizioni, dibattiti e cronache varie”, ha scritto Fulvio Conti, “si qualificò da un lato come strumento di aggregazione delle diverse scuole realiste che erano sorte in varie parti della penisola sul modello di quella toscana, dall’altro come mezzo per far conoscere ai pittori italiani le nuove correnti artistiche internazionali”.

L’abitudine di trascorrere lunghi soggiorni presso famiglie ospitanti fu comune a diversi macchiaioli e fu una delle prime forme di sostegno che garantirono agli artisti del gruppo di lavorare con serenità: potremmo immaginare questi soggiorni come una sorta di aggiornamento moderno degli antichi sistemi di protezione cortesi offerti in passato agli artisti. Non di rado, diversi membri del gruppo soggiornavano presso tenute di campagna o ville di facoltosi possidenti che mettevano a loro disposizione spazi e strumenti per poter lavorare. Il caso più celebre è probabilmente quello di Silvestro Lega che soggiornò a più riprese nella tenuta della famiglia Batelli (Spirito Batelli era un importante editore dell’epoca) che accolse il pittore romagnolo nella propria tenuta di Piagentina, nella campagna alle porte di Firenze, oggi urbanizzata: nacquero qui alcuni dei più noti capolavori di Lega, come La visita o Il pergolato. Lega, peraltro, ebbe una relazione con la figlia di Spirito, Virginia Batelli, che posò per diversi suoi dipinti: la prematura scomparsa della ragazza nel 1870 gettò l’artista in uno stato di profonda depressione, che lo indusse a tornare nella Romagna natia. La vita dei mecenati dei macchiaioli diventava spesso soggetto dei loro dipinti, come ricorda ancora Dini: “La composta eleganza della borghesia fiorentina dei Batelli e dei Cecchini [altra famiglia che sosteneva i macchiaioli con la stessa modalità, nda] non è un semplice dato esteriore che riaffiora nella sobrietà degli abiti dalle tinte pacate sui quali spiccano i castigati colletti bianchi delle signore, ma è un fatto intrinseco alla pittura: essa si fa scarna ed essenziale nel delineare la quinta di muro dell’edificio, un bel rustico di carattere quattrocentesco che la patina del tempo ha rivestito di una calda tonalità dorata; si impreziosisce nel modulare quella stessa tonalità attraverso vibrazioni cromatico-luminose appena percettibili che traducono in un pulviscolo luminoso il tepore di quel pomeriggio soleggiato, ma non terso”.

Silvestro Lega, La visita (1868; olio su tela, 31 x 60 cm; Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea)
Silvestro Lega, La visita (1868; olio su tela, 31 x 60 cm; Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea)
Silvestro Lega, Il pergolato (1868; olio su tela, 75 x 93,3 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)
Silvestro Lega, Il pergolato (1868; olio su tela, 75 x 93,3 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)
Silvestro Lega, I fidanzati / I promessi sposi (1869; olio su tela, 35,5 x 79,5 cm; Milano, Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci)
Silvestro Lega, I fidanzati / I promessi sposi (1869; olio su tela, 35,5 x 79,5 cm; Milano, Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci)

Diversi altri artisti si giovarono dell’ospitalità di famiglie disposte ad accoglierli: Signorini, per esempio, dal 1868 fu ospite della famiglia De Gori, che quell’anno incaricò l’artista di insegnare disegno e pittura a Giulio, il rampollo di questa stirpe dell’aristocrazia fiorentina. Signorini fu poi ospite diverse volte della nobile Isabella Falconer nella sua villa di Pistoia, oltre che della marchesa Vettori a Firenze e a Montemurlo. È possibile citare anche la famiglia Sacchetti, che offrì ospitalità ai macchiaioli dacché Giuseppe Sacchetti aveva preso a frequentare i membri del gruppo fin dagli inizi (uno dei più noti dipinti di Silvestro Lega, I fidanzati, pare ritragga lo stesso Giuseppe Sacchetti assieme alla futura moglie Isolina Cecchini). Signorini, tra l’altro, fu in questo senso tra i più ‘calcolatori’ dei macchiaioli: l’artista fiorentino, ha scritto il collezionista Fabrizio Misuri, “si era preoccupato fin dagli inizi di circondarsi di una cerchia di conoscenti-amici-mecenati. Non gli era stato difficile inserirsi nel circolo dell’élite alto borghese, né accattivarsi simpatie tra l’aristocrazia raffinata postunitaria, grazie al nome che portava, alla forte personalità, all’essere uomo di società e di buona cultura”. Queste frequentazioni favorivano del resto le committenze e di conseguenza le vendite: i macchiaioli non disdegnavano infatti di dipingere su commissione. E ancora, tra quanti ospitarono i macchiaioli nelle loro tenute figurava anche uno degli stessi pittori del gruppo, Cristiano Banti (Santa Croce sull’Arno, 1824 – Montemurlo, 1904), macchiaiolo della prima ora, autore di alcuni delle immagini più note del movimento (sua per esempio è la Riunione di contadine della Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti).

Banti sviluppò un profondo rispetto e un legame personale con molti artisti del gruppo (varrà la pena ricordare che Banti, assieme a Signorini e Cabianca, trascorse nel 1859 un periodo di soggiorno nello spezzino, che fu determinante per gli orientamenti del gruppo). La sua carriera iniziò come pittore tradizionale (rimangono diversi suoi dipinti a soggetto storico di stampo accademico, che gli valsero anche qualche premio nei concorsi a cui partecipò), ma ben presto si avvicinò alle idee innovative dei macchiaioli e divenne un fervente sostenitore del loro stile. Banti, che al pari di Martelli proveniva da una famiglia benestante, acquistò numerose opere degli artisti Macchiaioli e fu determinante nel promuoverle. La sua collezione privata divenne una delle più importanti del tempo e contribuì a preservare molte opere significative. Inoltre, Banti offrì ospitalità agli artisti nella sua casa, creando un ambiente stimolante per la loro creatività. Quello che rimane della collezione di Banti è oggi esposto alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, dove una sala è dedicata anche alla ricca collezione di Diego Martelli: sia Martelli che Banti furono, del resto, mecenati dai molti tratti in comune e furono probabilmente i più vicini al gruppo. Già nel 1884, peraltro, Adriano Cecioni forniva una descrizione piuttosto entusiasta della raccolta di Cristiano Banti: “Quella Galleria”, evidenziava l’artista in un suo scritto dedicato proprio a Banti, “è unica nel suo genere, ed è, dal punto di vista storico dell’arte, importantissima, perché da alcuni lavori di scuola accademica si passa ai primi tentativi della macchia, poi ai primi risultamenti, e si arriva fino ai tempi attuali, che vengono rappresentati dalla seconda maniera del Boldini”.

Altro mecenate fondamentale per gli sviluppi del movimento fu Gustavo Uzielli (Livorno, 1839 – Impruneta, 1911): proveniente da una famiglia di origini ebraiche, Uzielli era mineralogista di fama, ma aveva anche una profonda passione per l’arte. La sua amicizia con Diego Martelli e con diversi membri del gruppo dei macchiaioli, inclusi Telemaco Signorini e Adriano Cecioni, lo portò a diventare un loro sostenitore. Uzielli acquistò numerose opere d’arte ai membri del gruppo offrendo un consistente supporto finanziario per i loro progetti. La sua casa divenne un centro di discussione intellettuale, dove scienza e arte si incontravano, creando un ambiente unico che favorì la crescita intellettuale e artistica del gruppo. Uzielli fu anche coinvolto nella promozione intellettuale del gruppo, dal momento che nel 1905 s’incaricò della pubblicazione degli scritti di Adriano Cecioni, ancor oggi fondamentali per ricostruire la genesi del movimento macchiaiolo.

Occorre poi rammentare il ruolo svolto da alcuni eccellenti collezionisti che affiancarono il gruppo in un secondo momento, quando le carriere dei fondatori del movimento erano ormai al tramonto: alcuni sostenitori sarebbero risultati però importanti nel diffondere la conoscenza del lavoro dei macchiaioli e nel sostenere comunque il lavoro della seconda generazione del gruppo (nella quale si contano artisti d’importanza tutt’altro che secondaria, come i fratelli Francesco e Luigi Gioli, Niccolò Cannicci, Ruggero Panerai, Arturo Faldi e altri che svilupparono le ricerche dei loro predecessori). Tra i nomi principali spicca di sicuro quello di Rinaldo Carnielo (Biadene, 1853 – Firenze, 1910), scultore veneto che fin da adolescente si trasferì a Firenze e frequentò dagli anni Ottanta i membri del gruppo: Carnielo allestì una cospicua collezione con centinaia di opere di Fattori, Signorini, Lega e diversi altri artisti, in parte poi donata al Comune di Firenze. La vastità della raccolta di Carnielo contribuì in maniera determinate ad alimentare l’interesse nei riguardi dei macchiaioli. E lo stesso si può dire per la collezione di un altro sostenitore del gruppo, l’imprenditore torinese Edoardo Bruno, anch’egli trasferitosi a Firenze: la sua raccolta annoverava circa centoquaranta dipinti, tra cui alcune delle opere più famose del gruppo come le Cucitrici di camicie rosse di Odoardo Borrani o le più tarde Gramignaie al fiume di Niccolò Cannicci.

Si possono poi considerare alcune figure che rivestirono un doppio ruolo, quello di collezionisti dei macchiaioli e mecenati dei post-macchiaioli: appartengono a questa importante schiera, che ha avuto il merito di far crescere l’interesse dei macchiaioli nei primi anni del Novecento, collezionisti come Gustavo Sforni (Firenze, 1888 – Bologna, 1939), pittore e intellettuale, proveniente come tanti altri da una famiglia benestante, che fu mecenate di artisti come Oscar Ghiglia e Mario Puccini, e poi lo scultore fiorentino Mario Galli (Firenze, 1877 – 1946), che fu tra i più competenti collezionisti dei macchiaioli al pari di Mario Borgiotti (Livorno, 1906 – Firenze, 1977), passato alla storia come “l’uomo dei macchiaioli” (così lo ha definito una mostra a lui dedicata nel 2018), pittore dilettante, raffinato cultore del movimento, studioso e divulgatore a cui va riconosciuto un ruolo centrale per la conoscenza del gruppo. Secondo Piero Bargellini, Borgiotti fu addirittura “l’inventore” dei macchiaioli, dal momento che con la sua attività li ha riscoperti “traendoli dall’ombra dei salotti borghesi, mettendoli nella giusta luce in esposizioni esemplari e riproducendoli in splendidi volumi”. Non dunque un mecenate nel senso stretto del termine, ma figura decisiva per la loro conoscenza, dal momento che con la sua collezione e i suoi scritti ha contribuito a risollevare interesse nei riguardi della loro arte in un momento storico, la metà del Novecento, in cui l’attenzione verso i macchiaioli era ormai scemata.

Giovanni Boldini, Ritratto di Cristiano Banti (1866 circa; olio su tela; Firenze, Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti)
Giovanni Boldini, Ritratto di Cristiano Banti (1866 circa; olio su tela; Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti)
Domenico Trentacoste, Ritratto di Gustavo Uzielli (1900-1904; bronzo; Firenze, Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti)
Domenico Trentacoste, Ritratto di Gustavo Uzielli (1900-1904; bronzo; Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti)
Silvestro Lega, Ritratto di Rinaldo Carnielo (1878; olio su tela, 61,3 x 46,7 cm; Firenze, Galleria Rinaldo Carnielo)
Silvestro Lega, Ritratto di Rinaldo Carnielo (1878; olio su tela, 61,3 x 46,7 cm; Firenze, Galleria Rinaldo Carnielo)
Odoardo Borrani, Cucitrici di camicie rosse (1863; olio su tela, 66x54 cm; Collezione privata)
Odoardo Borrani, Cucitrici di camicie rosse (1863; olio su tela, 66x54 cm; Collezione privata)
Niccolò Cannicci, Le gramignaie al fiume (1896; olio su tela, 151 x 280 cm; Firenze, Collezione Ente Cassa di Risparmio di Firenze)
Niccolò Cannicci, Le gramignaie al fiume (1896; olio su tela, 151 x 280 cm; Firenze, Collezione Ente Cassa di Risparmio di Firenze)
Mario Borgiotti
Mario Borgiotti

Il mecenatismo che sostenne i macchiaioli non fu, in sostanza, così diffuso, e servirono delle figure illuminate anche nel corso del Novecento affinché il gruppo continuasse ad affermarsi e venisse compreso come uno dei movimenti che cambiarono il corso della storia dell’arte dell’Ottocento. Nei riguardi dei macchiaioli ci fu inizialmente una certa diffidenza, che non di rado si trasformava in indifferenza. “Rarissimi i Diego Martelli, contemporanei o di poco postumi, che avessero incoraggiato quegli artisti romantici, sfortunati e boulevardieres”, avrebbe addirittura scritto Giovanni Spadolini presentando una mostra sulla scuola di Castiglioncello.

Eppure i ‘fiancheggiatori’, come s’è visto, non mancarono. Anzi: si potrebbe dire che questo sostegno è stato fondamentale per il successo dei pittori che parteciparono al gruppo, anche perché diversi sostenitori non si limitarono a fornire un supporto finanziario o ad acquistare le opere: alcuni, Martelli in primis, hanno fornito un ambiente in cui gli artisti potevano sperimentare, crescere e condividere idee innovative. Anche a queste figure i macchiaioli devono la possibilità d’aver sviluppato un linguaggio nuovo, originale, senza dover sottostare a vincoli economici che limitassero la loro creatività. Il ruolo dei pochi mecenati è stato dunque essenziale. E se una figura come quella di Martelli è già stata ampiamente studiata e sono ben noti i termini del sostegno che accordò ai suoi amici, il tema del mecenatismo nei riguardi dei macchiaioli è stato comunque poco affrontato dalla critica e potrebbe costituire per il futuro un interessante filone di ricerca sull’attività di questo gruppo che rivoluzionò l’arte della sua epoca.


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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